Il rinnovamento dei “tengono famiglia”

Editoriale di Mauro Seminara

Questa campagna elettorale ha varie sfaccettature da analizzare, ma un particolare su tutte la caratterizza: è la campagna del tutti contro uno. Un bipolarismo di circostanza. Al centro del dibattito politico, prima ancora che immigrazione e tasse, c’è il Movimento Cinque Stelle. Essi rappresentano l’ossessione di tutti i leader di partito e di tutti i candidati. Al punto che qualche serio dubbio sorge perfino sulla genuinità dei sondaggi che leggiamo e che tra loro si discostano sempre e solo di uno zerovirgola. Come se il campione contattato da Ipsos, Tecnè, Ixè, Istituto Piepoli, Emg e chi più ne ha più ne metta, fosse lo stesso con esattamente gli stessi numeri di telefono. Come se le persone contattate fosse tutte parenti di esponenti politici. Attendibili o no, il dato certo per il quale non è necessario alcun sondaggio è che PD, FI, Lega, FdI, LeU e schieramenti minori sono tutti proiettati contro i “grillini”. Che qualcosa è cambiato però lo si vede anche dal fatto che la definizione “grillino” è tramontata. Restano però il nemico da battere. O da abbattere.

Per raggiungere questo obiettivo da caccia grossa si stanno facendo grandi rivoluzioni in casa dei partiti. Una, per citare un caso, è sicuramente quella del centrosinistra per il quale sono ancora attivi i numeri del centralino di “Chi l’ha visto”. Liberi e Uguali si è subito discostato dalla politica renziana cogliendo l’opportunità di capitalizzare i voti degli ex piddini che hanno scoperto quanto il Partito Democratico sia in realtà di destra. Dal “colpo di scena” – e qui vien da ridere solo a pensarlo tale – del presidente del Senato che si dissocia dal partito che impone in modo antidemocratico ed incostituzionale la nuova legge elettorale, il neonato movimento degli esuli ha subito rimarcato i punti fermi della falla PD sbandierando la propria contrarietà e la propria ideologia. Colpo di coda, arriva anche il “medico dei migranti” tra i candidati per la prossima legislatura. Messaggio inequivocabile per gli elettori: loro mantengono la linea di Marco Minniti, noi siamo con Pietro Bartolo. E dai che qualche punto lo avevano anche guadagnato. Ma c’è un problema: i parlamentari tengono famiglia. Sabato, a Palermo, Pietro Grasso ha ufficializzato la propria candidatura nel collegio del capoluogo siciliano. Ai cronisti che gli hanno chiesto del dottor Pietro Bartolo e della sua rinuncia alla candidatura in Lombardia, Pietro Grasso ha risposto che “purtroppo la scelta del collegio non è possibile in un quadro in cui bisogna tenere conto di una parte di parlamentari uscenti”.

Tengono famiglia e non li si può certo lasciare fuori. Quindi un dottor Bartolo va bene per la campagna elettorale, ma poi se la sarebbe dovuta vedere con gli elettori di quella Lombardia in cui la fa da padrona la Lega; che certo non hanno a cuore i migranti e chi li cura né tantomeno chi professa il dovere morale oltre che costituzionale di accoglierli invece di respingerli in alto mare o pretendere la reclusione già prima che partano dalla Libia. Si potrà anche sbagliare, ma l’impressione è quella di un bel cretino. Un “noi siamo questi qui – indicando sul palco del comizio il dottor Bartolo, il bel cretino – e non quelli li”, con ovvia allusione al ministro dell’Interno e quindi al PD. Ma il dottor Bartolo il gioco lo intende chiaro e il bel cretino non intende farlo, quindi scende alla prima fermata e saluta cordialmente Liberi e Uguali. “Il mio posto è a Lampedusa”, dirà Pietro Bartolo. Una frase che in prima analisi può apparire anche semplicemente romantica e legata alla sua “missione”, ma che a pensarci bene, nell’ottica del “se il mio posto è qui, vuol dire che non è lì”, ha tante intrinseche letture. I buoni propositi di chi deve battere ed abbattere il nemico pentastellato crollano già al momento della chiusura delle liste. L’ideologia di partito ed il programma elettorale, in fin dei conti, contano infinitamente meno della matematica. Le liste infatti si fanno a tavolino sulla base dei bacini elettorali e non sulle idee, da portare avanti e da difendere. Gli “uscenti” del Parlamento italiano, convogliati in Liberi e Uguali, restano quindi molto più importanti di un medico che avrebbe rappresentato l’ideologia politica del partito più di qualunque altro candidato. Liberi e Uguali, si, agli altri!

Sulla stessa identica linea è il Partito Democratico, che adesso deve fare i conti con il proprio elettorato e con l’ultima emorragia di voti liberi. Gli elettori di quelli del Nazareno, in qualche modo, erano ancora convinti che “la sindaca alla corte di Obama” dovesse fare parte dei volti nuovi di un rinnovato partito. D’altro canto, l’idea gliela aveva trasmessa proprio il segretario del partito. Matteo Renzi presenta i “candidati simbolo” vantando Lucia Annibali e Paolo Siani, il fratello del giovanissimo giornalista Giancarlo Siani, ucciso dalla camorra il 23 settembre del 1985. Ne consegue che chi ancora spera nel ritorno del “rottamatore”, anche solo in modalità “rinnovatore”, inizia a figurarsi una candidatura per Giusi Nicolini che vada al di là del volere di partito nel collegio di appartenenza. Una candidatura simbolo, inserita in lista dal mazzo di carte personale del segretario. Ma l’ex sindaca di Lampedusa e Linosa non c’è. Vero che quanti se l’aspettavano erano solo degli illusi, perché in coincidenza del dopo amministrative – che non hanno riconfermato Nicolini sindaca – il Partito Democratico sul tema dei flussi migratori è andato tanto a destra da far impallidire la Lega di Salvini, e di Giusi Nicolini in questo assetto anticristiano del Nazareno proprio non avrebbero saputo che farsene; ma c’era davvero chi se lo aspettava. Anche in questo caso hanno quindi prevalso logiche da compartimento elettorale. Un candidato di destra, magari in quota ad un partito esterno, per il PD è meglio di chi era stato un volto di punta fino al condizionato oblio. Non possiamo determinare le qualità dirigenziali di Bartolo e Nicolini, non possiamo quindi determinare se sarebbero stati dei validi parlamentari come non possiamo stabilire se avessero di fatto spostato voti in favore dei rispettivi partiti e quanti; possiamo però ipotizzare che la loro “non candidatura” sposterà voti in senso contrario. Una emorragia elettorale che si fonda sulla perdita di identità politica. Ma di cui tutto sommato non si preoccupano da una parte come se ne infischiano dall’altra.

Il conteggio elettorale si sta calcolando su due principali fenomeni: i voti “blindati” e l’astensionismo. L’equazione è quindi sempre la stessa e si basa sul livello più alto possibile di astenuti a cui contrapporre i grossi parchi voti sicuri. Il modello delle elezioni regionali siciliane. Il figlio di un condannato – accusato anche di essergli prestanome – porta i voti del padre che sono un gran bel numero e quindi si mette in lista, qualunque cosa possano dire quelli che ripetono fino allo sfinimento “onestà, onestà!”. Infatti in Sicilia ha vinto Nello Musumeci, mica Giancarlo Cancelleri. Il fatto che il Movimento Cinque Stelle in Sicilia sia comunque anche questa volta il maggior partito e che sia in grado di condurre compatto la propria politica, contro una maggioranza composta da liste e listini, partiti e partitini, ognuno per conto proprio, agli elettori poco importa e su questo fanno i conti i partiti anche per le politiche del 4 marzo. L’importante è che non vincono i Cinque Stelle. Poi si va con coalizioni stile pendolino nell’ora di punta: salite che se ci stringiamo c’è ancora posto. Poi non ci sarà la così tanto insistentemente pretesa “governabilità” perché magari Salvini e Berlusconi litigheranno appena il primo avrà inteso che non sarà premier perché per al secondo è più utile un Gentiloni bis. Ma non è importante. L’unica cosa che conta è che gli italiani, per “protesta”, ovviamente, non vadano a votare e conducano la percentuale di astensione ben oltre il 50% – per questo è utilissima la confusione politica dei cazzari – in modo da permettere alle coalizioni di partiti, che vantano i soliti portatori di voti condizionati nelle proprie liste, di avere una maggioranza inutile a governare ma utilissima per non far vincere il nemico pubblico numero uno: il Movimento Cinque Stelle. Perché, si, va bene cambiare, migliorare e tutti quei bla bla bla, ma anche chi questo Paese lo ha messo in ginocchio, e poi preso pure a calci nel culo, dobbiamo ricordare che tiene famiglia!

Informazioni su Mauro Seminara 705 Articoli
Giornalista palermitano, classe '74, cresce professionalmente come fotoreporter e videoreporter maturando sulla cronaca dalla prima linea. Dopo anni di esperienza sul campo passa alla scrittura sentendo l'esigenza di raccontare i fatti in prima persona e senza condizionamenti. Ha collaborato con Il Giornale di Sicilia ed altre testate nazionali per la carta stampata. Negli anni ha lavorato con le agenzie di stampa internazionali Thomson Reuters, Agence France-Press, Associated Press, Ansa; per i telegiornali nazionali Rai, Mediaset, La7, Sky e per vari telegiornali nazionali esteri. Si trasferisce nel 2006 a Lampedusa per seguire il crescente fenomeno migratorio che interessava l'isola pelagica e vi rimane fino al 2020. Per anni documenta la migrazione nel Mediterraneo centrale dal mare, dal cielo e da terra come freelance per le maggiori testate ed agenzie nazionali ed internazionali. Nel 2014 gli viene conferito un riconoscimento per meriti professionali al "Premio di giornalismo Mario Francese". Autore e regista del documentario "2011 - Lampedusa nell'anno della primavera araba", direttore della fotografia del documentario "Fino all'ultima spiaggia" e regista del documentario "Uomo". Ideatore e fondatore di Mediterraneo Cronaca, realizza la testata nel 2017 coinvolgendo nel tempo un gruppo di autori di elevata caratura professionale per offrire ai lettori notizie ed analisi di pregio ed indipendenti. Crede nel diritto all'informazione e nel dovere di offrire una informazione neutrale, obiettiva, senza padroni.

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