Tony Troja è un artista a tutto tondo. Cantante e cantautore con una vena satirica marcata, youtuber e gran provocatore. Forse un po’ sopra le righe nei toni, ma solitamente a centro sul punto che intendeva far risaltare quando “attaccava” qualcosa che a suo avviso non funzionava. In Italia di cose che non funzionano ce ne sono parecchie e gli interventi di satira, o di schietta critica, di Tony incarnavano un sottofondo di rabbia che spesso ha contraddistinto molti artisti della satira. Verrebbe da chiedersi come Tony Troja descriverebbe il suo caso, se potesse. L’artista palermitano è infatti agli arresti domiciliari dal 18 aprile di quest’anno. Una misura interdittiva pesante che sta scontando presso il proprio domicilio in modo anche piuttosto rigido. Vari controlli, da parte delle forze dell’ordine, del rispetto della misura da parte del condannato e criticità nel rapporto con il Tribunale stanno caratterizzando la pena che Troja sta scontando già da due mesi. Pena complessiva già scontata, se Tony Troja non avesse “tralasciato” di seguire il procedimento a suo carico. L’artista pare stia prendendo decisamente male ciò che gli è accaduto e le sue condizioni psico-fisiche, a detta della moglie, stanno progressivamente degenerando. Per questa ragione è stata richiesta la visita del medico di base, e di fiducia, di Tony Troja già tre settimane addietro. La richiesta, sempre secondo quanto afferma la moglie di Troja, giace in attesa di approvazione del Tribunale da tre settimane mentre l’artista costretto ai domiciliari continua a lasciarsi andare in uno stato che potrebbe rivelarsi una grave depressione.
La vicenda parte da una accusa che Tony Troja lanciò sulla propria pagina Facebook e nella quale definì un generale della Guardia di Finanza con l’epiteto di “buffone”. Il post Facebook, sfogo di Troja che si sarebbe rivolto un paio di volte alle Fiamme Gialle per sporgere una denuncia, quindi in cerca di tutela, e non avrebbe ricevuto neanche la disponibilità di formalizzare l’esposto, arriva sul social quale epilogo di una vicenda personale che pare abbia fatto maturare nell’artista grave tensione. Premesso che Tony Troja è noto al pubblico per il suo linguaggio marcatamente provocatore, il “buffone” in questione è stato notato e querelato quale diffamazione dal generale della Guardia di Finanza a cui era rivolto. La vicenda di Troja, da quel momento, prende una strana piega che ha quale epilogo la misura disposta dal Tribunale a cui egli si trova adesso sottoposto. Tony Troja non avrebbe ricevuto, o disatteso, le notifiche del Tribunale presso cui era stato rinviato a giudizio per diffamazione e successivamente avrebbe anche impedito, secondo l’Ufficio Esecuzione Penale Esterna, le indagini agli assistenti sociali. “Gli atti sono stati notificati ad un indirizzo diverso da quello dell’elezione di domicilio”, puntualizza Maria Rosaria Zoppi, moglie di Tony Troja. “Quindi – conclude Maria Rosaria Zoppi – mio marito non ha ricevuto gli atti”. Con gli avvisi notificati presso un indirizzo errato, come spiegato dalla moglie, Tony Troja è stato comunque processato e condannato in contumacia senza sapere che c’era un processo e che gli assistenti sociali sarebbero stati “ostacolati” nello svolgimento delle proprie funzioni. Oggi, la signora Maria Rosaria Zoppi, moglie di Tony Troja, ha scritto una lettera aperta al giudice di sorveglianza da cui attendono l’autorizzazione per la visita del medico del condannato a cinque mesi per diffamazione. La lettera non è soltanto un appello al giudice, Pietro Cavarretta, ma è condita di varie – più o meno velate – denunce per le quali pare si stia adoperando l’avvocato di Troja.
Ricevuta la lettera aperta che la signora Maria Rosaria Zoppi rivolge al magistrato di sorveglianza, la pubblichiamo integralmente:
“Egregio Dottor Pietro Cavarretta, avrei voluto scrivere una lettera al Presidente Mattarella, ma mi è sembrato giusto e doveroso, prima di tutto, inviare queste poche righe alla Sua attenzione. Sono la moglie dell’artista Tony Troja, quest’ultimo agli arresti domiciliari, dal 19 aprile, per una banale diffamazione a mezzo stampa. Scrivo “banale” perché oggi è troppo facile essere querelati per una parola detta o scritta su un social network. A mio marito è stato detto di tutto: mafioso, essere immondo, criminale, disonesto. Ma ogni volta che ha sporto querela, è stato tutto archiviato. Però dare del buffone (semanticamente) ad un generale della Guardia di Finanza, come ha fatto mio marito, pare sia decisamente più grave. Ma io ritengo che la cosa più grave sia vedere mio marito trattato come un criminale.
Io non lo so se Lei sia lo stesso magistrato di sorveglianza che nel 2004 ha deciso di concedere la semilibertà ad Angelo Izzo (già uno dei responsabili del “Massacro del Circeo” del 1975) e che, proprio grazie alla semilibertà del 2004, ha ucciso due donne un anno dopo, nel cosiddetto “Massacro di Ferrazzano”. Non so se sia Lei o sia un caso di omonimia. Ma so benissimo che mio marito non è Angelo Izzo e si trova agli arresti domiciliari per gravi e palesi errori di burocrazia e di giustizia. Errori che siamo pronti a dimostrare in qualunque sede ma che potremo, comunque, dimostrare solo al termine di questa assurda condanna a cinque mesi di detenzione domiciliare.
Le scrivo questa lettera per farle sapere che trovo inammissibile che una persona di specchiata onestà morale e famosa in tutti gli ambienti a lui vicini per la propria rettitudine, si trovi ad essere trattato come un criminale qualunque. Stendo un velo pietoso sui controlli che sono stati fatti anche di notte (in presenza di un minore e con i risvolti psicologici di conseguenza) e anche tre volte in un solo giorno, come se fossimo in presenza di un serial killer o di un pedofilo (e non mi venga a raccontare che tutto ciò sia normale). Lei potrebbe pensare che mio marito, per essere finito ai domiciliari, si sia meritato questa detenzione. Esattamente come la pensano tutti quei detrattori che criticano duramente mio marito solo perché sa fare il proprio mestiere. Ma non è così, altrimenti non le scriverei questa lettera.
Caro Magistrato, ma lei pensa davvero che un uomo come mio marito, che non ne lascia passare una a nessuno, improvvisamente si disinteressi di un procedimento a proprio carico che lo avrebbe portato finalmente in tribunale per spiegare il motivo per il quale ha apostrofato come buffone il generale della Guardia di Finanza Domenico Achille, e si disinteressi di contattare l’UEPE per essere affidato in prova ai servizi sociali preferendo paradossalmente una detenzione domiciliare? O ancora peggio, che oltre a disinteressarsi delle cose di cui sopra, decida di non farsi trovare in casa durante i controlli e quindi essere tradotto in carcere? E Lei pensa che io sia stata così idiota da lasciare che mio marito si disinteressasse di tutto questo?
Sicuramente lei non conosce mio marito e, giustamente, secondo i suoi parametri e secondo quel motto scritto in tutte le aule dei tribunali, Lei pensa che la Legge sia uguale per tutti. Ebbene, caro Magistrato, le dico che la Legge non è uguale per tutti. Perché, pur potendo usufruire di permessi premio come tutti i detenuti, Lei ha negato a mio marito il diritto di mantenere i rapporti familiari (come prevede la Legge) non facendolo partecipare alla comunione di nostra nipote (nonché mia figlioccia), perché secondo Lei non si trattava di una “ragione di necessità”. E per lo stesso motivo, Lei ha negato a mio marito di concedere un’intervista radiotelevisiva nella quale avrebbe spiegato le ragioni di questa assurda detenzione. Perfino a Raffaele Cutolo fu concessa l’intervista con Enzo Biagi. Ritiene forse che mio marito sia più pericoloso di Raffaele Cutolo?
Caro Magistrato, Le scrivo questa lettera perché vorrei che sapesse quanto io, moglie di un uomo detenuto ingiustamente (con prove alla mano), stia vedendo i danni psicologici, fisici e di immagine che sta subendo mio marito anche per le Sue scelte nel negare diritti che un qualunque criminale avrebbe e ha avuto. È stata protocollata un’istanza per visite mediche più di venti giorni fa e ancora Lei non ha deciso se autorizzarle. Per quale motivo? Lei lo sa che mio marito, in questo momento, sta prendendo degli antidepressivi e ha cominciato a soffrire di attacchi di panico (mai avuti prima d’ora)? Cosa dovrei fare, chiamare il 118 e far portare mio marito in ambulanza al pronto soccorso e farlo stare lì almeno otto ore inutilmente in codice bianco per poi rispedirlo a casa, sottraendo risorse ospedaliere a chi, sicuramente, ne ha più di bisogno? Mio marito ha bisogno del suo medico, della persona che, dopo i suoi genitori e me, lo conosce meglio di tutti.
Perché tutto questo accanimento nei confronti di mio marito? Lo ritenete davvero così pericoloso? Ma poi, pericoloso per cosa, avete paura che vi prenda a parolacce a tutti quanti? Siamo seri. E allora per essere seri, Le dico che La ringrazio (anche se non ne avrei minimamente il motivo, perché non si tratta di un favore) per aver concesso a mio marito di svolgere la sua attività di artista. Ma a breve riceverà un’istanza con la richiesta per poter usufruire di un barbiere e della possibilità di poter comperare un paio di pantaloni, visto che mio marito non taglia i capelli e la barba dal 19 aprile e non può di certo andare a lavorare in maniera impresentabile e con i pantaloni logori.
Nella stessa istanza troverà la richiesta affinché mio marito possa andare a trovare il padre malato di tumore. Mi raccomando: neghi anche questo diritto perché ritiene che non si tratti di una “ragione di necessità”. Lei decide le sorti di persone che nemmeno conosce ma è pronto a negare loro diritti fondamentali. Scusi lo sfogo. Sicuramente mi sbaglio su di Lei, e proprio per questo La invito a casa nostra per conoscere me e soprattutto mio marito e la sua storia. Ma se la Legge è uguale per tutti, e di conseguenza questa è la giustizia italiana e questa è l’Italia, mi vergogno di essere italiana e ho paura di vivere in uno Stato in cui la gente paga per errori altrui”.
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