Danilo Dolci, il gigante buono

Rubrica culturale di Roberto Greco

Il 30 dicembre di vent’anni fa, nella sua Trappeto, moriva Danilo Dolci, sociologo, poeta, educatore ed attivista della nonviolenza in Italia. Le nostre strade non si sono mai incrociate e non l’ho conosciuto personalmente. L’ho scoperto grazie alle sue parole scritte indelebilmente sui libri. L’ho scoperto dai filmati di repertorio, dalle fotografie, dai racconti di chi l’ha conosciuto e ha condiviso con lui le sue battaglie. Un gigante buono. Così me lo immagino. Due forti spalle, due grosse braccia. Veniva dall’estremo opposto della penisola italica, dalla provincia di Trieste. La sua naturale avversione nei confronti delle dittature lo rese avverso al fascismo. Fu arrestato, scappò e riparò in Abruzzo. Al termine del conflitto, Dolci andò a Roma, dove seguì corsi universitari di architettura, poi a Milano, dove conobbe Bruno Zevi. Inizia la sua attività di autore di versi, ottenendo un ottimo riscontro. Nel 1950 compie quella che sarà la scelta fondamentale per tutto il percorso che seguirà questa esperienza, abbandona l’università e si trasferisce a Fossoli, in provincia di Modena, a Nomadelfia, “la città in cui la fraternità è legge”, la comunità di accoglienza per bambini sbandati dalla guerra voluta da don Zeno Saltini. Ma sarà nel 1952 la sua scelta più radicale. Abbandona tutto e si trasferisce in Sicilia, nel piccolo borgo marinaro di Trappeto, povero tra i poveri in una delle terre più misere e dimenticate del Meridione. Comincia così, a essere tracciata una delle pagine più limpide e intense della difficile rinascita civile e democratica dell’Italia dalle macerie morali e materiali del fascismo e della seconda guerra mondiale. Dolci stesso parlerà di “continuazione della Resistenza, senza sparare”.
Il 14 ottobre 1952, di fronte ad un bambino morto di fame, Dolci dà inizio al primo di numerosi digiuni, che daranno grande popolarità alle sue battaglie per il lavoro, per il pane, e per la democrazia. La protesta sarà interrotta solo quando le autorità s’impegnano a realizzare alcuni interventi urgenti in favore delle poverissime popolazioni siciliane. Il 10 dicembre dello stesso anno, Danilo Dolci diffonde un lungo appello, invitando tutti a sottoscriverlo: “Sento ora necessario dichiarare – si legge nel volantino – che se sarò chiamato per uccidere o collaborare anche indirettamente alla guerra mi rifiuterò: non voglio essere assassino”. E’ probabilmente la prima volta che in Italia viene apertamente pubblicizzata l’obiezione di coscienza. La stampa comincia a parlare di Dolci come del “Gandhi italiano”. “Tutto questo – precisò tuttavia Dolci – non si era prodotto, come hanno pensato molti, in seguito a letture o a riflessioni mistiche. Penso, invece, che nessuno dotato di un minimo di sensibilità riuscirebbe a mangiare se vedesse dei bambini morti di fame. Non si tratta di eroismo, ma di un certo istinto.”. Parte da qui la lunga marcia di Danilo, il gigante buono di origine triestina che ha lottato per gli ultimi, sino al suo ultimo respiro.

Ho messo questo libro sul comodino. E’ curato da Salvo Vitale e Guido Orlando. Dal sito dell’editore Navarra, che ha pubblicato “la radio dei poveri cristi”, propongo quando scritto come presentazione del libro sul sito. Torniamo al 1970, quando Dolci, pioniere in Italia, accende il suo trasmettitore ad onde corte:

Sono le 19,30 del 27 marzo 1970. A Partinico, un grosso centro agricolo a 30 km da Palermo, dalla sede di Palazzo Scalia, nei locali del “Centro Studi e Iniziative”, parte un segnale radiofonico sulla lunghezza d’onda dei 20,10 megacicli ad onde corte e sui 98,10 megahertz a modulazione di frequenza. Si tratta di un disperato S.O.S. proveniente dalle popolazioni di alcuni paesi della Sicilia Occidentale distrutti, due anni prima (15 gennaio1968), da un devastante terremoto, abbandonati a se stessi, per i quali non si è dato l’avvio ad alcun lavoro di ricostruzione. Due collaboratori del Centro, Franco Alasia e Pino Lombardo, si asserragliano in una stanza del Palazzo, con le attrezzature necessarie e con 50 litri di benzina […] Fuori Danilo Dolci accende una radio e fa ascoltare quello che viene trasmesso. Per 27 ore. Sino a quando un nutrito gruppo di poliziotti, carabinieri e pompieri non passa all’assalto, sequestrando tutto il materiale e denunciando i responsabili per violazione della legge sulle comunicazioni che, in quel periodo, consente solo alla RAI l’utilizzo dell’etere.

Questa è la storia della prima radio libera in Italia: il 25 marzo 1970 il segnale radiofonico di “Radio Sicilia Libera” rompe il monopolio di stato sulle trasmissioni via etere con un forte messaggio di denuncia del potere mafioso e clientelare che aveva attinto a piene mani dai soldi destinati alla ricostruzione della valle del Belice dopo il terremoto del 1968.
Il principio ispiratore è quello di una “radio della nuova Resistenza”, sul modello delle radio-ombra clandestine che avevano reso possibile l’informazione tra i partigiani della seconda guerra mondiale. È quindi un’informazione dal basso, come espressione alternativa, nei confronti di uno stato assente. “Chi tace è complice”, scriveva Danilo sui muri in quegli anni e il suo non tacere, il suo dar voce a chi non ha mai avuto possibilità di farsi sentire è un invito a non rendersi complici del silenzio con il silenzio. Non lo leggo da molto tempo. Penso che mi accompagnerà nei prossimi giorni. Ciao Danilo.

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