È la sera del 10 marzo 1948. Placido Rizzotto è a Corleone, un paese in provincia di Palermo, in compagnia di Pasquale Criscione, sindacalista e gabellotto del feudo Drago. Incontrano, sul loro cammino, due uomini. Rizzotto li conosce bene, si tratta di Vincenzo Collura e di Luciano Leggio, entrambi fedeli al boss di Corleone, il dottor Michele Navarra. Poco tempo prima, Rizzotto aveva umiliato in pubblico Leggio. Durante una rissa tra sindacalisti e sodali di Navarra, Rizzotto lo aveva preso e, letteralmente, appeso all’inferriata della villa comunale. Rizzotto si sente in trappola. Qualche giorno prima, la mafia aveva ucciso Epifanio Li Puma, sindacalista e amico di Placido e l’intolleranza verso i sindacalisti, da parte della mafia, era giunta al suo apice.
Pur tentando di reagire, Placido Rizzotto è immobilizzato e rapito. Caricato a forza sulla Fiat 1100 di Leggio, viene portato in una fattoria di Contrada Malvello. Lì è picchiato a sangue e gli fracassano il cranio. Il suo corpo, oramai esanime, è buttato in una foiba in località Rocca Busambra, sui monti Sicani, alle spalle di Palermo. Di lui non si saprà più nulla. La mattina dell’11 marzo, rientra dalle campagne il piccolo Giuseppe Letizia. È un pastore e la notte precedente, nonostante i suoi dodici anni, era a guardia del gregge di famiglia. Il padre vede rientrare a casa un ragazzino sconvolto, in evidente stato confusionale, che parla di morti ammazzati, di percosse e di teste fracassate. Non può fare altro che portarlo dal medico. Al suo arrivo all’Ospedale dei Bianchi, diretto dal dottor Michele Navarra, il racconto del ragazzo colpì il medico. Michele Navarra non è un medico qualsiasi. Michele Navarra è il boss mafioso di Corleone. Fu insignito della fiducia incondizionata della mafia nel 1945 quando suo cugino Angelo Di Carlo, di ritorno dagli Stati Uniti con la divisa dei marines addosso, lo scelse per sostituire don Calogero Lo Bue, vecchio boss oramai ritenuto inadeguato. Un’iniezione letale, un compiacente certificato di morte per tossicosi redatto dal dottor Ignazio Dell’Aira, che subito dopo chiuse il suo studio medico ed emigrò in Australia, e al piccolo Giuseppe Letizia, testimone involontario, fu chiusa la bocca per sempre.
Placido Rizzotto, originario di Corleone, aveva combattuto in Carnia durante la Seconda Guerra Mondiale e, dopo l’8 settembre, decise di unirsi alla brigata partigiana Garibaldi. S’iscrisse al Partito Socialista e, al ritorno dalla guerra, iniziò subito il suo impegno diventando, in breve, esponente di spicco e di riferimento del Partito Socialista e della CGIL, l’organizzazione sindacale. Il principale obiettivo di Rizzotto, fu quello di far capire ai contadini che la ribellione contro la mafia era necessaria sia per la loro sopravvivenza sia per quella del territorio. Il potere della mafia, che si sviluppava in accordo con gli agrari, opprimeva i lavoratori. Le assunzioni erano controllate e fatte seguendo logiche clientelari e familistiche. Rizzotto si mise alla testa dei contadini nell’occupazione delle terre gestite dalla mafia e nella distribuzione delle terre incolte alle famiglie oneste. Diversi furono i tentativi di delegittimarlo e di isolarlo. Le minacce nei suoi confronti crebbero quando Rizzotto iniziò a sostenere con forza i Decreti Gullo, che imponevano l’obbligo di cedere in affitto alle cooperative di contadini le terre incolte o mal coltivate dai proprietari.
Le indagini dell’omicidio di Placido Rizzotto furono affidate ad un giovane Capitano dei Carabinieri, Carlo Alberto dalla Chiesa, e portarono all’arresto di Collura e Criscione che confessarono l’omicidio in concorso con Leggio. Solo nel 1964 Luciano Leggio, latitante, fu arrestato. I Carabinieri lo trovarono nell’abitazione di Leoluchina Sorisi, presunta fidanzata di Rizzotto. Al termine del processo i tre assassini furono assolti per insufficienza di prove, anche grazie alla ritrattazione, in aula, di Collura e di Criscione. Nel marzo 2010, il procuratore di Termini Imerese, dottor Alfredo Morvillo – fratello della dottoressa Francesca Morvillo, moglie di Giovanni Falcone e morta insieme a lui e agli agenti Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro nella Strage di Capaci – ha ordinato la riesumazione del cadavere di Carmelo Rizzotto, padre di Placido, per eseguire la comparazione del DNA con i resti del sindacalista recuperati nel 2009, assieme ad altri ancora oggi appartenenti a sconosciuti, nelle foibe corleonesi. Il profilo genetico dei resti ossei di Carmelo Rizzotto è compatibile con quelli dei resti ritrovati, e quindi del figlio, per il 76%. Si è finalmente avuta la conferma formale: i resti ritrovati nella foiba di Rocca Busambra appartengono a Placido Rizzotto. Ciò che rimane del suo corpo può finalmente avere una degna sepoltura. L’allora presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, decise di onorarne la memoria indicendo, per i suoi resti, un Funerale di Stato che si tenne a Corleone il 24 maggio 2012 ed a cui lo stesso presidente presenziò.
Placido Rizzotto era nato a Corleone, in provincia di Palermo, il 2 gennaio 1914. Fu ucciso dalla mafia il 10 marzo 1948 e il suo corpo fu gettato in una foiba. Il suo funerale si celebrò soltanto il 24 maggio 2012.