di Mauro Seminara
In un momento di estrema precarietà per la società civile, dettata dalla pandemia cui sono conseguiti limitazioni della libertà personale e una gravissima crisi economica, rischia di passare in secondo piano un temibile attacco alla democrazia che viene alla luce grazie ad un encomiabile inchiesta di Andrea Palladino pubblicata dal quotidiano Domani. Sono certamente tempi bui in cui gli ermellini del Consiglio Superiore della Magistratura e l’organo di garanzia rappresentato dalla Corte Costituzionale sono chiamati a turni di straordinario per vagliare un insieme di eventi potenzialmente catastrofici, dalla sopracitata limitazione della libertà personale che si protrae ormai da un anno alla decisione di imporre i vaccini al personale sanitario con un decreto legge fino alle intercettazioni disposte dalla Procura della Repubblica di Trapani e rivelate da Andrea Palladino.
Esistono tre categorie professionali con precise prerogative cui sono riservate specifiche tutele che garantiscono la vita democratica del Paese invece che, come qualcuno potrebbe pensare, il singolo professionista in questione. Rientrano nel diritto alla riservatezza le comunicazione tra un avvocato ed il proprio assistito, tra un prete confessore ed il cristiano cattolico in confessione, tra un giornalista e la propria fonte. Fatta eccezione per il prete in confessione, almeno per quel che fino ad oggi ci è noto, il diritto alla riservatezza tra avvocati ed assistiti e tra giornalisti e fonti è stato violato nel corso delle indagini per l’inchiesta sul caso Iuventa, la minuta nave della organizzazione non governativa tedesca Jugend Rettet sequestrata a Lampedusa nell’ormai lontano 2017.
Le conversazioni riservate, protette dal diritto nazionale, che nel caso si verificassero in modo indiretto ed involontario andrebbero omesse dalle trascrizioni e non considerate ai fini investigativi, secondo il servizio di Palladino sono invece finite tra le centinaia di pagine di intercettazioni trascritte ed annesse al fascicolo Iuventa. Una quantità enorme di conversazioni che inevitabilmente fa venire in mente la caccia ai pericolosi superlatitanti come l’irreperibile Matteo Messina Denaro, visto il profilo professionale degli intercettati. Ed è strano che l’esempio calzante con il più ricercato tra i boss di Cosa Nostra dell’epoca stragista sia di Castelvetrano, comune in provincia di Trapani. Decisamente strano perché la Procura inquirente è proprio quella di Trapani. Forse poco meritevole in quanto a lotta alla mafia, notoriamente potente nel territorio e mandamento di Messina Denaro, forse troppo zelante nel dare la caccia agli operatori delle organizzazioni non governative colpevoli di salvataggi in mare. Inoltre, c’é da aggiungere che se una Procura dovesse violare tali diritti intercettando comunicazioni riservate di avvocati, forse Matteo Messina Denaro sarebbe in carcere da parecchio. Ma non è possibile e le ragioni sono indiscutibili.
La Procura di Trapani aveva avviato un inchiesta, al secolo, partendo da rivelazioni rese da due ex agenti di Polizia che, operando per conto di una agenzia di sicurezza privata a bordo di una nave Ong, sempre per merito di Andrea Palladino, si scoprì essere prima procacciatori di prove da “donare” alla Lega di Matteo Salvini ed al Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni e poi essere anche produttori di prove false spinti forse più da personale ideologia che da propositi di collaborazione con quello Stato che li aveva messi alla porta privandoli della loro uniforme e delle loro mostrine. Era agosto del 2017 e al Ministero degli Interni c’era Marco Minniti, il sedicente uomo di sinistra cresciuto tra gli imperscrutabili corridoi dei servizi segreti italiani che diede il via alla criminalizzazione delle Ong che operavano soccorsi in mare spesso in collaborazione con la Marina Militare e la Guardia Costiera.
Il caso Iuventa rimase a Trapani, in apparenza a prender quintali di polvere in un cassetto, senza una chiusura indagini, senza una richiesta di rinvio a giudizio, per quattro lunghi anni. Poi, un bel giorno, l’11 gennaio 2021, la punta di un gigantesco iceberg si presenta al mondo: è l’avviso di conclusione indagini di quello che ancora, in un primo momento, si credeva essere il “caso Iuventa”. Grande è la sorpresa quando si scopre, leggendo il documento, che il “caso Iuventa” era diventata una gigantesca indagine a carico di persone fisiche ed organizzazioni non governative che andava ben oltre la piccola Ong dei ragazzi tedeschi chiamata Jugend Rettet. Indagate infatti anche nel suo insieme le note e prestigiose Ong internazionali Medici Senza Frontiere – mai digerite da ambienti governativi italiani già dai tempi del reportage sul primo centro di accoglienza di Lampedusa – e Save the Children. E dietro questo enorme quanto precario impianto accusatorio c’erano intercettazioni a soggetti, come appunto avvocati e giornalisti, che non comparivano nel registro degli indagati. Come appunto Nancy Porsia, intercettata direttamente sulla sua utenza, per mesi, anche mentre parlava con il suo avvocato. Ed il suo avvocato è, guarda caso, tale Alessandra Ballerini, legale della famiglia Regeni e attiva nella tutela dei diritti dei migranti. Tutte coincidenze, forse, o errori, forse, ma che qualcuno dovrà chiarire.
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