A 48 ore dal voto emerge con maggior chiarezza lo schema di gioco che ha determinato i risultati. In primis, la legge elettorale che ha favorito i soliti noti. Il Partito Democratico canta vittoria, ma il risultato assoluto legato al proprio simbolo è disarmante. Se dovessimo giudicare senza fingere che è normale tutto ciò in politica, dovremmo chiederci perché il segretario di partito non si dimette – di nuovo – dopo il nuovo disastro elettorale. Il PD concorreva infatti soltanto in 134 Comuni su 1004 al voto, ed in ognuno di questi ha registrato perdite che variano dal 4 al 13% con una media approssimativa del -8% rispetto alle consultazioni del 2012. Ma visto che ormai non ci si deve turare neanche più il naso perché si è del tutto persa la capacità olfattiva, prendiamo per risultato trionfale la vittoria dei candidati sostenuti anche dal PD malgrado il contributo di voto diretto alle liste Dem è stato esiguo mentre determinanti sono state le liste civiche. Ma come funzionavano queste liste? Il modo più breve ed efficace per spiegarne il meccanismo credo sia il seguente: se riconosci che non riuscirai a convincere gli elettori a darti il voto, allora convincili a darlo a se stessi; saranno sempre voti in meno per l’avversario.
Liste ovunque. Liste di ogni sorta. Liste di qua e liste di la. Ogni ingenuo – non tutti – candidato si faceva in quattro per poter sfruttare l’opportunità magnanimamente concessa. Non gli veniva chiesto neanche un contributo fondo cassa comune per la campagna elettorale. Neanche l’obbligo o l’impegno di dover stampare cosiddetti “santini” e distribuirli. Niente. Solo la disponibilità a far parte di una lista. Va da se che ognuno degli ignari novelli politici abbia chiesto la preferenza almeno ai propri cari e magari ai vicini di casa. Altri, forse più entusiasticamente avranno anche messo su una mini-campagna elettorale. Il risultato è stato di migliaia di voti confluiti al candidato sindaco ed altrettanti sottratti alle eventuali “alternative” di voto. Poi l’esercito di poveri illusi si è svegliato, contando i suoi magnifici venti o trenta voti ed è tornato a casa. I soliti noti, con i loro cinquemila voti preconfezionati sono stati eletti nei rispettivi Consigli comunali ed i loro candidati sindaci hanno ordinato la fascia tricolore nuova e su misura da indossare. Trovata geniale, questo va almeno riconosciuto. Ignobile ma geniale.
Se l’astuzia politica è valsa una sconfitta del Movimento Cinque Stelle – che pretendeva di competere a viso aperto – non si può di contro considerare un trionfo per il Partito Democratico come neanche per il frammentato centro-destra. Frammentato al punto che – notizia fresca – il vincitore del primo turno trapanese ha deciso di tirare i remi in barca. Girolamo Fazio ha infatti annunciato di non voler competere in ballottaggio contro l’avversario PD Savona. Ritirerà la lista facendo concorrere il terzo classificato e “compagno” di centro-destra Antonio D’Alì? No. Preferisce, pare, far vincere il PD (con annesse liste civiche ovviamente). Decisione talmente sorprendente, quanto incomprensibile, da far venire il dubbio che in qualche modo e in qualche misura possa esserci un accordo con i Dem legato all’allontanamento di Alfano, prima dal Ministero dell’Interno e forse anche dalla futura maggioranza parlamentare. Ma, ovviamente sono solo congetture che non trovano niente più di una vecchia massima che recita “a pensar male a volte ci si azzecca”. D’altro canto, pur perdendo volontariamente il ballottaggio, il beniamino di Trapani Fazio occuperebbe l’opposizione in Consiglio comunale.
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