Il petroldollaro non può ammettere che il maggior produttore mondiale di petrolio faccia a meno della valuta che domina e pretende di dominare il mercato mondiale del greggio. Il Venezuela è sotto attacco da diverso tempo. In ogni modo è stato tentato il rovesciamento del Governo di Nicolas Maduro, ma allo stato non è stato raggiunto l’obiettivo. Come nel caso di Bashar al Assad, per rovesciare un Governo ci vuole l’inconsapevole collaborazione del popolo, magari insoddisfatto se non addirittura pronto ad odiare il proprio presidente. Ma il Venezuela, per quanto popolarmente povero, continua a sostenere Nicolas Maduro. E Maduro le idee le ha chiare, come chiaramente le ha comunicate ad i venezuelani. Già da tempo era circolata la notizia della contrattazione che Maduro conduceva per sottrarsi alla borsa del dollaro americano. Le prime ipotesi erano quelle di un petrolio venezuelano in Yuan cinese. La sola idea aveva fatto intensificare gli scontri nel Paese e reso più cattivi gli attacchi militari a Maduro.
Ma il rischio è alto per il Venezuela e per Nicolas Maduro, malgrado appaia uomo difficile da intimidire. In un recente passato un altro Paese aveva avuto ambizioni di autonomia finanziaria e di sottrarsi in tal modo alla morsa economio-finanziari dei Paesi aguzzini. Lo Stato in questione era la Libia ed il suo leader, nel periodo in cui una impronunciabile sentenza di morte era stata emessa a suo nome, era il presidente di turno dell’Unione Africana. L’UA aveva presentato il proprio conio, una valuta detta dinaro africano che avrebbe dovuto dare il via alla borsa africana. In soldoni, i Paesi africani che avevano aderito all’Unione Africana ed all’adozione della moneta unica “dinaro africano” avrebbero deciso il valore dei loro beni – petrolio, uranio, pietre dure, oro ecc – con la loro borsa. Come si è conclusa la velleità di Muammar Gheddafi è storia. Meno illuminate sono le storie di alcuni dei Paesi che avevano riposto fiducia nel leader libico e che hanno casualmente subito dei colpi di Stato già a partire dall’anno successivo all’uccisione del “colonnello” Gheddafi.