Il sindaco di Lampedusa e Linosa, Totò Martello, attende un incontro al Viminale per discutere dell’Hotspot dell’isola. Secondo il primo cittadino l’Hotspot non serve più a nulla e a Lampedusa se ne può anche fare a meno. “Quando arrivavano migranti da vari porti di partenza e di varie nazionalità – spiega Martello – sull’isola si svolgevano le funzioni volute dall’UE con l’Hotspot, ma oggi di richiedenti asilo qui non ne arrivano più e quindi la ragione giuridica del Centro di Contrada Imbriacole può essere cambiata”. L’idea del sindaco è quella di un possibile CPR, un Centro Permanente per il Rimpatrio. “Se arrivano solo migranti tunisini, che sono destinati al rimpatrio, in questo modo sappiamo che devono stare dentro il centro – precisa il sindaco – e non in giro per le strade dell’isola a far danni. Se è un CPR – aggiunge Martello – non ci potrà essere nessun buco nella rete”. Il riferimento è inequivocabile. Negli ultimi mesi Lampedusa ha tollerato non senza sforzi i crimini perpetrati a cadenza pressoché quotidiana, diurni e notturni, dagli harragas fermati sull’isola per carenza posti nelle strutture dedicate ai migranti da rimpatriare. A Lampedusa gli incontri occasionali tra compaesani erano ormai incentrati sullo scambio delle ultime notizie riguardanti i “colpi” messi a segno il giorno precedente. L’auto, l’appartamento, le bottiglie nei negozi, i profumi, i razzi di segnalazione… Ogni giorno il paese aveva un nuovo crimine, un nuovo danno, di cui parlare.
“Se questa è un’isola in cui non accade mai nulla o quasi, e poi la statistica inizia ad impennarsi con accoltellamenti e decine di furti nelle case ed auto aperte e tutto quello che si è verificato – dice il sindaco Totò Martello – è chiaro che ci siamo trovati di fronte ad un problema di ordine pubblico che non può essere in alcun modo sottovalutato”. La statistica di fatto non può negare ragione a Martello, ma l’incendio di ieri sera risolve ogni dubbio. I migranti hanno incendiato materassi e coperte per rendere la struttura inagibile e costringere le autorità a trasferire tutti gli harragas tunisini in Sicilia, certi che da li riceveranno l’ordine di allontanamento dal territorio firmato dal questore e così potranno liberamente proseguire il loro viaggio. L’incendio però avrebbe potuto causare danni maggiori o vittime. Un incendio peraltro annunciato, se visto nell’ottica degli episodi precedenti. Casi analoghi in cui migranti nordafricani, in massima parte tunisini, avevano dato alle fiamme la struttura per interrompere la permanenza estremamente lunga sull’isola. L’unica, forse, variazione dovuta all’esperienza è stato un presidio dei Vigili del Fuoco appena fuori del Centro di Accoglienza. L’immediato intervento dell’unità di presidio, prima del sopraggiungere delle altre squadre, ha impedito che l’intero padiglione dormitorio andasse in fiamme come accadde nel 2009 – stesso padiglione – e nel 2011. Oggi cinquanta migranti sono stati trasferiti e nei prossimi giorni dovrebbero andare via anche i restanti cento. Il dormitorio però, malgrado la tempestività dell’intervento che ha scongiurato il peggio, ha subito danni strutturali. I pannelli di “Isopam”, esposti al forte calore sprigionato dalle fiamme, hanno accusato il colpo ed un lato dell’edificio – quello delle camere in cui l’incendio era stato appiccato – pare non sia più agibile. L’azione dei migranti ha comunque seguito la fredda premeditazione di chi era pronto ad abbandonare l’Hotspot già prima di mettere mano agli accendini. Sull’isola intanto ritorna la speranza di un ritorno alla quiete, senza la preoccupazione di dover chiudere l’auto o di serrare le finestre di casa come in una metropoli.