di Mauro Seminara
Tutti contenti. Il Governo Conte ha risolto tutti i problemi della politica nazionale ancora prima di insediarsi. Ha risolto quel vicolo cieco in cui si era andato a cacciare il presidente della Repubblica, ad esempio. Sergio Mattarella ha un merito che gli va riconosciuto. Il presidente ha spinto, con coraggiosa ostinazione, perché il Paese avesse un Governo politico, democraticamente eletto, dopo anni di nomine presidenziali tra le quali si vantano Mario Monti e Matteo Renzi. Di contro, il presidente si era perso sulla direzione politica delle finanze con il veto su Paolo Savona. Un errore dietro l’altro che lo avevano perfino visto uscire con le “ragioni” del veto di provenienza extranazionale. E dire agli italiani che non potevano avere ciò che bramavano perché ciò che odiano sarebbe stato “non d’accordo” con le loro scelte non era stata una gran trovata. In questa vicenda potrebbe essere stata sottovalutata l’azione pentastellata di quel Luigi Di Maio ricevuto alla vigilia della svolta dal presidente della Repubblica. In quel momento Matteo Salvini era partito in quarta con la sua nuova campagna elettorale, e quasi metteva il professor Paolo Savona su simbolo e manifesti. Tra i tre, Salvini era sicuramente la parte meno interessata a chiudere un accordo per il Governo. L’altra parte, quella del Quirinale, si era intanto avvitata su un veto che aveva prodotto comunque un’agitazione dei mercati e una “lievitatina intimidatoria” dello spread, e al fianco di questa crisi prodotta dal Colle c’era l’ancor più triste incarico ad un primo ministro di scelta presidenziale che avrebbe prodotto un Governo da venti voti in Parlamento. E questo aspetto della vicenda sarebbe stato un precedente storico di una gravità inaudita per la Repubblica. Un Governo del presidente snobbato dall’intero Parlamento è un cortocircuito istituzionale per il grave imbarazzo che avrebbe prodotto alla Presidenza. La soluzione che ha messo tutti d’accordo è stata quindi quella di mantenere la posizione e l’incarico di Paolo Savona, ma chiamandola in un altro modo. Savona quindi si occuperà degli “Affari europei” di cui si sarebbe occupato se avesse diretto il Ministero di Economia e Finanze, ma non sarà il ministro dell’Economia, quindi l’onore del presidente della Repubblica è salvo perché questi non ha dovuto ritrattare sull’economista. Ma lo è anche quello della Lega, che ha mantenuto Savona senza cambiare drasticamente opinione su quanto detto all’indirizzo di chi non lo voleva ed aveva “costretto” Mattarella a porre il veto. Salvo anche il Movimento Cinque Stelle, che con Savona al Ministero per gli Affari europei dimostra che intende procedere con determinazione all’esecuzione del Contratto di Governo, oltre ad aver trovato la soluzione e messo d’accordo le parti producendo finalmente la quadra per il Governo che oggi ha giurato al Quirinale.
Le uscite di servizio, in questa tortuosa vicenda, sono state e saranno preziosissime. Lo sono state per chi le ha utilizzate, come il premier incaricato Carlo Cottarelli che, invece di recarsi nella sala stampa della Loggia d’Onore per dare lettura della squadra di ministri che avrebbero dovuto prestare giuramento l’indomani, è uscito dalla porta di servizio lasciando i giornalisti tra il dubbio ed il panico. Lo saranno, utili, per quanti adesso avranno la capacità di comprenderne il valore. Come nel caso dei consumatori di pop corn, dei pronti all’espatrio e per quanti minacciavano spavaldi di darsi fuoco nel caso Di Maio e Salvini avessero dato vita ad un Governo politico. Da Timbuctù a Piazza Bologna, in questi giorni dovremmo assistere a sorprendenti show da cronaca nera in prima pagina. Ovviamente non sarà così e lo si vede già. Perdere l’occasione per evitare di lanciare tweet e sparare cazzate è un dono che manca a molti. Soprattutto in quel del Nazareno. I dem hanno iniziato il loro assalto al nuovo Governo già ieri, ancora prima del giuramento. E non sono mancati gli attacchi alle idee ed alle competenze di ogni singolo ministro. Eppure, nel momento in cui i tweet partivano a raffica, dimissionari ma ancora in carica c’erano ministri che hanno sicuramente reso orgogliosi gli italiani e suscitato ammirazione anche all’estero: Angelino Alfano, ministro degli Esteri giunto in ritardo ad un vertice a causa del “uaind” che aveva dato problemi al suo aereo; Beatrice Lorenzin, ministro della Salute pubblica e del Fertility Day che avrebbe dovuto convincere le donne a procreare – non si sa con chi e non se sa per mantenere poi in che modo i nascituri – in un mondo di precari nel lavoro e di conseguenza nei rapporti sentimentali; Valeria Fedeli, ministro della pubblica istruzione con laurea che poi non c’era come non c’era il diploma di maturità e ci fidiamo sulla qualifica dell’istituto professionale che ha frequentato; Marco Minniti, efficientissimo ministro dell’Interno che ha definitivamente calato la maschera della sinistra che fa respingere i migranti ai libici invece di respingerli come fece Roberto Maroni e che non ama essere contraddetto anche quando dimostra di non conoscere nemmeno i nomi delle Ong a cui ha fatto la guerra nel Mediterraneo centrale. Ma spesso, troppo spesso in politica, la memoria è corta e il naso è lungo.
Matteo Renzi ha azzeccato tutto da quando è segretario del Partito Democratico. Fatta eccezione per le elezioni europee, che letteralmente un’eccezione furono, ha centrato tutti gli obiettivi rottamando – più o meno come prometteva alle prime “leopolde” – letteralmente tutto quello che toccava. Ha rottamato il Partito Democratico, spaccato e poi scomparso dal territorio nazionale dove ha perso regioni e comuni, riducendolo ad un partito da 18% al 4 marzo di quest’anno e probabilmente da 8% alle prossime elezioni (che potrebbero tenersi tra cinque anni), sempre che sopravviva; ha rottamato la sinistra ed il centrosinistra, facendo scomparire entrambi nell’ideologia generale e nella politica; ha rottamato parte del Parlamento, forse più del famoso “apriscotale grillino”, facendo associare il fu centrosinistra del PD all’establishment vicino alle banche invece che al popolo ed inducendo così il popolo italiano alla “trasfusione” alla prima tornata elettorale utile. Anche, o soprattutto, Matteo Renzi dovrebbe prendere l’uscita di servizio, sul retro, e cercare di tacere almeno per qualche mese. Una lussuosa uscita di servizio avrà certamente imboccato Silvio Berlusconi, scomparso nel suo saggio silenzio già da parecchi giorni. Ma si sa, Matteo Renzi non ha passato abbastanza tempo accanto a Silvio Berlusconi per imparare davvero bene come si fa. Forse credeva che il patto del Nazareno fosse un automatico trasferimento di know-how. Infatti, proprio per sottolineare che il suo partito, quello di Renzi, sa come si fa e soprattutto quando le cose vanno fatte, oggi il PD manifestava qualcosa da qualche parte in sostegno morale di qualcuno. O almeno voleva farlo. Ma la stampa era attenta ad altro, purtroppo, ed a causa di questa assurda coincidenza con il giuramento del Governo del Cambiamento nessuno si è accorto di quale nobile attività aveva in programma il Partito Democratico. Può capitare…se si va dietro ad uno che dalle sue parti chiamavano “il bomba”.
Chi in questo momento non usa, e nemmeno guarda, le porte di servizio è il popolo italiano. Nessun giudizio tecnico, in questo momento, su competenze individuali e fattibilità di programma del nuovo Governo italiano. In questo momento è più importante riconoscere a questo neonato Governo un merito, indiscutibile, che riguarda la fiducia del Paese; inversamente proporzionale a quello dei mercati. Gli italiani sembrano dei rifugiati che a fine guerra, sentendo che non piovono più bombe sulle loro case, escono dal rifugio e vedono quella luce del sole che fa male agli occhi ed al tempo stesso li fa lacrimare di gioia. In strada incontrano il premier ed i vicepremier, li sentono parlare in Tv, gli sentono dire ciò per cui li hanno votati ed eletti. La percezione degli italiani è forse quella che al primo incarico, la cui riserva fu poi sciolta con esito negativo, pronunciò Giuseppe Conte: un Governo che intende difendere tutti gli italiani. In tal senso, bisogna ammetterlo, Sergio Mattarella ha contribuito alla “tenuta democratica del Paese” certo più di chi sosteneva che per farlo bastava rimandare indietro i barconi dei migranti mentre fioccavano miliardi dal Governo per salvare banche qua e là. Gli italiani hanno scelto di sfidare la Troika, di sfidare l’Unione europea, di essere di nuovo orgogliosi di essere italiani, anche a costo di un finale come quello dell’indimenticabile “La grande guerra”, dove Vittorio Gassman e Alberto Sordi, al termine di una vita vissuta “all’italiana”, offrono con orgoglio e dignità il petto al plotone di esecuzione tedesco che li fucila perché non hanno voluto tradire i loro compagni. Non è detto però che in questa battaglia l’Italia sia, o rimanga, da sola. Le cose stanno cambiando e forse gli italiani, come in un onorevole passato remoto, potrebbero essere la guida del cambiamento. La Catalogna voleva l’indipendenza da uno Stato di Spagna corrotto che su ordine di Mariano Rajoy li ha poi anche malmenati per il preteso referendum, ed oggi quel premier è stato sfiduciato proprio a causa di una diffusa corruzione nel Governo centrale che avvalora le ragioni condotte dall’esule Carles Puigdemont. I francesi stanno scoprendo il vero volto di Emmanuel Macron dovendo fare i conti con quelle riforme che gli italiani subiscono già da parecchi anni, ma con reazioni meno passive dei cugini italici. Gli Stati Uniti di Trump stanno abbandonando il terreno mediorientale lasciando tutti i cerini accesi nelle mani di Israele per dedicarsi ad una politica interna che già adesso sta dando i propri frutti agli americani. Il Regno Unito ha lasciato l’Unione europea senza averne mai assunto la valuta e una buona metà degli Stati membri di questa sedicente “Unione” non ha mai voluto entrare a far parte dell’eurozona preferendo tenersi la propria moneta. Attenderemo gli sviluppi e seguiremo il lavoro di questo Governo, ma nel frattempo osserviamo ammirati – almeno per un momento – chi entra dalla porta principale tra gli applausi del popolo e chi esce dalla porta sul retro sperando di non incontrarlo proprio il popolo.
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