di Fulvio Vassallo Paleologo
Le recenti limitazioni imposte in nome del diritto alla salute ai diritti di libertà, di circolazione e di riunione, per tutti, e persino alla libertà personale, con riferimento alla condizione delle persone detenute o sottoposte al regime di detenzione amministrativa, pongono difficili questioni sul piano dell’efficacia e della compatibilità con il sistema di garanzie previsto dalla Costituzione, dalle leggi interne e dal diritto sovranazionale. La diffusione dei casi di positività al COVID-19 e l’aumento delle vittime si deve affrontare con misure incisive e tempestive, ma ci dobbiamo chiedere tutti cosa resterà del nostro vivere sociale e delle garanzie democratiche dopo che questa terribile pandemia abbia superato il suo picco più alto. Nessuno si può illudere che le misure restrittive adottate per tutto il territorio nazionale in questi ultimi giorni durino soltanto alcune settimane, ci vorranno mesi, forse anni, per un recupero della libertà di circolazione, ed a fronte della probabile caduta del regime Schengen, e della stessa capacità regolatrice della mobilità umana da parte degli stati, nulla sarà più come prima. Anche a livello internazionale. Dopo l’Austria anche la Slovenia ha chiuso le sue frontiere con l’Italia e presto altri paesi potrebbero fare lo stesso. Un dura lezione per i sovranisti che volevano chiudere le frontiere italiane a fronte di una invasione inesistente.
Chiariamo subito che non si vuole mettere qui in discussione la necessità e l’urgenza di misure atte a contrastare la diffusione del COVID-19 limitando i contatti interpersonali, in un momento in cui in Italia il sistema sanitario pubblico, dopo anni di espansione della sanità privata, non sembra reggere la domanda di assistenza in terapia intensiva che si moltiplica giorno dopo giorno. Una situazione che i cittadini del meridione d’Italia scontano da anni ricorrendo per le cure delle malattie più gravi alle strutture sanitarie meglio organizzate del nord, oggi irraggiungibili. Si può dire che la situazione di emergenza che si vive in Lombardia, come in Piemonte, in Emilia-Romagna e nel Veneto, riguarda tutti gli italiani e non solo i residenti in quelle regioni. Come pure è condivisa la sofferenza per le troppe vittime che questa pandemia sta producendo. Indipendentemente dalla loro età.
Dal Governo centrale a quello regionalizzato
Si tratta però di capire che su queste misure di emergenza, adottate anche in ritardo sui territori più colpiti, alcune parti politiche stanno basando un preciso progetto di potere utilizzando le autonomie locali e regionali in funzione antigovernativa in modo da costringere il governo centrale a fare proprie scelte che sono imposte attraverso alcuni presidenti di Regione, piuttosto che decisioni del Parlamento basate sui pareri forniti da comitati tecnici o gruppi di esperti. Mentre il Parlamento è di fatto paralizzato, dopo gli ostruzionismi delle opposizioni, dagli allarmi sanitari, il potere esecutivo sembra procedere con modalità che si sottraggono ad una verifica politica ed a qualsiasi controllo da parte dell’ordine giudiziario, con una concentrazione di poteri nei prefetti mai vista in precedenza. Una modalità di governo che si era già palesata in passato, sul terreno del controllo degli ingressi delle persone migranti, e che ora si riproduce all’ennesima potenza a fronte dell’emergenza del COVID-19. Con sviluppi ancora imprevedibili in vista dell’ulteriore espansione della pandemia e di conseguenze economiche disastrose che produrranno, dopo le prime settimane di attesa e di confinamento nelle case, una forte conflittualità sociale. Come si può già rilevare dalle proteste attorno alle carceri e dentro gli istituti di pena, che non possono essere semplicisticamente liquidate con un richiamo a non meglio identificati disegni eversivi gestiti dall’esterno. La situazione di sovraffollamento delle carceri era già nota da tempo, ed i provvedimenti degli ultimi governi hanno accresciuto ulteriormente la popolazione carceraria. Quattordici morti in pochi giorni, dopo la rivolta scoppiata nel carcere di Modena dove si era verificato un caso di positività al virus, richiedono misure concrete e indagini approfondite.
Al di là delle scelte imposte al governo dall’opposizione che muove i presidenti di Regione come pedine di un gioco delle parti bene orchestrato, al punto che al presidente del Consiglio è persino sfuggita la definizione del capo dell’opposizione come “ministro”, le autorità periferiche vanno ancora oltre, come si sta verificando dopo l’ultimo Decreto del Presidente del Consiglio dei ministri (DPCM) del 9 marzo scorso. Lo si avverte dalla pressione delle forze di polizia che comprimono, anche con comandi verbali non formalizzati, la residua libertà di circolazione consentita dai provvedimenti del governo, e adesso se ne ha una conferma definitiva, con l’assegnazione al prefetto dei poteri di ricorrere all’esercito per l’adempimento di funzioni di pubblica sicurezza, come è previsto da una circolare emanata il 12 marzo dal ministro dell’Interno Lamorgese.
L’impiego dell’Esercito per assicurare la limitazione della libertà personale
Secondo quanto comunicato dall’ANSA, e ripreso da varie agenzie, “anche i militari potranno fermare i cittadini per controllare se rispettano le disposizioni previste dai decreti per l’emergenza coronavirus. Lo ribadisce la circolare del Viminale per una corretta applicazione delle norme introdotte con l’ultimo Dpcm“. La circolare richiama il decreto del 23 febbraio 2020 e sottolinea: “al personale delle forze armate impiegate, previo provvedimento del Prefetto competente, per assicurare l’esecuzione delle misure di contenimento … è attribuita la qualifica di agente di pubblica sicurezza”. L’articolo 2 comma 5 del decreto in questione prevedeva infatti espressamente che “al personale delle Forze armate impiegato, previo provvedimento del Prefetto competente, per assicurare l’esecuzione delle misure di contenimento di cui agli articoli 1 e 2 è attribuita la qualifica di agente di pubblica sicurezza”. Come si prevedeva già con la estensione alle forze armate delle facoltà di polizia di cui all’art. 4 della legge 22 maggio 1975, n. 152 (legge Reale).
Sappiamo che, in base alla giurisprudenza della Corte Costituzionale, con un provvedimento avente forza di legge, come i decreti legge, si possono attribuire anche al privato, e comunque a qualsiasi autorità costituita e dunque anche al semplice personale militare appartenente all’esercito, funzioni di pubblica sicurezza (Corte cost. sent. n. 89/1970). La “sanità”, può costituire un limite generale alla libertà di circolazione e soggiorno prevista dall’art. 16, ma solo se lo prevede la legge, e non l’atto amministrativo a contenuto discrezionale, e soltanto la legge può costituire il fondamento di accertamenti ed ispezioni che limitino la libertà di domicilio ai sensi dell’art. 14 della Costituzione.
Questi poteri eccezionali si sono basati nel tempo su situazioni di particolare allarme per l’ordine pubblico. L’articolo 4 della legge n. 152/1975, recante “Disposizioni a tutela dell’ordine pubblico”, prevedeva che, in casi eccezionali di necessità e d’urgenza, che non permettono un tempestivo provvedimento dell’autorità giudiziaria, gli ufficiali ed agenti della polizia giudiziaria e della forza pubblica nel corso di operazioni di polizia possono procedere, oltre che all’identificazione, all’immediata perquisizione sul posto, al solo fine di accertare l’eventuale possesso di armi, esplosivi e strumenti di effrazione, di persone il cui atteggiamento o la cui presenza, in relazione a specifiche e concrete circostanze di luogo e di tempo, non appaiono giustificabili. In tali casi la perquisizione può estendersi, per le stesse finalità, al mezzo di trasporto utilizzato da tali persone per giungere sul posto. Di tali perquisizioni deve essere redatto un verbale che va trasmesso, entro quarantottore al procuratore della Repubblica”.
Anche la legge 26 marzo 2001, n. 128, “Interventi legislativi in materia di tutela della sicurezza dei cittadini”, conosciuta come “pacchetto sicurezza”, che recava norme volte ad arginare la criminalità prevedeva, tra l’altro, la possibilità di fare ricorso alle Forze armate per lo svolgimento dei compiti di sorveglianza e vigilanza del territorio, liberando in tal modo il personale delle Forze di polizia da tali incombenze per consentirgli di concentrare maggiormente la sua azione nel diretto contrasto della criminalità.
In particolare, l’articolo 18 stabiliva che, in relazione a specifiche ed eccezionali esigenze, è consentito impiegare personale militare delle Forze armate per il controllo di obiettivi fissi, edifici istituzionali ed altri di interesse pubblico. A tal fine, il Consiglio dei ministri, su proposta del Presidente del Consiglio, di concerto con i Ministri dell’interno e della difesa, adotta specifici piani per l’utilizzazione di tale personale da parte dei prefetti delle province in cui si sono verificate le specifiche ed eccezionali esigenze sopra citate. Il personale militare è posto a disposizione dei prefetti ai sensi dell’articolo 13 della legge 1° aprile 1981, n. 121, “Nuovo ordinamento dell’Amministrazione della pubblica sicurezza” (comma 1).
Ci si deve interrogare a questo punto sull’attuale impatto sociale e sulla reale efficacia di questa misura, che assegna adesso ai militari funzioni di agenti di pubblica sicurezza, una misura che apparentemente richiama la precedente operazione “Vespri siciliani” seguita nel 1992 alle stragi di mafia, con la quale si attribuiva al personale militare la qualifica di agenti di pubblica sicurezza per identificare e perquisire persone e mezzi di trasporto, al fine di prevenire e contrastare la criminalità di stampo mafioso.
La delega di funzioni di pubblica sicurezza ai militari si inserisce nel solco dell’operazione “Strade sicure” promossa dal governo Berlusconi nel 2008, ancora attiva nel corso di quest’anno, ma che si propone oggi con caratteristiche assai diverse, in un momento di completo esautoramento delle assemblee elettive, e con una concentrazione di poteri in capo all’esecutivo ed alle prefetture, e dunque ai comandi militari, mai visto in precedenza. Ai tempi delle operazioni antimafia “Vespri siciliani” i militari dell’esercito si spostavano sulle strade in funzione di pubblica sicurezza muovendosi in pattuglie formate con agenti di polizia o con carabinieri, oggi sembra loro riconosciuta una completa autonomia, seppure per effetto della richiesta di intervento da parte della prefettura a fronte dei divieti di circolazione imposti per contrastare il COVID-19.
Appare però evidente come mentre in passato i militari dell’esercito avevano prevalenti funzioni di sorveglianza di luoghi come stazioni ed aeroporti, esposti al rischio terrorismo, o di sedi e persone esposte a rischio per le loro attività, come i magistrati, oggi le forze armate vengono dotate di un potere diretto di controllo sulla libertà di circolazione dei cittadini, e degli stranieri, di tutti i soggiornanti nel territorio dello stato, con conseguenze che allo stato non sono prevedibili, sul piano del rispetto dei diritti di libertà previsti dalla Costituzione e dalle Convezioni internazionali, che comunque non possono ritenersi sospesi per effetto di una serie di decreti del governo.
Chi controllerà i controllori della limitazione di libertà personali
Il tema dell’attribuzione di compiti di ordine pubblico a militari inquadrati nell’Esercito rimane assai controverso. La frammentazione delle forze di polizia alle quali si assegna oggi il delicatissimo compito di limitare la libertà di circolazione delle persone, cittadini e stranieri, regolari ed irregolari, conferma l’esistenza di un sistema di controllo diffuso sulla libertà dei cittadini, che appare privo di un reale coordinamento, che non potrà essere garantito certo dalle prefetture, e di modelli condivisi ed omogenei di intervento. Se a questo sommiamo i poteri di ordinanza attribuiti ai sindaci in materia di sicurezza pubblica, scopriamo di essere di fronte ad una situazione assolutamente non prevedibile, a seconda dei diversi territori. Gli articoli 117 e 118 della Costituzione prevedono diverse forme di coordinamento Stato-Regioni-enti locali in materia di ordine pubblico e sicurezza che non sembrano certo garantiti allo stato dai provvedimenti di urgenza adottati dal governo a fronte dell’emergenza COVID 19. A questo punto si dovrebbe adottare una legge a livello nazionale che fissi tutte queste competenze e dia certezza del diritto, senza affidare poteri discrezionali tanto ampi, in questo momento di emergenza, ad autorità come i prefetti o i vertici militari.
Quali forme di controllo giurisdizionale sull’operato delle forze armate e delle stesse forze di polizia impiegate in operazioni di pubblica sicurezza che limitano la libertà di circolazione sono oggi previste ed effettivamente azionabili, in un momento in cui viene fortemente limitata la libertà di circolazione e si è ridotto l’accesso alle sedi della giustizia, con il blocco quasi completo del funzionamento di Tribunali e organi di difesa legale?
Sono certamente da sanzionare i comportamenti irresponsabili di chi si sottrae alle limitazioni previste dalle leggi e dai decreti del governo. Ma quale possibilità di difesa effettiva rimane ai cittadini, ed in particolare ai soggetti più vulnerabili, come gli immigrati irregolari, o trattenuti nei centri di permanenza per i rimpatri o per coloro che vengono espulsi dal sistema di accoglienza? Analoghi problemi si potrebbero porre per i cittadini italiani e per le persone straniere in regola con il permesso di soggiorno. Sono già numerosi i casi di persone fermate soltanto perchè uscite di casa ed intimate verbalmente di farvi rientro, senza alcuna valutazione delle ragioni del loro movimento, che la legge ammette ancora per attività di esercizio fisico, oltre che per l’acquisto di generi di prima necessità e per motivi di salute. Si stanno moltiplicando le condizioni di clandestinità per tutti coloro che sono privi di un alloggio stabile come gli occupanti di case. Per non parlare della situazione dei senza fissa dimora, decine di migliaia di persone allo sbando da tempo, che oggi vengono individuate come la nuova categoria degli “untori” e ricevono denunce in serie.
Sulla carta rimane il chiaro principio scolpito dall’art. 24 della Costituzione (e confermato dalla Convenzione Europea dei diritti dell’Uomo), chiunque può agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e dei propri interessi legittimi, ma quanto sarà possibile garantire effettivamente questo diritto alla difesa? E quanto resteranno le forze dell’ordine, ormai dotate di un enorme potere discrezionale nella valutazione dei comportamenti individuali, nel solco di quella imparzialità e di quel principio di legalità che in base alla Costituzione ne deve caratterizzare ogni attività soprattutto quando interferisce con i diritti di libertà ? Abbiamo già visto quale uso abbiano fatto alcuni prefetti del potere di ordinanza per impedire riunioni democratiche di lavoratori che rischiavano di perdere il posto di lavoro.
Come si rileva in dottrina, secondo quanto ha osservato la Corte Costituzionale riguardo al potere dei sindaci di emanare ordinanze in materia di sicurezza urbana, «ogni conferimento di poteri amministrativi deve rispettare il principio di legalità sostanziale, posto a base dello Stato di diritto». Secondo la Consulta, «non è sufficiente che il potere sia finalizzato dalla legge alla tutela di un bene o di un valore, ma è indispensabile che il suo esercizio sia determinato nel contenuto e nelle modalità, in modo da mantenere costantemente una, pur elastica, copertura legislativa dell’azione amministrativa» .
Le ordinanze prefettizie che già negli scorsi anni limitavano la libertà di circolazione nelle cosiddette zone rosse sono state un precedente che oggi è opportuno considerare per valutare la legittimità dei compiti che gli stessi prefetti possono assegnare oggi a militari dell’esercito con funzioni di pubblica sicurezza. Dopo l’istituzione di tante “zone rosse” adesso tutta l’Italia è diventata una gigantesca “zona rossa”. E le basi legislative delle attività di pubblica sicurezza in materia di libertà di circolazione appaiono sempre più incerte.
Occorre ribadire, come hanno fatto i primi commentatori dei provvedimenti emergenziali adottati dal governo in materia di COVID 19, il richiamo al fondamentale dictum della Corte Costituzionale risalente alla sentenza n. 8/1956 in materia di ordinanze prefettizie: “efficacia limitata nel tempo in relazione ai dettami della necessità e dell’urgenza; adeguata motivazione; efficace pubblicazione nei casi in cui il provvedimento non abbia carattere individuale; conformità del provvedimento stesso ai principi dell’ordinamento giuridico”; ribadito dalla sentenza n. 26/1961 che tornò a qualificare le ordinanze di necessità ed urgenza come “atti amministrativi vincolati ai presupposti dell’ordinamento giuridico” .
Siamo tutti chiamati ad esercitare in prima persona il massimo sforzo di sorveglianza democratica. Si corre il rischio che, di fronte al prevedibile aggravarsi della crisi sanitaria, presto anche l’Italia possa ricorrere all’ art. 15 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, secondo cui “in caso di guerra o in caso di altro pericolo pubblico che minacci la vita della nazione le parti contraenti possano adottare misure in deroga agli obblighi pattizi – con l’eccezione dell’intangibilità del diritto alla vita – nella “stretta misura in cui la situazione lo richieda …“. Nessuno, in una Unione Europea tanto sfilacciata e sotto il ricatto dei governi sovranisti, muoverebbe un dito per salvare la fragile democrazia italiana, dopo che tutti i paesi dell’Unione si stanno affrettando a sbarrare le frontiere Schengen e non sembrano disposti ad offrire alcuna solidarietà sul piano economico.
Responsabilità delle istituzioni e compiti dei cittadini
Tocca adesso ai cittadini autorganizzarsi sui territori per svolgere una attività capillare di monitoraggio, e di documentazione, anche dalle proprie case, su attività di pubblica sicurezza caratterizzate da uno spettro tanto ampio di discrezionalità. Spetta alle organizzazioni non governative, a tutte le associazioni che si battono per i diritti umani, promuovere le reti legali di difesa sociale già esistenti per garantire un effettivo accesso alla giustizia e la tutela legale nei procedimenti penali che dovessero essere aperti per effetto di accertamenti arbitrari da parte delle diverse autorità, adesso anche l’esercito, alle quali si sono attribuiti poteri tanto estesi di controllo sulla mobilità delle persone.
Occorre garantire soluzioni immediate di accoglienza straordinaria per i senza fissa dimora e va ricostituito il sistema di accoglienza per i richiedenti asilo ed i titolari di protezione, bloccando le espulsioni in corso.
Le carceri vanno decongestionate, anche con misure straordinarie, e va garantito un regime controllato di comunicazione con l’esterno, come osserva anche il Garante nazionale per i detenuti e le persone private della libertà personale, senza pregiudizio per i regimi alternativi alla detenzione che vanno ampliati. Al loro interno devono essere garantiti gli stessi standard di sicurezza sanitaria che sono previsti per tutti i cittadini, questo vale tanto per gli operatori penitenziari che per le persone detenute. L’art. 32 della Costituzione che garantisce il diritto alla salute vale per tutti, ovunque si trovi, quale che sia la sua condizione giuridica.
Vanno evacuati i centri di detenzione amministrativa, con la chiusura immediata dei CPR ( centri per i rimpatri) bloccando immediatamente gli ingressi di altre persone da sottoporre al regime di trattenimento amministrativo, anche a fronte del blocco delle procedure di espulsione, effetto delle scelte di chiusura delle frontiere e dei voli dall’Italia adottate dai paesi di origine. Vanno comunque applicate, ovunque possibile, le procedure alternative al trattenimento nei CPR previste dalla legge.
Sul piano politico più generale vanno salvaguardati e rinforzati tutti i canali di comunicazione, anche a livello internazionale, per mantenere alta la circolazione di idee e la partecipazione democratica in un momento in cui viene interdetta la libertà di riunione. Anche per prepararsi ai prossimi scossoni che verranno dalla politica quando le destre passeranno all’attacco per consolidare il controllo politico e il supporto di ampi settori delle forze dell’ordine, che già detengono. In un paese che, a partire dalle false emergenze immigrazione, si è dimostrato indifferente rispetto alla lenta erosione subita dai principi democratici sanciti dalla nostra Costituzione.
“Avevo deciso di non intervenire. Ho taciuto e taccio sui dpcm, ora non è il momento delle analisi, poi ci interrogheremo sulla legittimità di tale strumento, sostanzialmente inoppugnabile, che sfugge al controllo di parlamento, presidente della Repubblica e corte costituzionale. E non mi si dica che é impugnabile in sede di giustizia amministrativa, perché la vedo dura. Si collocano in una zona grigia tra atto politico ed atto amministrativo con una incidenza fortemente restrittiva dei diritti fondamentali. Vabbè avremo tempo di parlare di riserva di legge e principio di legalità. Ora facciamo quadrato! Ma quello che, ora, non può essere tollerato é il crescendo giuridico di De Luca. Oggi ha emanato una ordinanza, la n. 15, da Stato di polizia, si è sostituito agli organi dello Stato, disponendo provvedimenti non attuativi, esecutivi o integrativi, ma molto più restrittivi degli atti statali. Da stasera, la libertà di circolazione, in Campania, con provvedimento amministrativo regionale é di fatto non limitata, ma negata. C ‘è un limite all’approccio sostanzialistico del diritto, e soprattutto del rispetto Stato di diritto.”.
Alberto Lucarelli , costituzionalista, Professore di Diritto Costituzionale Università Federico II di Napoli