Oggi la redazione di Nemo ha risposto alla lettera aperta inviata ieri alla redazione da un gruppo di attivisti e che conteneva alcune domande rispetto al servizio andato in onda nella trasmissione del 23 novembre con il titolo di “Il traffico di migranti e la rotta tunisina”. La risposta reca la firma di Alessandro Sortino, capoprogetto di Nemo, ed è lunga e dettagliata. Non è certo la reazione di chi interpreta la lettera quale lesa maestà. Nella risposta di Sortino torna l’incongruenza già comunque sottolineata anche nella lettera che abbiamo pubblicato ieri. L’attenzione cade quindi inevitabilmente sul fixer di produzione: Souheil Bayoudh. La persona che prima si sarebbe prestata ad una farsa e poi ne avrebbe dato notizia con tanto di conferenza stampa in cui si autodenuncia asserendo di averlo fatto per “smascherare” il metodo dei media stranieri in danno alla amata patria Tunisia. Il gruppo firmatario pubblica la risposta della redazione del programma di Rai Due e si riserva di commentare in un secondo momento. La vicenda assume quindi i contorni di uno strano incidente in cui le parti, esclusa quella rappresentata dal fixer Souheil Bayoudh, intendono sposare la logica del dialogo senza serrare i denti su una baionetta.
Pubblichiamo la risposta a firma di Alessandro Sortino così come ricevuta oggi dagli autori della lettera aperta inviata alla redazione di Nemo:
Mi chiamo Alessandro Sortino, sono il capoprogetto di Nemo. Siamo rimasti molto sorpresi quando abbiamo saputo della conferenza stampa del fixer Souheil Bayoudh nella quale si autoaccusa di averci truffato. Siamo rimasti stupiti perché avevamo verificato il suo curriculum di documentarista, attivista per i diritti umani e fixer accreditato con altre troupe di emittenti nazionali. Abbiamo lavorato con lui a distanza per un mese nella preparazione del servizio, e abbiamo passato con lui sette giorni in Tunisia viaggiando in lungo e in largo per il paese. La persona che abbiamo conosciuto non corrisponde a ciò che ora dichiara. Ci hanno stupito i suoi appelli al governo tunisino di controllare più severamente il lavoro di giornalisti e troupe e consideriamo del tutto inverosimile la sua tesi secondo la quale avrebbe organizzato una sorta di Truman show a fini patriottici per dimostrare la malizia della stampa straniera nei conforti del suo paese. Non siamo in grado di azzardare ipotesi, ma ci affidiamo al tempo perché la verità emerga.
Appena abbiamo saputo di questa conferenza, ne abbiamo dato immediatamente conto in trasmissione, e subito dopo abbiamo verificato tutto il girato (circa 30 ore) ritraducendo dall’arabo tutte le conversazioni, anche quelle irrilevanti per la costruzione del pezzo. In nessuna situazione emergono accordi tra il fixer e il ragazzo protagonista del pezzo, o tra il fixer e gli altri nostri intervistati che potessero farci dubitare della verità delle situazioni che stavamo raccontando.
Circa la rotta tunisina dei migranti, la sua esistenza non è una tesi o una ipotesi ma appartiene alla categoria dei fatti, come dimostrano i dati del Viminale, le inchieste della magistratura italiana, le cronache degli sbarchi nei mesi di ottobre e novembre, e le persone che abbiamo incontrato e intervistato oltre quelle che avete visto nel servizio.
Sento però la necessità di dare una spiegazione circa lo stile di questo ed altri servizi di Nemo. Noi abbiamo scelto di introdurre nel nostro programma lo stile dell’autoracconto. Lo facciamo in studio con dei brevi monologhi (una sorta di speaker corner senza mediazione) e lo facciamo nei pezzi in vario modo, o affidando il racconto al protagonista della storia, oppure integrando il nostro racconto e il nostro sguardo con il suo. Non sempre questo approccio paga. La pluralità di sguardi e voci complica la fruizione e ci abbiamo messo un bel po’ per farla accettare, anche perché i programmi che raccontano la realtà e ne discutono sono seguiti, in Italia, tranne rare eccezioni, da un pubblico televisivo abitudinario (ed è proprio per coinvolgere i giovani che lavoriamo sul linguaggio e non solo sul contenuto). Insomma: il senso profondo di ciò che facciamo, cercando di aprire nuove strade alla narrazione, è quello di stabilire una relazione autentica tra il pubblico a casa e le persone che vivono le situazioni che raccontiamo, soprattutto in aree disagiate, nelle periferie fisiche ed esistenziali. Lo abbiamo fatto in tanti posti, in Italia e all’estero, ottenendo anche qualche premio e riconoscimento. Ovviamente questo approccio diminuisce le distanze tra noi e le persone di cui raccontiamo la storia. Ci deve essere per forza un rapporto, un coinvolgimento. Gli affidiamo le nostre telecamere! Viviamo di relazioni e di reciproca fiducia. Questa storia dimostra, e ne prenderò atto nel mio ruolo, che occorre proprio per questo un sovrappiù di attenzione. Se qualcosa stavolta è andato storto me ne scuso personalmente con ciascuno dei firmatari della vostra lettera aperta, e con il pubblico di Nemo.
Alessandro Sortino
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