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Aspettando la novella Cap Anamur con il Codice di condotta

Leggendo il “Codice di condotta” per la regolamentazione delle attività di soccorso nel Mediterraneo operate dalle navi delle Ong viene in mente il sostantivo “farsa”. Sul documento che oggi verrà proposto sul tavolo del Viminale alle Ong è stato ben sottolineato – almeno in bozza – che le linee d’intervento sono state proposte agli altri Stati membri che le hanno accolte “favorevolmente”. Ci potrebbe anche stare un bel “ecchisenefrega!” visto che appunto agli altri ministri degli interni, a Tallinn, importava assolutamente nulla di come l’Italia si sarebbe tirata fuori dal guaio in cui si era cacciata da se. Il contenuto del “codice” è un insieme superflua ridondanza. Si vorrebbe concordare ciò che è già sancito dal diritto internazionale, dalle leggi del mare, convenzioni varie e sovranità nazionali. Si precisa perfino la eventuale comprovata attività di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina quale condotta non gradita. Per intenderci, è come se prima di entrare in banca ogni cliente deve firmare un documento col quale assicura all’istituto di credito di non avere intenzione di rapinare le casse, sottoscrivendo che si farà altrimenti carico di ogni conseguenza penale delle sue azioni. Immagino le espressioni dei colleghi di Minniti in Estonia, quando il nostro ministro ha proposto di far sottoscrivere alle Ong , in conformità con il diritto internazionale in materia, “l’impegno a non entrare nelle acque territoriali libiche, tranne in situazioni di grave ed imminente pericolo per cui è richiesta immediata assistenza e senza ostacolare le operazioni di ricerca e soccorso della Guardia Costiera libica”. Ammirato stupore avrà dipinto i loro volti. A parte il non dover fare a casa dei libici ciò che i libici potrebbero vedere come un motivo per usare ancora una volta le mitragliatrici sulle navi delle Ong, arriva un altro importantissimo punto: “L’impegno a non effettuare comunicazioni telefoniche o inviare segnali luminosi per semplificare l’imbarco e la partenza delle barche”. Cioè, non invitare i migranti a partire perché tu stai li davanti: limitati a soccorrere quelli che hanno bisogno. Ridondanze con ciò che è già scritto, anche in Italia con la legge che stabilisce cosa è il “favoreggiamento dell’immigrazione clandestina”. Poi, passando per la “conformità” delle navi e degli equipaggi impiegati nei soccorsi – come se l’omissione di soccorso si possa esperire senza conseguenze penali se non si possiede il patentino del bravo soccorritore – si arriva al colpo di scena finale: “L’impegno a ricevere a bordo, su richiesta dell’autorità nazionale, funzionari di Polizia giudiziaria”. A parte che in acque internazionali non ci sono “autorità nazionali” se non quelle di cui batte bandiera la nave ed in porto ci sono eccome e nessuno si può rifiutare, in tal modo sarebbe come arruolare tutte le navi Ong in una sorta di Mare nostrum italiano pagato dai donatori delle Organizzazioni Non Governative. Come potrebbero mai rifiutarsi MSF, Save the Children e tutti gli altri? Sfido qualunque Ong a rifiutare una offerta così allettante. Il tutto viene ovviamente condito dalle ridondanti puntualizzazioni circa il preciso dovere di attenersi alle direttive della sala operativa MRCC responsabile, quindi sotto lo stretto controllo della Guardia Costiera come è avvenuto esattamente fino ad oggi. Quello che invece appare meno chiaro, lacunoso, è cosa accade alle Ong che non sottoscrivono il Codice in questione. Non le si autorizza a soccorrere le barche in acque internazionali se queste stanno per naufragare? Non le si autorizza ad entrare in uno qualunque dei porti italiani dopo che magari la Guardia Costiera vedendole vicine ai malcapitati ha chiesto loro di intervenire? Piuttosto appare di chiara deduzione la natura pretestuosa del Codice di condotta. Neanche ai fini giuridici ma per finalità puramente mediatiche. Domani, quando inizierà la guerra alla flotta non governativa che opera mediamente a dodici miglia dalla costa della Libia, si dirà che la Ong di turno colpita da preclusione porti italiani si è resa colpevole di una o più violazioni del Codice che essa si era per di più rifiutata di sottoscrivere. La sceneggiatura potrebbe essere la seguente: l’equipaggio comunica alla sala operativa della Guardia Costiera la necessità di intervenire per un presunto evento Sar che non verrà concordato fino a verifica di un mezzo aereo della stessa Guardia Costiera o della Marina Militare. Nel frattempo la Ong potrebbe anche intervenire asserendo che la sicurezza del natante è i grave pericolo a causa del sovraccarico di migranti. A questo punto è già scattata la penalità e verrà negato il “porto sicuro” italiano più vicino. La Ong dovrà quindi cercare un altro Stato in cui far sbarcare i migranti soccorsi e nessuno la accorderà l’ingresso in porto. La nave mercantile Pinar rimase quattro giorni al largo di Lampedusa, rifiutata da Italia e Malta in un lungo braccio di ferro, prima di riuscire a sbarcare i migranti che aveva soccorso. Peggio accadde molti anni prima alla tedesca Cap Anamur. Questa forzò l’ingresso in porto per ragioni di salute dei migranti che aveva soccorso e giunti a terra furono tutti arrestati e rinviati a giudizio. La Ong Sea Watch ha già declinato l’invito a sottoscrivere il Codice come anche altre note Ong. Ci si può quindi attendere nei prossimi giorni, o settimane, il primo incidente con una tra le tante associazioni che operano nel Mediterraneo centrale.

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