Il vecchio mafioso bagherese Pino Scaduto aveva dato ordine di uccidere il sangue del suo sangue, sua figlia. L’ordine era stato impartito al figlio che avrebbe quindi dovuto uccidere la propria sorella. Secondo Scaduto, che oltre alla figlia voleva morto anche il carabiniere a cui lei si era legata, l’arresto del 2009 era da attribuire a questa relazione amorosa. L’operazione Perseo, che otto anni addietro lo aveva visto in manette e confinato in carcere fino allo scorso aprile, nella convinzione del mafioso aveva origine in quel rapporto “innaturale” tra la ragazza di mafia e l’uomo di legge. Il figlio però si rifiutò di eseguire l’ordine fratricida. Secondo le indagini però non è stato l’amore fraterno ad impedire l’omicidio, bensì il freddo e cinico ragionamento sui rischi conseguenti. Il figlio di Pino Scaduto non intendeva andare incontro a qualche decennio di carcere per una volontà del padre che, se avesse voluto, avrebbe potuto eseguire da se la pena di morte sentenziata.
Questa mattina Pino Scaduto è stato nuovamente arrestato dai carabinieri che nel frattempo, dalla sua scarcerazione, stavano indagando sulla costola vecchio stampo della mafia bagherese. Pino Scaduto era infatti un uomo di fiducia nel mandamento di Bagheria quando la cittadina alle porte di Palermo era un bastione del capo di Cosa Nostra latitante Bernardo Provenzano. Scaduto aveva ricevuto perfino l’incarico di radunare lo zoccolo duro della provincia per l’organizzazione di una “Commissione provinciale” di Cosa Nostra palermitana. Durante queste indagini e mediante queste intercettazioni era emerso l’intento del vecchio mafioso di far uccidere la figlia ed il carabiniere di cui si era innamorata. Le manette ai polsi sono scattate col dovuto tempismo e questa volta il mafioso dovrebbe rimanerci un po’ più a lungo in carcere. La scarcerazione dello scorso aprile era dovuta infatti ad assoluzione dalle accuse dei reati estorsivi ad egli ascritti. Insieme a Scaduto sono finiti in manette all’alba altri 15 mafiosi con ordinanza firmata dal GIP su richiesta della Procura di Palermo. Al centro del tentativo di riarmo del clan c’era l’estorsione quale rapido metodo di finanziamento. Ma oltre alle indagini della Procura di Palermo con i carabinieri di Bagheria, pare abbia giocato un ruolo determinante la collaborazione di commercianti che a pagare il pizzo non ci stavano ed hanno preferito denunciare alle autorità i tentativi di estorsione subiti.
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