di Vittorio Alessandro
I migranti usciti indenni dal canale di Sicilia sono stati suddivisi in categorie: ci sono i “fortunati” raccolti da unità italiane nelle nostre acque SAR, quelli salvati da unità straniere fuori da quell’area e infine quelli che arrivano da soli (i cosiddetti “sbarchi autonomi”). Solo ai primi il decreto interministeriale dello scorso 4 aprile concede il “Place of safety” (obbligatorio per tutti a norma della convenzione di Amburgo, ma soprattutto per dettato costituzionale), dato che “per l’intero periodo di durata dell’emergenza sanitaria nazionale i porti italiani non assicurano i necessari requisiti per la classificazione e definizione di luogo sicuro”.
La sorte di tali sventurati, dunque: a) se sono stati salvati da una nave straniera, è affidata allo Stato di bandiera: per esempio, il cargo Marina, 6.500 tonnellate, bandiera Antigua Barbuda (remota isola fra le due Americhe), sta attendendo da due giorni che qualcuno assegni un porto in cui poter sbarcare le 78 persone salvate; b) se il soccorso è stato coordinato da Malta o dalla Libia, è affar loro, che pure hanno dichiarato insicuri i propri porti (quelli libici lo sono sempre stati). A questi migranti, in sostanza, benché nessuno lo dica, sono riservati il silenzio e il disinteresse che, in mare, equivalgono a una condanna. Il governo non lo dice, ma si augura che nessuno li veda, salvo che non siano capaci di approdare autonomamente: la via darwiniana alla sopravvivenza in mare.
Così inumana e scombinata è tale disciplina, da dar luogo a conseguenze dolorose o paradossali. La prima (e più grave) è che il grido di allarme non venga ascoltato; che venga rimbalzato da un’autorità all’altra senza che il disimpegno dell’una vincoli l’altra a intervenire (la convenzione di Amburgo prevede anche questo); che la richiesta di soccorso non venga ascoltata dalle navi in transito o (come è successo) le induca ad avvicinarsi per poi correre via.
Altrettanto grave è che si legittimino gli accordi segreti intercorsi tra Malta e Libia per praticare programmatici respingimenti, ipotesi ora al vaglio della magistratura maltese.
Paradossale è che il decreto venga infranto dallo stesso governo che l’ha concepito, per esempio accogliendo i 183 naufraghi salvati da “Alan Kurdi” e “Aita Mari”, salvo sottoporli ad una interminabile quarantena su una nave noleggiata a peso d’oro; oppure attendendo che i disperati entrino nelle nostre acque SAR per potersi sentire chiamati in causa; o ancora abbandonare le persone salvate su una banchina.
Paradossale, infine, è il decreto datato 12 aprile con cui il Capo della Protezione Civile ha previsto l’ennesimo incarico emergenziale (come se le Prefetture non esistessero): il Soggetto Attuatore preposto “all’assistenza alloggiativa e alla sorveglianza sanitaria delle persone soccorse in mare e per le quali non è possibile indicare il “Place of Safety” (luogo sicuro) ai sensi del decreto interministeriale citato in premessa e di quelle giunte sul territorio nazionale in modo autonomo”.
In sostanza, un curatore di pratiche che la norma ha vietato.