Sea Watch, il Diritto è uno

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di Vittorio Alessandro

Riportare in Libia le 54 persone a bordo della Sea Watch, come ordinato dal governo italiano, costituirebbe infrazione alle norme internazionali che impongono il loro trasferimento in un porto sicuro (Tripoli non lo è per stessa ammissione del ministro Salvini).

Contravverrebbe anche alla regola che vieta i respingimenti collettivi, ovvero esercitati nei confronti di gruppi di persone fra le quali possono trovarsi anche titolari di diritti inderogabili.

Non si può fingere che i naufraghi della Sea Watch attendano, come tutti i naufraghi, soltanto di ritrovare terra, essendo fuggiti da quella in cui stavano.

Se si tratta di possibili terroristi, che essi siano arrestati; se vittima di sequestro o di trafficanti, li si liberi prima di subito e si puniscano i responsabili.

Il diritto non prevede altre strade, anche il nuovo decreto Sicurezza, che neppure è stato ancora promulgato.

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Ammiraglio in congedo, è stato a lungo responsabile della comunicazione della Guardia costiera e del reparto ambientale delle Capitanerie. Ha curato l’informazione istituzionale in occasione delle migrazioni via mare nel 2011 e del sinistro della Costa Concordia nel 2012; ha guidato la missione ambientale italiana Bahar in Libano nel 2006. Dal 2012 al 2017 ha presieduto il Parco Nazionale e l’Area marina protetta delle Cinque Terre. Nel 2014 ha pubblicato “Puntonave” (Mursia editore) e dal 2012 cura l’omonima pagina su Facebook.

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