di Vittorio Alessandro
Ottant’anni fa, il 10 giugno 1940, l’Italia entrò in guerra e vorremmo che il precipizio dal quale cadde mezzo milione di italiani – sul fronte, nella guerra fratricida, e deportati – fosse immensamente lontano da noi, non solo nel tempo e resterà invece recente finché, come scrive Giorgio Manganelli, l’ultimo di noi non sarà stato condannato.
I fatti che portarono fino al discorso pomeridiano di Palazzo Venezia (“Un’ora, segnata dal destino, batte nel cielo della nostra patria, l’ora delle decisioni irrevocabili”) appaiono invece molto prossimi al mondo attuale: le intemperanze nazionalistiche, il sondaggio consegnato a Mussolini, le sue private incertezze, le resistenze della Borsa e della Chiesa.
La storia produce grumi in cui va a raccogliersi, come nello sbocco di una cloaca, ciò che l’interesse di alcuni e il disinteresse di molti hanno prodotto anche in tempi molto brevi, e non c’è lezione del passato che ci metta al riparo. Perentorio fu Eugenio Montale: “La storia non è magistra / di niente che ci riguardi. / Accorgersene non serve / a farla più vera e più giusta”.