Era una mattina d’inverno, per come può essere l’inverno a Palermo. Il termometro segnava 13°. Un forte vento soffiava sulla città e il suo rumore portava l’eco del discorso di fine anno del nuovo Presidente della Repubblica, Sandro Pertini, in carica dal luglio dell’anno precedente. Piove. Un uomo in borghese esce dalla propria casa. Si trova in piazza Tenente Anelli, all’altezza del numero 25. Il suo viso è sorridente. È appena stato nominato Brigadiere e ha le idee chiare: vuole una squadra tutta sua. È un uomo con un ottimo fiuto e un grande intuito. Si chiama Filadelfio. Filadelfio Aparo. È un poliziotto della Squadra Mobile di Palermo, ai tempi guidata da Giorgio Boris Giuliano, che verrà anche lui assassinato dalla mafia il 21 luglio dello stesso anno. Quella mattina dell’11 gennaio, la moglie, Maria, e Vincenzo, il figlio, erano sul balcone della loro casa nelle vicinanze dell’Università di Palermo per salutarlo. Quando Aparo arrivò all’altezza della sua auto, una pioggia di proiettili calibro 38 e colpi di lupara lo aggredirono. Tentò di estrarre la pistola d’ordinanza ma il suo tentativo fu vano. Vincenzo corse in casa e ne uscì con in mano un vecchio e scarico fucile. Non c’era più nulla da fare. Una 128 rossa si era allontanata sgommando, lasciando sull’asfalto Filadelfio Aparo senza vita e Cosimo Tarantino, un vicino di casa, ferito.
Era nato a Lentini, in provincia di Siracusa il 15 settembre 1935. Nel 1956 si arruolò e, dopo essere stato di stanza a Bari, Taranto e Nettuno arrivò il suo trasferimento per la Questura di Palermo. Inizialmente fu assegnato alla “Sezione Antirapine” della squadra Mobile.
Erano gli anni del forte connubio Contrada-Giuliano e la Squadra Mobile di Palermo era considerata una élite investigativa: Moscarelli, Boncoraglio, Crimi, De Luca, Incalza e Speranza. Aparo fu trasferito nella sezione che fu la prima ossatura di quella che sarebbe poi diventata la famosa “Catturandi”, diretta dal 1994 sino all’arresto di Bernardo Provenzano dal dottor Renato Cortese, oggi Questore di Palermo. L’incarico precedente ricoperto dal dottor Cortese era Direttore dello SCO, il Servizio Centrale Operativo della Polizia di Stato, incarico che, con la sua nomina a Questore di Palermo, è stato affidato ad Alessandro Giuliano, figlio di Giorgio Boris Giuliano, che continua a portare alto il testimone del padre.
Il dottor Paolo Moscarelli, dirigente della “Sezione Antirapine” della Squadra Mobile di Giuliano, superiore di Aparo, ricorda: “Era un mito per tutti noi della Squadra Mobile ed era un mio stretto collaboratore alla sezione antirapina. Filadelfio Aparo è stato certamente uno dei più bravi, se non il più bravo nella ricerca dei latitanti. Un computer. Lo chiamavamo il Radar”. E, dall’altro lato della barricata, come rivela il collaboratore di giustizia Gaspare Mutolo in una sua dichiarazione alla Commissione Antimafia: “è stato ucciso perché andava sempre cercando latitanti, lo chiamavamo il segugio”. Aveva collaborato alla definizione di un organigramma delle famiglie di Cosa Nostra e, il suo naso, stava fiutando l’arrivo dei Corleonesi. Per Giuliano e Contrada era l’esperto del territorio. Ancora nessuna novità sul fronte processuale oltre all’ergastolo inflitto in via definitiva a Giuseppe Ferrante, uno “stigghiolaro”, un venditore ambulante di quello che oggi chiamiamo “street food”, di 23 anni arrestato nella mattinata del 10 febbraio 1979 e chiuso nel carcere Ucciardone di Palermo, che, sulla base delle risultanze processuali, ha agito in concorso con ignoti.
In suo ricordo, all’interno del Giardino della Memoria che a Palermo ricorda le vittime di mafia, è stato piantato un albero. Nel suo film, “La mafia uccide solo d’estate”, Pif gli dedica un delicato ricordo, rievocando la sua morte e facendolo interpretare dall’attore Claudio Collovà.
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