Silvio Berlusconi, pur essendo stata una dissennata scelta della maggioranza relativa degli italiani, era stato eletto. Purtroppo, per il multimilionario super-editore di Tv e giornali, se in Italia il suo nome rappresenta denaro e potere e condannarlo prima di una prescrizione o demolirlo politicamente è piuttosto difficile, all’estero la cosa è sensibilmente diversa. Tanto che Berlusconi si trasforma addirittura in un cosiddetto pesce piccolo al cospetto del quasi invisibile establishment globale. La sua presunzione quindi non gli consentiva di comprendere che determinate spavalderie gli sarebbero costate care. Frequentare Vladimir Putin, definendolo un amico e provare a sdoganarlo nel mondo occidentale, non si fa. Putin è cattivo e cattivo è chi lo frequenta. Mica Putin è uno stinco di santo come Benjamin Netanyahu, che tutto il mondo occidentale stima e riverisce! Frequentare Muammar Gheddafi e provare a sdoganarlo su territorio europeo, mettendo a piedi pari l’Italia in Libia dal punto di vista affaristico, non si fa. Gheddafi era cattivo e cattivo era chi lo frequentava, soprattutto se per fare il furbetto su quegli affari per cui l’invisibile establishment di cui sopra ha posto il veto. Insomma, Silvio Berlusconi nel 2011 è stato sostituito. Sostituzione decisa ed operata da chi è tanto potente da pensare a Mister Mediaset come a “quell’omino milanese che ha la villetta antica in periferia”. Agli italiani è toccato Mario Monti per volere di Giorgio Napolitano. Governo tecnico, fatto da tecnici, che avrebbe dovuto transitare lontano da acque paludose l’Italia mentre si preparavano le elezioni anticipate? No. Il presidente della Repubblica, autoincoronatosi monarca, ha deciso chi doveva governare, sorretto da quale maggioranza ed anche quale politica doveva attuare, fino a naturale scadenza della legislatura. Dall’alto del Colle, Napolitano ha guardato gli italiani e deciso che non meritavano il diritto di scegliere un dopo Berlusconi. Gli italiani sono stati spogliati, nel solo primo semestre montiano, come neanche Renzi in sei anni avrebbe saputo fare. In Italia l’attesa delle elezioni era quindi ormai una questione di vita o di morte; e molti non ce l’hanno fatta, decidendo davvero di togliersi la vita prima di subire l’umiliazione di una esistenza distrutta da debiti eterni e confische di immobili.
Venne il giorno e vinse il centrosinistra, al tempo ancora grossomodo tale, guidato da Pierluigi Bersani. Ora, inutile ripetere la solita litania sul fatto che in Italia non è previsto il candidato premier, perché non lo prevede la Costituzione ma di fatto è così ormai da tante legislature. Per il Partito Democratico il leader designato per Palazzo Chigi era appunto il segretario di partito Pierluigi Bersani. Solo che non gli riuscì di formare un Governo. Si disse per colpa del Movimento Cinque Stelle, anche se questi avevano notoriamente al punto uno dei dieci comandamenti interni che non si fanno alleanze. Lo si disse per tanto tempo, anche se la proposta di Bersani era palesemente di circostanza e malgrado dopo, lo stesso Bersani, la definì finta e di facciata con un “figuriamoci se io…”. Decise ovviamente il monarca del Colle, e Re Giorgio diede mandato a Enrico Letta. Quell’Enrico Letta che sedeva al fianco di Pierluigi Bersani al famoso incontro con i Cinque Stelle. Letta non durò molto e le chiavi di Palazzo Chigi, sempre su decisione di sua maestà il presidente della Repubblica, passarono a Matteo Renzi. La seconda volta che lo stesso presidente della Repubblica dava mandato per presiedere il Consiglio dei ministri ad un estraneo al Parlamento. Un non eletto da nessuno. Nel caso di Mario Monti, pochi giorni prima dell’incarico, re Giorgio aveva nominato senatore a vita il professore bocconiano. Quindi, senatore si ma eletto no. Nel caso di Renzi, né eletto e manco nominato senatore. Renzi si mise subito al lavoro per riformare drasticamente la Costituzione della Repubblica, quasi un terzo del testo, come desiderato dal garante della Costituzione: re Giorgio Napolitano. Una riforma talmente radicale e mal redatta – una follia da incompetenti – che nel doppio turno Renzi non spuntò i due terzi del Parlamento per l’approvazione. Sorvolando sulle allusioni, anche recenti, dell’ex presidente del Consiglio sull’aver “voluto” il referendum, che in realtà era un obbligo costituzionale a tutela del popolo sovrano, il risultato alla consultazione popolare del 4 dicembre 2016 lo ricordano tutti.
A casa anche Matteo Renzi che aveva promesso di ritirarsi dalla vita politica, come la ministra per le riforme costituzionali Maria Elena Boschi, qualora il referendum fosse stato perso. Questo fu il volere degli italiani che ormai boccheggiavano sotto le riforme anti-popolo varate da Governi non eletti che mettevano in atto programmi mai passati dall’approvazione popolare. In tutta onestà, chi mai avrebbe votato per un partito con un programma che al suo interno aveva “La buona scuola” ed il “Jobs Act”? E poi ci si dovrebbe anche chiedere, già che siamo sul tema: che c’è di sbagliato nel costruire una vita nella propria terra, vicino ai propri cari e portando avanti la propria cultura e la propria tradizione oltre ai programmi nazionali redatti dal Ministero? E qual è il torto del lavoratore che deve obbligatoriamente diventare flessibile, adattabile, precario, a chiamata e senza alcun potere d’acquisto o diritto di accesso al credito? Certo che con un programma del genere, unito alla riforma di un terzo o quasi della Costituzione, il Partito Democratico di Matteo Renzi non lo avrebbe votato mai nessuno. Infatti, sotto l’egida di re Giorgio, si provò a riformare la Costituzione, in un Parlamento illegittimo ed autorizzato dalla Corte Costituzionale alla sola attività legislativa ordinaria e con esecutore un Governo mai passato dalle urne con il suo programma di Governo inedito per gli elettori. Voucher a tradimento dopo che, con il precedente Governo voluto e nominato dal presidente-monarca, era stato sfanculato l’articolo 18 ed i diritti dei lavoratori. Probabilmente la premessa risulterà più lunga del punto al quale si vuol parare, ma era inevitabile farla.
La situazione di stallo, senza maggioranza, in cui adesso si trova il Paese è colpa degli elettori. Questo si è capito ieri, dopo che i prestigiosi analisti di partito, teoricamente però fedeli alla deontologia del giornalista e non al loro editore con diretti interessi in politica, si sono ripresi dalla mazzata in testa che hanno moralmente ricevuto. Sembravano tutti delle piagnucolanti Giovanna Botteri dopo l’elezione di Donald Trump. Ora stanno insinuando, per giustificare il gran casino che i grandi esperti di politica tassellati sulle poltrone da quarant’anni hanno commesso, che il torto è dell’elettore. Gli italiani hanno finalmente votato e in tal modo hanno espresso i propri disagi e le proprie richieste, ma questa maledetta democrazia proprio non va bene. Gli italiani non capiscono niente di politica e votano male! Meglio quando decideva Napolitano per tutti. Aveva ragione la J.P. Morgan nel dire che in questo Paese c’è troppa democrazia e che la Costituzione tutela troppo i lavoratori e gli italiani in generale. Comunque, hanno sbagliato gli elettori e nessuno oltre loro. Anche se neanche questa volta “i mercati” hanno deciso di uccidere l’Italia. Neanche Matteo Renzi, nella diatriba interna al Partito Democratico, ammette di aver condotto un partito che esordì con un 33% fino al misero 18% distruggendolo dall’interno. Infatti, neanche a dirlo, la colpa è degli elettori che il 4 dicembre 2016 bocciarono la sua riforma e l’unico errore commesso da loro – non da lui – del PD è stato non andare al voto nel 2017. Altrimenti l’esito del voto di domenica sarebbe stato ben diverso. Nel frattempo resta che Renzi fa la supercazzola e, con un tarapia tapioco delle consultazioni e come fosse antani il Governo con lo scappellamento sulla direzione nazionale del partito, rimane segretario del PD fino a quando non si insedierà il nuovo Governo. In altri termini, non ammette di aver combinato uno sfacelo e pretende di condurre lui il partito che ha distrutto durante gli accordi per la formazione di Camere e Governo. E ci sono voluti i minatori per farlo uscire, ieri pomeriggio, in conferenza stampa a dire che neanche alla luce di una simile implosione del Partito Democratico intende dimettersi. Altri che non ammettono nulla sono quelli di Liberi e Uguali che, dopo una vita – chi più e chi meno – nei palazzi della politica ed in Parlamento, non hanno avuto tempo sufficiente per chissà di cosa convincere gli elettori. Forse che non erano mai stati del PD e che due dei colonnelli di partito non erano mai stati presidenti di Camera e Senato in questa legislatura appena terminata e durante le più ignobili “ghigliottine”. Altro indiretto senso di colpa negli elettori viene instillato da +Europa, che non è riuscita – a detta di Benedetto Della Vedova – a far capire qualcosa agli italiani sul “più” e sull’Europa. Malgrado forse siano stati gli elettori a non riuscire a far capire a Della Vedova e Bonino che gli italiani vogliono solo restituiti quei diritti di cui sono stati privati ogni volta al suono di “ce lo chiede l’Europa”.
A nessuno viene quindi il dubbio che solo una mente davvero contorta potrebbe partorire una legge elettorale come il “rosatellum”. A nessuno è venuto il dubbio che gli italiani volevano esprimere le preferenze e sono stati apertamente presi per il culo. Nessuno si era accorto che il 4 dicembre del 2016 aveva preso una mazzata da “ritiro perenne dalla scena politica” e che ad ogni stazione in cui si fermava il suo “treno elettorale” ci voleva l’Esercito italiano per proteggerlo dagli italiani. Nessuno si è chiesto cosa effettivamente ha fatto negli anni per migliorare la condizione degli italiani. Nessuno si è posto il problema della reale situazione del Paese e del disinteresse dei partiti sul diritto alla salute, accesso al credito, stabilità economica, stabilità lavorativa, cuneo fiscale, costo del lavoro, tutela del made in Italy, prodotto agricolo italiano, banda larga, nuove imprese e start-up. Poi, un giorno, si svegliano – si fa per dire – un manipolo di geni ed iniziano ad interrogarsi sugli errori commessi in campagna elettorale. In campagna elettorale!? Cioè, premesso che la legge Basaglia è civiltà indiscutibile, si potrebbe anche fare una piccola eccezione per il suddetto manipolo di geni. Gli italiani hanno votato, tre su quattro, e deciso chi vogliono che provi ad attuare i propositi con cui agli italiani si sono presentati. In crescita Matteo Salvini, inedito in ruoli di Governo o Parlamento italiano, che però totalizza quanto il PD in picchiata senza paracadute e poco più di Forza Italia. Tutti gli altri stanno sotto il 4%. E malgrado la stampa italiana, con la certezza di apparire ridicola, è stata avversa al Movimento Cinque Stelle sin dalla sua nascita con un ostracismo mai visto, un elettore su tre ha deciso di “cambiare” aria nella politica italiana. Quindi, la colpa adesso non può che essere dell’elettore che ha preteso di mandare in pensione il “sistema”. Ecco che intanto arriva però la dritta a cui tutti si allineano: adesso il Movimento Cinque Stelle è il sistema! Perché c’è un sarto matto che ogni giorno cuce addosso ai “grillini” un nuovo vestito, con uno stile ogni volta diverso secondo le circostanze. Adesso l’anti-sistema è diventato il sistema. Domani chissà!
C’è però da fare una puntualizzazione sulla questione elettorale, per doverosa chiarezza. Una coalizione può essere un insieme di partiti che sposa un programma unico ed una guida prestabilita. Non un’alleanza finalizzata alla sola vittoria delle elezioni; e poi ognuno resta quel che è, cioè diverso in obiettivi e modus operandi dall’altro. Non ha vinto il PDL, partito unico che univa sotto un unico programma tutte le realtà di centrodestra. Ha vinto la somma di Forza Italia, Lega e Fratelli d’Italia. Questo era voluto con la legge elettorale meno condivisa dai partiti che si ricordi. Legge approvata, a suon di fiducia e già durante una campagna elettorale aperta, per obbligare i partiti ad allearsi ed arginare così il rischio di vittoria del Movimento Cinque Stelle. Il risultato è il disastro cui assistiamo, con un vincitore indiscusso in termini di maggioranza elettorale ma senza un vincitore con una maggioranza parlamentare. “Che a farle i complimenti ci vuole fantasia”, direbbe Giorgio Gaber. E ci tocca assistere a questo assurdo stallo perché il presidente della Repubblica, pur non essendo più re Giorgio, non ha rifiutato di firmare il “porcatellum-rosatellum”. Adesso, verso fine marzo, il presidente della Repubblica dovrà dare mandato per la formazione di un Governo. Mandato che non potrà comunque andare a Matteo Salvini, perché esso rappresenta meno di venti italiani su cento. La sua alleata ne rappresenta appena quattro su cento ed il suo pregiudicato alleato ne rappresenta quattordici su cento. Quindi, per colpa degli elettori che non sanno niente di politica e non devono mai pretendere di cambiare nulla, il mandato dovrà comunque essere affidato a chi rappresenta trentadue italiani su cento, a meno di non voler provocare una rivolta in Italia. Forse è il caso di far smettere certa gente di fare leggi a cazzo e con la pretesa di ritenersi pure esperti. Speriamo almeno che il presidente della Repubblica attuale ricordi che questa non è una monarchia e che “La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”.
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