“Nel corso delle ultime settimane, abbiamo condiviso con il suo Ministero una serie di preoccupazioni sul Codice di Condotta, richiedendo chiarimenti su temi specifici e sollecitando emendamenti sostanziali che ci avrebbero messo nelle condizioni di poter firmare il documento. Dopo un’attenta valutazione della versione conclusiva del Codice, riconosciamo che sono stati fatti sforzi significativi per rispondere ad alcune delle osservazioni presentate da MSF e dalle altre organizzazioni. Tuttavia alcune delle preoccupazioni e richieste che abbiamo indicato nella lettera del 27 luglio scorso sono state lasciate senza risposta. Le linee di riferimento e l’impianto generale del Codice – dobbiamo dirlo con chiarezza – sono rimasti sostanzialmente immutati. Per questa ragione, con dispiacere e dopo attenta considerazione, riteniamo che allo stato attuale non sussistano le condizioni perché MSF possa sottoscrivere il Codice di Condotta proposto dalle autorità italiane”. Questo passaggio della lettera che Medici Senza Frontiere ha inviato ieri al ministro Marco Minniti, più di altri, rappresenta la vicenda del Codice di Condotta che ieri al Viminale hanno sottoscritto soltanto le Ong Moas e Save the Children. Tra i presenti al tavolo c’era anche la Ong Jugent Rettet che ha deciso di non firmare. Assenti le Ong Sea Watch, Sea Eye e SOS Mediterranee. Diversa la decisione della Ong catalana Proactiva Open Arms che ha fatto pervenire una comunicazione con la quale ha annunciato la volontà di sottoscrivere l’accordo. Di fatto, però, non ha partecipato all’incontro.
Come ben sottolinea MSF, il Ministero dell’Interno non ha in alcun modo lasciato intendere di voler trovare un codice di regolamentazione partecipato per migliorare o risolvere i problemi di sbarco nei porti italiani e successiva accoglienza dei migranti soccorsi al largo delle coste libiche. Non è quindi apparso l’attenuare o ridimensionare il cosiddetto “pull factor” il vero problema. Il Codice di Condotta messo sul tavolo, e che anche MSF ha tentato di emendare, pare più una autorizzazione a procedere legalmente nei confronti delle Ong qualora esse si dovessero ostinare a procedere nelle attività di soccorso in mare. Tra i punti irricevibili per le Organizzazioni non governative c’è il divieto assoluto di trasbordo dei migranti da una nave ad un’altra. Questo dettaglio comporta l’impossibilità di ottimizzazione delle navigazioni verso i porti di sbarco lasciando coperta l’area dei soccorsi. Ogni nave che ha effettuato soccorsi dovrà percorrere tutta la distanza che la separa dal porto di approdo, quindi al secondo o terzo giorno di operazioni non resterà nessuno in area Sar. Aspetti non irrilevanti a cui si sono appellate le Ong chiedendosi – e chiedendo al Ministero italiano – quale sia l’ordine di importanza delle vite umane in questo Codice. La questione dei trasbordi non appare infatti una attività fuori controllo che le Ong arbitrariamente esercitavano organizzandosi fra esse. “Sin dall’inizio delle proprie operazioni in mare, MSF ha accettato, e a volte direttamente effettuato, trasbordi da altre imbarcazioni sulle proprie navi, sempre su richiesta o sotto il coordinamento – puntualizza Medici Senza Frontiere – del Centro di Coordinamento del Soccorso Marittimo (MRCC) di Roma“. Cioè, la sala operativa del Comando Generale delle Capitanerie di Porto. La stessa che, in stretto coordinamento con il Ministero degli Interni, indica poi il porto su cui dirigere alle navi che devono sbarcare i migranti soccorsi.
Se le navi della flotta civile di soccorso in mare hanno sempre condotto in porti italiani i migranti soccorsi e presi a bordo lo si deve al coordinamento sotto cui esse hanno sempre – o quasi – operato. Appare del tutto improbabile che la Ong tedesca Jugent Rettet, dopo un soccorso, possa contattare l’MRCC della Germania per sapere se può sbarcare nel porto di Amburgo nel nord del continente europeo. Eventualmente circumnavigando l’Europa in una o più settimana. È assai più probabile, e naturale, che l’attività di richiesta autorizzazione per l’approdo nel “porto sicuro” più vicino per la nave di soccorso civile – che ha operato sotto il coordinamento del Comando Generale Capitanerie di Porto – venga effettuata dal Ministero italiano più che dalla Ong. In tal caso, la nave in questione potrebbe ricevere una comunicazione via radio che le indica il porto di La Valletta, a Malta, oppure quello di Zarzis in Tunisia invece del porto di Augusta in Sicilia. Peraltro, entrambi gli Stati in esempio sono attualmente porti sicuri ed appartengono a Nazioni “amiche” della nostra. Tornando alla lettera che il Direttore Generale di Medici Senza Frontiere Italia Gabriele Eminente ha firmato ed inviato al ministro degli Interni Marco Minniti, si torna anche al focus della questione: “Dal nostro punto di vista, il Codice di Condotta non riafferma con sufficiente chiarezza la priorità del salvataggio in mare, non riconosce il ruolo di supplenza svolto dalle organizzazioni umanitarie e soprattutto non si propone di introdurre misure specifiche orientate in primo luogo a rafforzare il sistema di ricerca e soccorso”. Ma la dotazione ed il supporto in programma per la Guardia Costiera libica che dovrebbe riportare indietro tutte le barche di migranti “bloccate” dalle navi militari italiane non lasciano spazio ad attività di soccorso. Oggi, alle ore 13, si riuniranno le Commissioni Esteri-Difesa di Camera e Senato per l’audizione delle comunicazioni del Governo sulla Libia: uno Stato diviso in regioni e fazioni nel quale si è deciso di intervenire militarmente e con un notevole sforzo di navi, aerei e truppe di terra. Codice di Condotta per le Ong e intervento militare in Libia sembrano sempre più due facce della stessa medaglia in perfetta coincidenza temporale.