di Mauro Seminara
Hanno trascorso la notte sul cemento della banchina di Molo Favarolo dopo avervi passato anche il giorno con un clima tipicamente estivo. La notte è stata calda, e questo ha concesso loro di patire meno la lunga attesa notturna all’addiaccio. Una notte forse anche serena, lontani da trafficanti e maltrattamenti vari. Ma di contro anche incerta. Sul loro destino nessuno sa nulla di sicuro. Trasferiti in nave con il traghetto che collega le Pelagie alla Sicilia, hanno avuto il primo passaggio verso la destinazione ordinata dal Ministero dell’Interno e nella quale trascorreranno il periodo di quarantena di 14 giorni dovuta al Covid-19. Sono arrivati ieri, in completa autonomia, a Lampedusa e per loro non è previsto l’isolamento su hotspot galleggiante.
La nave ripetutamente richiesta dal sindaco di Lampedusa non è ancora pronta e per gli sbarchi autonomi si procede con un protocollo concertato di volta in volta come un canovaccio senza esatto copione. Il dibattito nazionale si è spostato, nei giorni scorsi, sulla regolarizzazione degli immigrati che lavorano in Italia. Un esercito di braccianti stagionali e badanti che ha mandato avanti l’Italia in pieno lockdown da pandemia di Covid-19, ma che fino a pochi mesi addietro – con il precedente Governo – dovevano far parte di un programma elettorale che li vedeva tutti espulsi tutti e 600.000. Adesso sono la salvezza, ma anche il punto debole di un sistema sanitario che non si prende cura degli invisibili, dei nuovi schiavi che non si possono rivolgere ad un medico se stanno male. Questi ultimi cento arrivati, per fortuna, stanno bene. La temperatura corporea un po’ sopra la media di alcuni al momento dello sbarco, come anticipato ieri, era dovuta a fattori contingenti e già nel pomeriggio nessun decimo di grado in più era stato rilevato dai medici.
Sulla nave Cossyra, che prima del tramonto avrà già ormeggiato a Porto Empedocle, ci sono 100 persone che includono donne e bambini. Sono partite dalla Tunisia e, probabilmente, spetta loro un futuro di sfruttamento tra i campi e lo spaccio, tra il marciapiede e qualcosa di peggio. L’arrivo è infatti quello di un approdo in terra di diritti umani smarriti. Una banchina di cemento per il giorno e per la notte, un trasferimento in nave per la reclusione in altra struttura dove attendere la quarantena, poi l’esito della Commissione territoriale che valuta la loro richiesta di protezione umanitaria, infine il Centro per il Rimpatrio (CPR) oppure una protezione che non prevede nessuna forma di inserimento sociale. Uno di quei percorsi da binario morto in cui alla fine per sopravvivere si dovrà delinquere, ed a quel punto ci sarà sempre qualcuno che farà notare come il migrante cattivo ricambia l’accoglienza concessa dall’Italia. Una storia che si ripete da decenni e che nessuno sembra intenzionato a cambiare. Forse perché a tutti fa comodo così. Anche a quelli che si lamentano.