di Vittorio Alessandro
Ai pellisquadre del “Nuova Iside” che, dopo tanto aspettare, ieri erano tornati a pescare e, dopo tanto fermo, macari il motore della barca li ha lasciati al mare tradimentoso e non li ha riportati nel porto.
«Oh, la barca, la barca, dove il pellesquadra passava la sua vita perché, o ci stava sopra o aspettava di starci, perché la barca per lui era quella che per un altro è terra sotto i piedi, e senza la barca si riduceva a un verme di terra: si sentiva provvisorio, che viveva e non viveva, si sentiva in altre parole, come si sente un altro quando dice che gli pare di non stare né in cielo né in terra. Oh, la barca, che si può dire che gli fa da culla e bara al pellesquadra, e non solo metaforicamente parlando, e non solo per il fatto che lassòpra, laddèntro si comincia, e lassòpra, laddèntro si finisce, ma anche letteralmente parlando era culla ed era bara: ed era perché, tante volte, pellesquadra e barca crescono insieme, e tante volte la barca nuova, bella pittata e odorosa, gli fa da culla al muccusello le prime volte che esce a chiumma, perché all’apparire del sole, mentre i pellisquadre, i remi in barca, tirano il conzo, lo vince fatalmente il sonno e la barca che fa dondolio sull’onda, lo convince a chiudere gli occhi, lo culla; e tante volte crescono pure insieme e vanno insieme a disarmo e insieme sottoterra pure, i pellisquadre, e quella diventa la loro bara, una bara intartarata di sale, scafata fra le ordinate di pino silano o di pino di Slovenia. Oh, non la pensavano più la barca, non pensavano più, in altre parole, che era come se il loro passaggio sulla terra si svolgesse per mare, in barca, né che era come se il vaeviene di barche fra mare e terra era lo stesso vaeviene fra la vita e la morte».
Ai pellisquadre del “Nuova Iside” che, a causa dell’epidemia, erano rimasti fermi all’improvviso come tutti noi, «come i pupi dell’Opera che restano come li lascia il puparo, dando l’illusione di continuare la scena dal punto in cui il puparo li ha mollati, ma illusione è e illusione rimane».
(Grazie a Stefano D’Arrigo e a “Horcynus Orca”)