Vari furono negli anni i tentativi di distensione tra le due parti della Corea. Nel 2000 un premio Nobel per la pace venne immediatamente assegnato al presidente sudcoreano Kim Dae-jung per l’apertura al dialogo verso la Corea del Nord. Il presidente della Corea del Sud incontrò in quell’anno il leader della Corea del Nord Kim Jong-il ed insieme concordarono una tregua alle ostilità ed una apertura al dialogo. La storia di Kim Dae-jung aveva molti aspetti in comune con quella di Nelson Mandela: venti anni di carcere dopo una condanna a morte commutata in pena detentiva, l’elezione alla presidenza della nazione, una ampia visione pacifista e votata alla conciliazione. Nel 2007 venne il turno del presidente sudcoreano Roh Moo-hyun, eletto cinque anni prima, di incontrare Kim Jong-il e tentare l’apertura pacifista. Il risultato fu positivo e le due coree ratificarono un trattato in otto punti che riaprì la frontiera fra i due Paesi agli scambi commerciali ed ai trasporti ferroviari ed aerei. Roh Moo-hyun era un riformista anti-americano e per questa sua posizione opposta al “protettore” d’oltre oceano venne eletto nel 2004 presidente della Corea del Sud. Appena quattro mesi dopo la ratifica del trattato con l’omologo del nord Kim Jong-il lasciò la poltrona presidenziale tra polemiche e dissidi interni alla Corea del Sud, venne travolto da accuse di corruzione ed infine trovato morto il 23 maggio del 2009. Ufficialmente la causa del decesso è il suicidio che i media si affrettarono ad attribuire alle indagini si si stavano conducendo a suo carico.
In tempi molto più recenti si è in qualche modo replicata la storia di Roh Moo-hyun con la prima presidente donna della Corea del Sud: Park Geun-hye. Non omonima ma figlia del presidente golpista Park Chung-hee che detenne il potere presidenziale in Corea del Sud dal 1961, anno del colpo di Stato, fino al 1979 consentendo alla nazione l’inizio di un fausto sviluppo economico mai regredito. Park Geun-hye venne eletta nel 2013 e la sua posizione fu sempre molto cauta nei confronti del dominus americano al quale opponeva ragioni diplomatiche per moderare le pretese di espansione militare sul territorio sudcoreano. Alle elezioni Park Geun-hye vinse con il 3,6% di voti in più rispetto al suo diretto rivale: l’attuale presidente Moon Jae-in. La prima presidente donna della Corea del Sud venne travolta da “impeachment” già nel 2016 e il 9 dicembre dello stesso anno venne sospesa dalle funzioni presidenziali. Quattro mesi dopo decadde la sua presidenza e due mesi più tardi, maggio di quest’anno, arrivò l’elezione di Moon Jae-in. L’attuale presidente pare avere maggiore inclinazione verso la necessità americana di opporre un fronte militare al crescente potenziale bellico della Corea del Nord che, nel frattempo, con la successione di Kim Jong-un al padre Kim Jong-il del 2011, ha accelerato ed intensificato ricerca e test missilistici e nucleari. Appare crescente e proporzionale l’attività militare nordcoreana con quella sudcoreana di stampo Usa.
Un ostacolo all’insediamento tanto ambito dagli Stati Uniti arriva adesso dal ministro della Difesa sudcoreano Sung En Mon che qualche giorno addietro, prima del test nucleare nordcoreano, aveva incontrato il capo del Pentagono James Mattis. Al termine del vertice Sung En Mon aveva dichiarato all’agenzia di stampa Yonhap che “Non abbiamo mai creduto di dover dispiegare le armi nucleari americane”. Una chiusura netta all’uso della Corea del Sud quale base nucleare a brevissima distanza da Cina e Russia. Le due superpotenze che continua a tutelare Pyongyang si limitano infatti ad ammonire Kim Jong-un ma senza prendere una posizione di fatto per la destituzione del leader. Perdere il deterrente anti-americano della Corea del Nord significherebbe per Mosca e Pechino ritrovarsi in breve tempo missili a testata nucleare puntati addosso dalla penisola coreana che dista un tiro di schioppo dalle due nazioni. Ma il rischio che i due protettori possano concludere un accordo con gli Stati Uniti a discapito della dinastia nordcoreana è un ulteriore motivo perché Kim Jong-un si affretti nello sviluppo delle proprie armi. Mentre tutti guardano a quanto lontano questi possano volare in direzione est, oltre il Giappone e verso gli Stati Uniti, nessuno si pone il dubbio di dove e come questi possano colpire la Cina e la Russia in caso di tradimento. I missili a testata nucleare, equipaggiati con bombe all’idrogeno da 120 chilotoni, di Pyongyang quindi non servirebbero ad attaccare nessuna nazione – anche perché la Corea del Nord è tanto povera da non riuscire quasi a sfamare se stessa – ma ad evitare che altri invadano il Paese o lo rovescino come già fatto altrove. Il problema sta però nella militarizzazione della Corea del Sud, e forse adesso anche del Giappone. Siamo quindi ad un passo da un conflitto nucleare catastrofico ed in mano a grandi statisti della levatura di Donald Trump e Kim Jong-un.