Tra le attività di soccorso svolte nel Mediterraneo centrale dalle navi delle Ong ne emergono alcune che possono apparire dubbie. Rotte e distanze dalla costa libica che alimentano inevitabilmente il dibattito ormai ridotto a misero “buoni e cattivi” da buonisti per fede e razzisti per ignoranza. Tra le Ong spesso accusate di avvicinarsi troppo ai porti di partenza delle barche cariche di migranti, capita che ce ne sia qualcuna capace di stupire. In questo caso si tratta della Proactiva Open Arms che domenica 23 luglio si è spinta fino a quattro chilometri dalla costa libica a nord di Zuwarah. Questo è il più rodato ed inaccessibile punto di lancio in uso ai trafficanti e si trova a qualche decina di chilometri ad ovest di Tripoli. L’attività sospetta della Ong è stata documentata da bordo con le immagini di Santi Palacios, per la Associated Press, che vedete nell’articolo. L’operazione ha permesso di salvare la vita di 130 persone, tra cui 22 donne e 5 bambini. A fine aprile il comandante della Proactiva aveva dichiarato in merito alle accuse rivolte alle Ong: “Siamo lì per rispondere a un bisogno che le istituzioni europee non sanno gestire”. La Ong Open Arms è tra le associazioni che rifiuta il Codice di Condotta proposto – o imposto – dall’Italia ed oggi posto sul tavolo del Viminale.
In un tweet lanciato dopo una 24 ore di attività che ha visto il salvataggio dei 130 naufraghi ed un complessivo di circa 500 migranti soccorsi, Open Arms scrive che “I Codici di condotta servono per gli uffici, qui si salvano vite umane”. Se ne evince in modo inequivocabile la posizione della Ong catalana sul protocollo preteso per le attività di soccorso nel Mediterraneo. Di contro è ineludibile che l’equipaggio Open Arms è tra quelli che più si avvicina alle acque territoriali libiche sostando, come oggi, a ridosso della linea di confine con Zuwarah. Il “pull factor”, o addirittura il favoreggiamento all’immigrazione clandestina, non sono accuse che preoccupano o al centro dell’interesse di chi vuol salvare vite umane. Ma la contribuzione alla sempre maggiore precarietà dei natanti su cui vengono obbligati a salire i migranti dovrebbe essere motivo di preoccupazione. Ed i trafficanti di Zuwarah non sono certo persone a cui preme la vita altrui. Questi hanno infatti messo in mare un gommone carico di 130 persone che si è afflosciato dopo appena un paio di miglia nautiche: appunto quattro chilometri.