A Palermo, nei giorni 18, 19 e 20 dicembre prossimi, si terrà la prima sessione del Tribunale Permanente dei Popoli, il cui tema sarà “Le violazioni dei diritti delle persone migranti e rifugiate e la loro impunità (2017-2018)”. Cerchiamo di capire innanzitutto di cosa si tratta. Il Tribunale Permanente dei Popoli (TPP) nasce a Bologna nel 1979 sulla base, e continuandone l’esperienza, dei “Tribunali Russell” sul Vietnam, tra il 1966 e il 1967, e quelli sull’America Latina negli anni 1973-76. Lelio Basso, che ne era stato membro e relatore, propone la trasformazione di questi celebri tribunali in un’istituzione permanente capace di essere strumento e tribuna di riconoscimento, visibilità e presa di parola per quei popoli vittime di violazioni dei diritti fondamentali che la Dichiarazione Universale dei Diritti dei Popoli, proclamata ad Algeri nel 1976, aveva indicato come marginalizzati dal diritto internazionale, sempre più garante degli interessi dei detentori pubblici e privati dei poteri politici ed economici.
Secondo i rapporti dell’ONU si tratta di una delle minoranze più perseguitate al mondo. Cacciati dalle loro case, costretti a vivere in ghetti e campi profughi tra il Bangladesh e la Birmania, oggi si stima che più di 100.000 vivano in campi per sfollati. Su di loro sono ormai documentati diversi e ripetuti casi di torture, lavori forzati, abusi sessuali e violenze in genere. Chiedono solo di poter tornare nelle proprie case e per loro, dal 2012 a oggi, è dovuto intervenire più volte dell’ONU. Oltre alla dichiarazione già citata in precedenza, i limiti imposti dai veti applicabili da alcuni degli Stati membri, impediscono che siano emesse risoluzioni formali dirette miranti a risolvere il problema. A questo si sommano gli ormai soliti interessi economici, i rapporti di diplomazia interessata e le dimostrazioni di forza di freudiana memoria tra diversi degli stati membri, appunto. E il popolo dei Rohingya rimane là, in attesa di giustizia. In questi giorni c’è stato l’intervento diretto di Papa Francesco che, nel suo viaggio in Bangladesh, ha pronunciato la parola proibita “Rohingya”. Immediate le promesse del governo birmano e dell’Unhcr che garantisce un’inchiesta internazionale e parla di genocidio. Forse non hanno capito il problema fino in fondo, o forse non sono interessati a farlo. Per maggiori informazioni sul TPP consultare il sito.
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