Il 20 dicembre 1892 scoppiò lo scandalo della Banca Romana. Fu il primo grande crack finanziario di una banca nell’era dell’unità d’Italia e l’anno successivo, nel 1893, provocò la caduta del Governo Giolitti. È il primo giorno del mese di febbraio del 1893. Emanuele Notarbartolo è alla stazione di Sciara, piccolo paese in provincia di Palermo, in attesa del treno che lo porterà nel capoluogo. Il treno arriva alla stazione. Notarbartolo sale. Il suo pastrano si sposta e s’intravede l’impugnatura di un revolver alla cintura. Notarbartolo occupa un posto nello scompartimento. Dalla sua borsa prende un fascicolo colmo di documenti e inizia a leggere. Poco dopo, alla stazione di Termini Imerese, salgono due uomini, Matteo Filippello e Giuseppe Fontana, mafiosi locali. Complici le gallerie che iniziano subito dopo Termini Imerese, i due uomini entrano nello scompartimento in cui Notarbartolo è seduto e sta leggendo. Impugnano un coltello e un pugnale. Gli sono addosso velocemente. Notarbartolo non fa in tempo a estrarre il suo revolver. Lo finiscono in breve tempo. Vuotano la sua borsa, forse prendono documenti. Uno dei due apre il finestrino. Entrambi prendono il corpo di Notarbartolo e attendono un tratto di mare scoperto. Buttano il corpo. Il treno continua la sua strada per Palermo. La corsa verso il mare del corpo di Notarbartolo è fermata dalle sterpaglie che costeggiano la ferrovia. Sarà ritrovato diverse ore dopo.
Sindaco di Palermo dal 1873 al 1876 a guida di una coalizione liberale, il suo mandato viene ricordato per la sua fama di amministratore rigoroso e incorruttibile. Figlio del Marchese di San Giovanni e della Principessa di Sciara, Notarbartolo rimane orfano di entrambi i genitori in tenera età. Studia a Palermo e a Monreale. Si appassiona alla politica e sposa le tesi del liberismo moderato. Nel 1857, proprio per le sue dichiarate simpatie politiche, è costretto ad abbandonare Palermo. Ritorna in Sicilia dopo essersi arruolato nell’esercito sardo e combatte al fianco dei garibaldini nella battaglia di Milazzo. Nel 1864 abbandona la carriera militare e si sposa con Mariana Merio, dalla quale avrà tre figli. La sua rigorosa amministrazione fu attaccata e contrastata, ma, proprio grazie al mandato di Notarbartolo, la città vede il completamento del mercato degli Aragonesi e la realizzazione della copertura del teatro Politeama. Fu lui a posare la prima pietra per la realizzazione del Teatro Massimo e diede il via all’ammodernamento della rete viaria, con la realizzazione delle strade di collegamento tra la stazione centrale e il porto. Nel 1876 accetta la nomina a direttore del Banco di Sicilia, importante istituto bancario siciliano. Il suo primario obiettivo fu il risanamento dei conti e l’eliminazione di servilismi e vassallaggi che, scoprì, erano insiti alla gestione dell’istituto bancario. Nel 1892 fu sequestrato e questo fu il primo di una serie di segnali che lo raggiunsero. Notarbartolo aveva messo nel suo mirino, tra gli altri, don Raffaele Palizzolo, detto “u Cignu”, luogotenente siciliano di Francesco Crispi, deputato e membro del consiglio di amministrazione del Banco di Sicilia. Come membro di tale consiglio, il Palizzolo aveva compiuto diverse malversazioni che contrastavano con il rigore imposto da Notarbartolo. Ma le sue denunce e la sua posizione nei confronti di Palizzolo non piacquero nemmeno al ministro che l’aveva voluto su quella sedia e Notarbartolo fu licenziato.
Quando l’1 febbraio 1893 fu trovato il cadavere di Emanuele Notarbartolo, non ci furono dubbi: era stato ucciso su ordine di don Raffaele Palizzolo. Il processo fu celebrato sette anni dopo. Per legittima suspicione la sede del procedimento fu individuata in Milano. Sul banco degli imputati sedettero Filippello e Fontana. Solo durante il dibattimento emersero, grazie all’impegno del figlio Leopoldo, le responsabilità del Palizzolo che verrà condannato a trent’anni di reclusione. Così come la morte di Emanuele Notarbartolo scosse l’opinione pubblica per anni, sino all’inizio del Novecento, la sentenza nei confronti di Raffaele Palizzolo fece indignare la nobiltà siciliana, ritenendola una condanna per la Sicilia. La famiglia Florio, attraverso il quotidiano “L’Ora”, di cui era proprietaria, impegnò le sue migliori penne nella difesa del Palizzolo. Lo stesso Ignazio Florio, ascoltato come testimone al processo, asserì che non aveva mai sentito parlare di mafia e che si trattava del solito modo per buttare fango sulla rispettabilità della Sicilia e dei Siciliani. Il 27 gennaio 1903, come spesso è successo nei processi di mafia, la Cassazione annullò il dibattimento per un vizio di forma e istruì un nuovo processo. La sede designata fu Firenze e Palizzolo fu assolto per insufficienza di prove.
Emanuele Notarbartolo era nato a Palermo il 23 febbraio 1834. È stato la prima vittima eccellente della mafia siciliana, Cosa Nostra. Quando fu ucciso, l’1 febbraio 1893, lasciò la moglie Mariana Merlo e i tre figli, Teresa, Leopoldo e Antonietta. Il suo corpo riposa al Cimitero dei rotoli a Palermo.