di Vittorio Alessandro
Riportare in Libia le 54 persone a bordo della Sea Watch, come ordinato dal governo italiano, costituirebbe infrazione alle norme internazionali che impongono il loro trasferimento in un porto sicuro (Tripoli non lo è per stessa ammissione del ministro Salvini).
Contravverrebbe anche alla regola che vieta i respingimenti collettivi, ovvero esercitati nei confronti di gruppi di persone fra le quali possono trovarsi anche titolari di diritti inderogabili.
Non si può fingere che i naufraghi della Sea Watch attendano, come tutti i naufraghi, soltanto di ritrovare terra, essendo fuggiti da quella in cui stavano.
Se si tratta di possibili terroristi, che essi siano arrestati; se vittima di sequestro o di trafficanti, li si liberi prima di subito e si puniscano i responsabili.
Il diritto non prevede altre strade, anche il nuovo decreto Sicurezza, che neppure è stato ancora promulgato.
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