di Mauro Seminara
Altre barche cariche di migranti si trovavano in mare ieri, malgrado la stagione stia proponendo ancora giorni di meteo marino non del tutto agevole. Nel pomeriggio, alle 17:30, un pattugliatore della Guardia di Finanza ed una motovedetta SAR classe 300 della Guardia Costiera hanno tolto gli ormeggi da Lampedusa per recarsi in direzione di un “barcone” che navigava verso le acque territoriali. La barca con le persone migranti non è stata raggiunta quando già possibile, ma pare sia stata “attesa” all’interno delle acque territoriali come ormai da consueto protocollo. Il SAR (ricerca e soccorso) di una barca in pericolo è stato sostituito dal solo law enforcement (attività di polizia) per immigrazione clandestina. Anche se poi, una volta in acque territoriali interviene la Guardia Costiera per mettere in sicurezza le persone operando un trasbordo.
Fiamme Gialle e Guardia Costiera sono entrate in porto intorno alle 22 con i migranti ripartiti tra le due unità navali, circa 70 per motovedetta. A bordo del piccolo peschereccio in legno c’erano infatti 136 persone. La barca, secondo fonti interne, sarebbe partita dal porto tunisino di Sfax e come nei precedenti casi a bordo c’erano molte donne della Costa D’Avorio. Con maggiore esattezza, sul piccolo peschereccio tunisino – circa 7 metri di legno – c’erano 83 uomini, 46 donne e 7 minori tra cui anche bambini e non accompagnati. Le nazionalità invece sono quelle della Costa d’Avorio, del Congo, della Guinea, del Mali ed ovviamente della Tunisia. Questi ultimi sono solitamente anche i marinai esperti capaci di condurre la barca senza complicazioni nel porto pelagico. I migranti, dopo lo sbarco e le visite mediche del triage in banchina, sono stati trasferiti presso i locali parrocchiali della Casa della Fraternità.
Il centro di prima accoglienza di Lampedusa è ormai luogo di quarantena e pertanto off limits fino a trasferimento dei 115 migranti chiusi in struttura. La nave traghetto che collega Lampedusa alla Sicilia ieri non ha tolto gli ormeggi per raggiungere le Pelagie causa avverse condizioni meteo e la nave Moby Zazà è reduce della tragedia della scorsa notte con una inchiesta aperta dalla Procura di Agrigento. Lampedusa è quindi, per l’ennesima volta, isolata e congestionata. A salvare la baracca, almeno per la dignità delle persone sbarcate ieri sera, è ancora una volta la Parrocchia con la disponibilità dei suoi locali ormai prossimi al ruolo di secondo centro di prima accoglienza dell’isola. Da quando era stata annunciata la “prossima” ristrutturazione del centro di prima accoglienza di Lampedusa, a fine ottobre dello scorso anno, dal ministro dell’Interno Luciana Lamorgese, sono trascorsi ormai sette mesi, e la struttura è ancora capace di soli 96 posti. Impensabile una ristrutturazione in piena estate, con il flusso di arrivi in sensibile aumento e difficoltà logistiche già con questo assetto.
La barca fermata dalle unità navali di Lampedusa non era l’unica segnalata nelle vicinanze dell’isola. Un’altra imbarcazione era stata avvistata a 35 miglia ovest-sudovest dell’isola. Se dell’arrivo a Lampedusa siamo stati testimoni ed abbiamo potuto documentare lo sbarco (vedi foto e video in basso), sulla seconda imbarcazione abbiamo decisamente meno informazioni che possano aiutare a stabilire quante persone ci sono a bordo e da dove sono partite. Quello che abbiamo appreso però è che il natante si trovava a circa metà della distanza che separa Sfax da Lampedusa, in area SAR di competenza di Malta, e che non ha avuto la stessa fortuna nella navigazione del piccolo peschereccio che in autonomia ha raggiunto le acque territoriali di Lampedusa.
Sulle coordinate dell’imbarcazione è stato dirottato un mercantile dalla sala operativa della centrale di coordinamento soccorso marittimo di La Valletta (JRCC). Il cargo, “Maren”, un portacontainer con bandiera cipriota diretto a Tangeri, in Marocco, ha assunto l’onere dell’intervento circa venti minuti alle 19 di ieri. Da quell’ora e fino a questa mattina il Maren ha effettuato una lunga serie di giri concentrici spostandosi, tra un loop e l’altro, verso sudest (vedi tracciato a destra). Sempre però in posizione pressoché equidistante dalle acque territoriali italiane delle Pelagie. Il cargo, partito dal porto tunisino di Sfax come la barca di migranti giunta a Lampedusa, ha impiegato dodici ore – fino ad ultimo aggiornamento di questo articolo – girando come se stesse ancora cercando qualcosa che le forti correnti provenienti da nordovest stavano spingendo verso sudest. La posizione del punto di inizio ricerca era stata “confermata” dall’orbita del velivolo Frontex – il cui nome è Osprey3 – tracciato come al solito abilmente dal cronista di Radio Radicale Sergio Scandura (tracciato in basso) malgrado le ultime restrizioni alla pubblicazione dei tracciamenti di volo su alcune piattaforme.
Non si ha più notizia della barca fantasma maltese che la notte tra sabato e domenica aveva soccorso un natante in pericolo, carico di persone migranti, a circa 30 miglia sud di Lampedusa. La barca era invisibile ai tracciamenti AIS (il sistema automatizzato di identificazione) ed anche quando questa si era fermata a circa 18 miglia sud-sudovest di Lampedusa non era possibile identificarne l’esatta posizione. Come per il “Dar Al Salam 1”, la barca fantasma del capitano Carmelo Grech intervenuta nel caso della tragedia di Pasquetta – costata la vita a 12 persone ed un respingimento in Libia ai 51 superstiti – questa barca opera in modalità invisibile come invisibile sarebbe una eventuale barca privata maltese che si troverebbe ad intervenire sul natante per cui è stato dirottato il cargo Maren. Il silenzio di Frontex, della Guardia Costiera e della Guardia di Finanza, del Ministero dei Trasporti e dell’Unione europea su qualunque argomento possa riguardare il soccorso in mare a persone migranti rende ancora oggi il tratto di Mediterraneo che separa il nord Africa dal sud Europa un buco nero capace di far sparire fatti e persone. Se a sud di Lampedusa, o di Malta, si verificasse un naufragio, probabilmente non verremmo a sapere nulla. Almeno fino a quando il Mar Mediterraneo non dovesse decidere di restituire i corpi delle vittime sulle coste europee in seguito ad una sorta di rigetto di madre natura.
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