Si svolge a Roma, dal 26 al 29 ottobre, la nona edizione del Salone dell’editoria sociale. L’edizione è dedicata ai volti del potere e alla loro incarnazione nelle tante dimensioni della nostra vita: dalla finanza all’economia, dalla politica alla religione, dalla cultura al giornalismo, dall’arte al digitale, dalla criminalità organizzata alla medicina e alle altre sfere del vivere quotidiano. Nel corso degli anni, soprattutto di questi ultimi, nuovi poteri si sono aggiunti a quelli vecchi, la dimensione globalizzata sovrapposta a quella nazionale. Il potere si è trasformato, adattandosi alle nuove condizioni politiche, sociali ed economiche e assumendo nuove forme – spesso invisibili, ammaliatrici e ingannatrici – di dominio, di violenza, di persuasione e di asservimento che vanno disvelate, denunciate, ribaltate. Dal potere del denaro (e della ricchezza) a quello del consumo, da quello delle nuove e vecchie ma e a quello dei nuovi signori della globalizzazione siamo chiamati a un solo compito: la ribellione a ciò che non si può e non si deve accettare.
Togliere la maschera imbellettata ai volti sempre più torvi del potere, è fondamentale.
25 editori indipendenti in vetrina, 4 giorni di dibattiti, laboratori di formazione educativa e, soprattutto, la messa in tavola dei grandi interrogativi sociali che oggi attanagliano l’informazione, a qualunque livello, come, ad esempio le bufale e/o le fake news, informazioni liberamente circolanti che creano adesione e consenso.
E in mezzo a tanta carta stampata, il Salone presenta un film, un buon esempio di cinema civile, come si sarebbe detto qualche anno fa, nel periodo in cui, sulla sedia del regista sedevano Rosi, Petri, Pontecorvo e i Taviani. Si tratta di L’Ordine delle cose, scritto e diretto da Andrea Segre. L’autore racconta: “Quando tre anni fa ho iniziato a lavorare a questo film non sapevo che le vicende tra Italia e Libia sarebbero andate proprio come le abbiamo raccontate, ma purtroppo lo immaginavo. Per molti mesi ho incontrato, con Marco Pettenello, alcuni veri Corrado e parlando con loro ho intuito che l’Italia si apprestava ad avviare respingimenti di migranti nei centri di detenzione libica. Nessuno lo diceva pubblicamente, ma ora che il film esce è tutto alla luce del sole. Mi auguro che il film aiuti a riflettere su cosa stiamo vivendo in questi giorni e sulle lunghe conseguenze che vivremo ancora per anni.
Infatti, credo che quella di Corrado sia la condizione di molti di noi in quest’epoca che sembra aver metabolizzato l’ingiustizia. La tensione tra Europa e immigrazione sta mettendo in discussione l’identità stessa dell’Europa. Corrado e la sua storia raccontano questa crisi d’identità. Ho cercato in lui, nel suo ordine e nella sua tensione emotiva, quelle della nostra civiltà e del nostro tempo. Sappiamo bene quanto stiamo abdicando ai nostri principi negando diritti e libertà a essere umani fuori dal nostro spazio, ma proviamo a non dircelo o addirittura a esserne fieri. È questa crisi che mi ha guidato eticamente ed esteticamente nel raccontare il mondo di Corrado, un mondo tanto rassicurante quanto inquietante.”
E una visita al festival è, sicuramente, una buona occasione per chi si è perso il film, quel film che, come dice il suo autore “…il ministro Minniti dovrebbe vedere…”.
Roberto Greco
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