Human Flow, film documentario dell’artista dissidente cinese Ai Weiwei, presentato al Festival del Cinema di Venezia, sta facendo molto parlare di se. La pellicola è arrivata nelle sale il 2 ottobre scorso, distribuita da 01 Distribution. Ben oltre 65 milioni di persone, nel mondo, sono state costrette a lasciare le loro case, la loro vita e, sposso, la loro famiglia a causa delle carestie, dei cambiamenti climatici, delle repressioni politiche e delle guerre. Il documentario narra, con una sapiente regia che fa ricordare, per la grande capacità di racconto visivo, i grandi lavori di Salgado, l’epica migrazione dei popoli, mettendo in scena l’impatto profondamente umano delle storie ponendo così a nudo la crisi per come viene vissuta, non raccontata.
Le riprese, durate più di un anno, hanno attraversato 23 paesi, tra cui Afghanistan, Bangladesh, Francia, Grecia, Germania, Iraq, Israele, Italia, Kenya, Messico e Turchia.
Official trailer
Il documentario è la testimonianza della disperata ricerca di un posto sicuro, un riparo, un luogo in cui far crescere di nuovo la propria famiglia, lontano dal “brutto” che li ha costretti ad abbandonare la loro casa, consapevoli dell’ignoto futuro che li aspetta. L’uscita del film coincide ad un momento storico e sociale in cui il livello di tolleranza delle migrazioni e dei migranti è a livelli molto bassi. Il suo racconto puntuale può e deve essere momento di riflessione.
Intensa opera cinematografica, esprime l’incontrovertibile forza dello spirito umano e pone, senza mezzi termini una delle domande più scomode di questo secolo: riusciremo, e riuscirà quindi la società globale, a superare le nostre paure, la difesa dei nostri piccoli interessi personali, la necessità di isolamento e protezione e, finalmente, raggiungere la consapevolezza dell’importanza dell’apertura, della libertà e del rispetto dell’umanità?
Roberto Greco
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