di Mauro Seminara
Inevitabile che quanti hanno costruito l’impero su adepti che inveiscono contro i migranti facciano adesso propaganda di attribuzione al nuovo esecutivo italiano dell’incremento delle barche in partenza e speculino sull’apertura del porto italiano dopo “appena” sei giorni alla nave Ocean Viking. Ma in questa propaganda di bassa lega (o Lega) ci sono due importanti menzogne. La prima riguarda l’incremento dei flussi. Si registravano già quando era ministro dell’Interno Matteo Salvini. Ed anche quando partenze, respingimenti, soccorsi ed arrivi autonomi erano un segreto di Stato che non doveva giungere all’opinione pubblica, c’erano giornalisti e testate che – non senza difficoltà e sacrifici – ne davano notizia a chi aveva occhi per leggere ed orecchie per udire. Se dalla Libia e dalla Tunisia partono più o meno migranti non è certo perché questi hanno o meno paura di un tizio che bevacchia allegramente mojito in spiaggia tra una diretta Facebook e l’altra. L’altra bufala vuole che adesso, con il Governo M5S-PD, ci sarà il via libera alle barche dei migranti ed alle navi delle Ong cui verranno aperti i porti. Se per la bufala sull’aumento flussi basta “sfogliare” anche solo le ultime settimane di “Osservatorio migrazioni” per rendersi conto di quante volte abbiamo titolato su barche che arrivavano indisturbate mentre lo show si concentrava sulle Ong, per sfatare il repentino cambio di passo sulla politica dei “porti chiusi” bisogna fare un diversa e parallela lettura su fatti e rapporti che avrebbero costretto anche un boia a prendere le metaforiche chiavi e riaprire questi fatidici porti in vero mai chiusi.
La diplomazia Italia-Malta
Intorno alle venti di ieri, le motovedette della Guardia Costiera hanno concluso il trasbordo delle circa 90 persone, soccorse in vece delle autorità di soccorso marittimo di Malta, al largo dell’isola-Stato su un pattugliatore inviato da La Valletta. Il notorio opportunismo maltese non è stato improvvisamente sostituito da caritatevole disponibilità e generosità d’animo. Lo si evince anche dal fatto che, pur avendo avuto molte ore a disposizione, il pattugliatore maltese si è recato ad un appuntamento preso con la Guardia Costiera italiana giusto al confine con le acque territoriali di Malta, facendole anche attendere, invece che andar loro incontro verso Lampedusa. Malgrado ciò, Malta ha comunque assunto con prontezza il coordinamento dell’operazione di salvataggio e non ha battuto ciglio sull’accordo italo-maltese secondo cui la Guardia Costiera italiana avrebbe soccorso ma il Governo di La Valletta avrebbe accolto. La notte tra lunedì e martedì, mentre Italia e Malta collaboravano all’evento SAR, nei palazzi del presidente della Repubblica italiana e del presidente della Repubblica di Malta era già tutto pronto per l’incontro tra i due capi di Stato. Il Presidente della Repubblica italiana, Sergio Mattarella, ha ricevuto appunto ieri, nel pomeriggio, al Quirinale, il Presidente della Repubblica di Malta, George William Vella. Sarebbe stato un omaggio inaccettabile andare a far visita al più influente presidente vicino di casa portando in dono la ennesima mancata collaborazione su un tema che ha sempre scatenato miserabili bracci di ferro come quello del’11 ottobre 2013, costato la vita a 268 persone ed il recente rinvio a giudizio di due ufficiali italiani.
Il rapporto ONU
Sul rapporto di collaborazione tra Italia e Malta, anche in assenza di incontri pomeridiani tra capi di Stato, tutto sommato c’è da sperare, visto che anche l’Unione europea è adesso costretta a riavvolgere il nastro sperando di non dover pagare a caro prezzo la politica fin qui condotta sul respingimento dei flussi migratori nel Mediterraneo centrale. A cambiare drasticamente la nuova agenda europea in materia, e far perfino tremare le gambe degli ultimi grandi dominatori di flussi migratori seduti maldestramente su poltrone da ministri, sono le 17 pagine del rapporto ONU firmate da Antonio Guterres. Queste, a differenza di tutti gli altri rapporti redatti da tutte le agenzia delle Nazioni Unite, il segretario generale le ha firmate personalmente prima di spedirle al Palazzo della Pace ad Aja, sede della Corte Internazionale di Giustizia delle Nazioni Unite. Una denuncia, quella vergata da Antonio Guterres, che indirettamente fa nomi e cognomi dei Paesi Ue che hanno finanziato i carnefici libici con denaro, addestramento, protezione, motovedette e quant’altro è stato poi usato per stuprare donne, vendere esseri umani ai trafficanti e far sparire migranti intercettati in mare per volere dell’Italia e con il beneplacito dell’Unione europea.
Retroscena agghiaccianti
Lo stesso Antonio Guterres si era recato personalmente in Libia visitando migranti detenuti in centri-lager del Governo di Fayez al-Serraj. A fine luglio era poi stata richiesta la chiusura dei centri di detenzione. Tutti. Per le nazioni Unite andavano chiusi quelli gestiti da trafficanti in appalto governativo e quelli ufficiali del Governo. Neanche un mese prima, i primi di luglio, un raid aereo aveva colpito un centro di detenzione a Tajoura facendo strage di persone rinchiuse in un capannone adiacente ad un deposito militare. Ma alla chiusura del rapporto che Guterres ha trasmesso all’Aja ci sono anche capi di accusa gravissimi, in special modo per l’Italia, che con la sedicente guardia costiera della Libia lavora a strettissimo contatto, ma anche per quell’agenzia europea che avvistava le barche dei profughi con i propri velivoli e le segnalava solo ed unicamente ai carnefici libici perché li ricatturassero. Le catture dei profughi salpati dalla Libia, secondo il rapporto delle Nazioni Unite, producevano la scomparsa delle persone che, in Italia e di Unione europea, si diceva allegramente fossero state soccorse dai libici. Il segretario generale Antonio Guterres, nel rapporto trasmesso alla Corte Internazionale di Giustizia delle Nazioni Unite, puntualizza l’invito rivolto al Governo libico di istituire una commissione d’inchiesta indipendente che facesse luce sul numero e sulla modalità di scomparsa di molti soggetti salpati dalla Libia, ripresi dalla sedicente guardia costiera con motovedette italiane e poi scomparse dopo lo sbarco.
Alle scomparse si aggiungono altre gravissime accuse, rivolte ai libici ma evidentemente ed indirettamente rivolte ai Paesi dell’Unione europea ed all’Italia complice dei trafficanti. Privazione delle libertà personali, detenzioni arbitrarie anche in luoghi “non ufficiali”, torture, violenze sessuali ripetute ed anche di gruppo, rapimenti finalizzati ai riscatti, estorsioni, lavori forzati ed infine anche omicidi. Infine, a margine, anche le condizioni inumane in cui le persone migranti venivano detenute. Il quotidiano della CEI “Avvenire”, a firma di Nello Scavo, è stato il primo a dare dettagliata notizia sulla denuncia di Antonio Guterres il 13 settembre appena trascorso. Nell’articolo si legge: “I colpevoli, secondo il segretario generale, sono indistintamente «funzionari statali, membri di gruppi armati, contrabbandieri, trafficanti e membri di bande criminali». Un cartello criminale che può contare sul ruolo decisivo dei guardacoste. I “soccorsi” in mare, infatti, riforniscono di migranti i boss del traffico internazionale, moltiplicando gli introiti. Le operazioni della cosiddetta Guardia costiera, fieramente sostenuta da Bruxelles e da Roma, sono una delle principali cause delle violazioni. Non è un caso che Guterres si guardi bene dal parlare di «soccorsi». «Il numero di prigionieri – si legge – è cresciuto a seguito dell’aumento delle intercettazioni in mare e della chiusura delle rotte marittime». Una manna per i contrabbandieri di vite umane.”
La conseguenza europea
Appare a questo punto logico ed ineludibile che in sede europea si registri un repentino cambio di passo sul fronte delle migrazioni dal Mediterraneo centrale. Ma se è correggibile con relativa semplicità l’azione dei velivoli che sotto l’egida di Frontex sorvolano il Mar Mediterraneo tra la Libia e l’Italia, lo è meno il rapporto tra l’Italia e la Libia. Nel porto di Tripoli è ormeggiata, in modo stabile una nave della Marina Militare italiana che fornisce supporto alla cosiddetta Guardia Costiera libica. Grazie ad un audio fortunosamente reso pubblico per un’inchiesta in cui una Ong doveva difendersi dalle solite accuse legate principalmente alla mancata collaborazione con la “guardia costiera” di quel Paese, è emerso perfino che il ruolo di nave Capri, nave Caprese o altre a turno nel porto tripolino andasse forse ben oltre l’affiancamento. I carnefici che trafficano con i migranti, riacciuffandoli in mare, vendendoli a terra o facendoli sparire sotto terra, usano motovedette italiane sulle quali hanno anche rimontato armi. L’ex ministro dell’Interno italiano Matteo Salvini, dopo una brevissima visita in Libia lo scorso anno, aveva addirittura definito i centri di detenzione come degli hotel a cinque stelle. Sulla scia di questa inattendibile affermazione, rilasciata forse dopo aver visitato un centro allestito ad hoc per la visita con annessi selfie, l’Italia ha continuato con ancor maggiore insistenza la sua di considerare “migranti” che salpavano dalla Libia e pertanto un problema libico di controllo dei flussi i profughi che tentavano di fuggire dai lager e dalle torture. Questo atteggiamento ha quindi reso complice l’Italia – con i suoi “respingimenti” attuati con i mancati soccorsi e tentando di costringere le Ong a riportare in Libia le persone soccorse – delle torture, degli stupri, delle scomparse e degli omicidi. E se le motovedette che furono della Guardia di Finanza erano in grado di andare a tutto gas incontro alle barche da riportare all’inferno era anche grazie ai militari italiani che gliele facevano funzionare.
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