di Mauro Seminara
Sono ormai venti anni che in Italia si parla di emergenza sbarchi. L’Italia, il Paese delle emergenze, eternamente privo di programmazione a medio-lungo termine anche sul piano industriale, si sa, con le emergenze ci è sempre andata a nozze. Forse è per questo che dopo venti anni ancora è un’emergenza quella degli sbarchi. Ma, pur essendo un’emergenza che si rinnova anno dopo anno, in Italia mancano posti per accogliere i migranti che arrivano senza passaporto. Cioè, mancano i luoghi in cui rinchiudere tutte quelle persone cui è stato negato un visto o che hanno bisogno di protezione e che sono – per disgrazia dei manovratori – riusciti a sfuggire agli artigli (potenziati dalla stessa Italia) dei libici che li catturano e li riportano in quel luogo non sicuro di cui parlano fior di report delle Nazioni Unite e delle varie agenzie che vi fanno capo, di Amnesty e di varie Ong al di sopra di ogni sospetto.
L’emergenza sbarchi è adesso ulteriormente legittimata dall’emergenza sanitaria del Covid-19. Una emergenza sulle emergenze che rende tutto perfetto per disfarsi del noioso Parlamento e decidere tutto senza il parere della rappresentanza popolare. In questo “idilliaco” contesto, parlando di persone migranti da gestire in inevitabile stato di emergenza, la soluzione non è certamente strutturale ma galleggiante. Proprio la nave Moby Zazà, che tutto sommato è costata solo qualche milione di euro – circa uno al mese di solo noleggio – ed una vita umana, appare quindi essere il modello da replicare. Ed in perfetta emergenza, con avviso pubblicato dai Ministero degli Interni e dei Trasporti il 13 luglio, il Governo italiano cerca una nuova nave “da adibire a strutture provvisorie per l’assistenza e la sorveglianza sanitaria di migranti soccorsi in mare o giunti sul territorio nazionale a seguito di sbarchi autonomi“. Secondo tentativo dopo un primo la cui gara è andata deserta e per il quale il termine per la presentazione delle offerte è scaduto alle 24 del 16 luglio 2020. Questa volta però, informa il Viminale mediante l’agenzia di stampa Ansa, sono state tre le manifestazioni di interesse tra cui scegliere. Per il giorno successivo, cioè oggi, era invece fissata la scadenza per le offerte di un’altra nave: quella che dovrebbe fare da “nave passeggeri migranti” tra Lampedusa e Porto Empedocle.
La struttura del centro di prima accoglienza di Lampedusa vede ancora tra i padiglioni uno scheletro di acciaio, con impalcatura ma senza operai. Anche il resto della Sicilia è costellato di centri per migranti, con vari statuti e funzioni, in stato di degrado o chiusi per interventi di ristrutturazione o manutenzione ancora non eseguiti dopo anni di attese. Non è chiaro dove tutto si è fermato, anche perché dovrebbe essere esaminato caso per caso con ogni singola struttura ed ogni singola Prefettura quale amministrazione committente. Sappiamo però che l’accoglienza è stata gestita con i fondi per la cooperazione – quelli per i progetti con cui “aiutarli a casa loro” – e che il bando per la nuova “nave hotspot” ha degli importi di spesa, che il Governo intende sostenere, chiari ma poco rassicuranti ai fini del bilancio interno dello Stato: “Il costo per lo svolgimento del servizio è costituito da un corrispettivo a corpo, pari a € 3.030.000,00, oltre I.V.A., ed uno a misura, pari a € 1.007.475,00, oltre I.V.A, secondo quanto indicato nell’Allegato tecnico, per un importo stimato complessivo pari ad € 4.037.475,00 oltre I.V.A., e trova copertura sulle risorse all’uopo stanziate dal Dipartimento della protezione civile. In deroga all’articolo 106 del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, qualora in corso di esecuzione le circostanze emergenziali lo richiedano, si provvederà all’aumento o alla diminuzione delle prestazioni anche oltre il quinto dell’importo del contratto.“
La proroga dello stato di emergenza sanitaria in scadenza – 31 luglio – che slitta al 31 dicembre pone anche questo intervento “legittimamente” in deroga all’articolo 106 del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50. L’allegato tecnico dell’avviso per le manifestazioni di interesse precisa che: “La scadenza della durata del contratto è fissata al 31 ottobre 2020, salvo completamento, da parte dei migranti a bordo della nave alla data del 31 ottobre 2020, del relativo periodo di quarantena precauzionale, nonché fatte salve eventuali proroghe contrattuali, anche in deroga all’articolo 106, comma 11, del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50.” Il Governo italiano intende quindi trattenere i migranti anche a bordo di una seconda nave, e “la nave ‘Moby Zaza’, dal mese di giugno adibita per questo scopo e tutt’ora in Sicilia, continuerà comunque ad essere utilizzata come struttura per la quarantena fino alla conclusione del periodo di sorveglianza obbligatoria previsto per i migranti attualmente a bordo“.
La predetta Moby Zazà aveva il suo limite di capienza fissato all’aggiudicazione in 250 posti per migranti. Per il nuovo hotspot galleggiante, in affiancamento a Moby Zazà, l’allegato tecnico all’avviso precisa che le offerte devono riguardare una nave con “disponibilità di un numero di cabine atte ad ospitare un numero di circa 250 migranti in regime di quarantena (orientativamente da impiegare ad uso singolo ad eccezione di eventuali nuclei familiari)“. Per questa nuova impresa, come già riportato, “il corrispettivo complessivo stimato è pari ad € 4.037.475,00, oltre IVA, per i 101 giorni di esecuzione dell’appalto, di cui € 3.030.000,00, oltre I.V.A., da corrispondersi a corpo, ed € 1.007.475,00, oltre I.V.A, da corrispondersi a misura“. Unico neo dell’operazione, a parte il migrante morto a Porto Empedocle dopo il salto dal ponte 6 della Moby Zazà