di Mauro Seminara
Un’altra Ong che soccorre migranti nelle acque del Mediterraneo centrale al largo della costa libica finisce sotto processo. Dopo la Iuventa, della Organizzazione Non Governativa tedesca Jugend Rettet, è giunto adesso il turno della Open Arms. La nave, della omonima Ong Proactiva Open Arms, è stata sequestrata dalla Procura di Catania dopo l’arrivo in porto a Pozzallo. Fermo restando il principio di “atto dovuto” e l’obbligo di procedere da parte di una Procura della Repubblica competente per giurisdizione territoriale nel caso di notizia di reato o ipotesi di reato, il caso della Open Arms suscita inevitabili perplessità sulle circostanze. La nave della Ong catalana è tra l’altro la stessa che appena pochi giorni addietro aveva soccorso e sbarcato in Sicilia, sotto il coordinamento della sala operativa MRCC italiana, un gruppo di migranti ridotti in pessime condizioni di salute. Tra le 91 persone soccorse dal team della Organizzazione catalana la scorsa domenica c’era anche Segen, un giovane 22enne rimasto imprigionato in Libia 19 mesi prima di venire caricato su un gommone. Il giovane migrante eritreo versava probabilmente in condizioni di salute peggiori dei compagni di sventura, tutti visibilmente sfiniti dalla fame ed estremamente debilitati. Segen, a soli 22 anni, è morto all’ospedale di Modica qualche ora dopo l’arrivo. Causa del decesso: cachessia, cioè sindrome da deperimento.
Un paio di giorni dopo la morte del giovane Segen, la nave della Proactiva Open Arms ha soccorso altre centinaia di migranti nel Mediterraneo centrale. I soccorsi sono stati effettuati giovedì 15 marzo a circa 70 miglia nautiche dalla costa della Libia, in acque internazionali ed a circa metà strada tra la Libia e l’isola italiana di Lampedusa. La Guardia Costiera italiana venerdì ha comunicato con una nota stampa che aveva ricevuto segnalazione di due imbarcazioni in difficoltà con migranti a bordo, e che aveva informato “tutte le MRCC prossime all’area in questione, avvisando nel contempo le unità navali in transito nella zona di interesse”. La stessa Guardia Costiera italiana precisa che: “In entrambi i casi il coordinamento veniva assunto dalla Guardia Costiera libica. Per entrambi gli eventi rispondeva l’ONG Open Arms, a conoscenza dell’assunzione del coordinamento da parte della Libia. La Open Arms traeva in salvo in totale 218 migranti.” La Open Arms sarebbe poi stata raggiunta dalla sedicente Guardia Costiera libica che sotto la minaccia armata avrebbe intimato alla Ong la consegna dei migranti soccorsi. La “sedicente” Guardia Costiera libica, perché l’istituzione della Guardia Costiera è di un corpo di soccorso marittimo e non militare. La Guardia Costiera non minaccia con le armi una nave da soccorso umanitario, non spara raffiche di mitragliatrice in aria o su altre imbarcazioni. “Impedire il salvataggio delle vite a rischio in alto mare, al fine di riportarle con forza in un Paese non sicuro – come è la Libia – equivale ad effettuare un respingimento coatto, ed è in contrasto con lo status dei rifugiati delle Nazioni Unite”, ha dichiarato ieri Oscar Camps, il fondatore della Ong catalana. Attestati di legittima solidarietà arrivano anche dall’Italia. L’ex senatore Luigi Manconi ha ieri scritto su Twitter: “Sotto sequestro la nave che ha salvato 218 profughi, donne, bambini e molti malati. E avvisi di garanzia per chi guidava la missione. La fattispecie penale ipotizzata, sospetto, è quella di “reato di soccorso”.”
La Open Arms si era rifiutata di consegnare i migranti ai pattugliatori della Libia, malgrado la minaccia armata, ed aveva manovrato per evitare che i libici la raggiungessero. Questa decisione attuata dalla nave da soccorso, anche secondo l’Unione europea, ha fatto sì che venisse violato il “codice di condotta”, essendo la Libia a coordinare il soccorso. La Guardia Costiera italiana, con la nota stampa del 16 marzo, ha precisato che: “Nella giornata odierna (venerdì, nda) l’unità ONG dirigeva verso nord ovest, con i naufraghi a bordo, in attesa che lo Stato di bandiera, la Spagna, come prevedono le normative internazionali, concordasse con uno Stato costiero, il porto di destinazione dei naufraghi.” Naufraghi, come la stessa Guardia Costiera italiana li definisce, che durante la navigazione avrebbero avuto motivi di complicazione sanitaria a seguito delle quali l’isola-Stato di Malta avrebbe accordato un trasbordo per urgente intervento sanitario di un neonato e della madre di questo. Malta però non ha accettato il resto dei migranti e, mentre lo Stato di bandiera della Open Arms – la Spagna – avrebbe dovuto concordare con i Paesi costieri del Mediterraneo un “porto sicuro” vicino in cui sbarcare i naufraghi, la nave da soccorso umanitario continuava la sua navigazione verso la Sicilia. Spagna e Italia si sono di fatto trovate in accordo sulla necessità incombente della Open Arms e le è stato indicato un porto di approdo con annessa autorizzazione all’ingresso nelle acque territoriali italiane. La Guardia Costiera italiana, nella stessa nota stampa del 16 marzo, precisa infatti che: “Intanto, raggiunto il limite delle acque territoriali italiane, attese le precarie condizioni dei migranti a bordo e le previste condizioni meteomarine in peggioramento, veniva consentito alla ONG di dirigere verso il porto di Pozzallo dove arriverà tra alcune ore.” L’autorizzazione allo sbarco nel porto italiano era quindi giunta dall’Italia a causa delle “precarie condizioni dei migranti” e del sopraggiungere delle “previste condizioni meteomarine in peggioramento”. In tal caso, per la Ong ci sarebbero da verificare soltanto le ragioni – purtroppo evidenti – per cui è stata rifiutata la consegna dei migranti ai pattugliatori libici, e lo stato delle attività di accordo internazionale tra la Spagna e l’Italia sul Paese che avrebbe dovuto accogliere i 218 migranti. Escludendo la consegna ai libici e l’isola-Stato di Malta, che già in passato ha omesso soccorso la dove cinque sopravvissuti su ottanta erano in fin di vita, per lo sbarco dei “naufraghi in precarie condizioni” soccorsi dalla Open Arms rimanevano lo “Stato di bandiera” – che distava altri due o tre giorni di navigazione – e l’Italia.
Nel porto siciliano di Pozzallo, già in corso di operazioni di sbarco dei migranti, il comandante della nave Open Arms ed il responsabile di missione venivano condotti dalle Forze dell’Ordine al cospetto delle autorità per un primo riscontro sui fatti contestati. Richiesta la consegna della documentazione foto e video sulle operazioni di soccorso in mare e sul poco pacifico incontro con i pattugliatori dello Stato al cui MRCC era stato affidato il coordinamento dei soccorsi, la Open Arms sembrava potesse riprendere il mare per raggiungere la base logistica di Malta per una sosta tecnica prima di una nuova missione. Successivamente il colpo di scena: Avviso di garanzia per l’ipotesi di reato di associazione per delinquere finalizzata all’immigrazione clandestina. Con questa accusa, la Procura di Catania iscrive sul registro degli indagati il comandante della nave, il responsabile di missione e, pare, anche il responsabile di progetto. Secondo l’accusa della Procura retta da Carmelo Zuccaro, già pronunciatosi quale diffidente – la scorsa primavera – nei confronti della buona fede delle Ong, ci sarebbe volontarietà nel portare in Italia i migranti a discapito degli accordi internazionali. Questa volontarietà verrebbe confermata dal rifiuto di consegnare i migranti ai libici. La Procura di Catania, inoltre, avrebbe notificato il provvedimento senza nominare un mediatore e consegnandolo in italiano agli indagati. Questo afferma l’avvocato Lo Faro, difensore legale del comandante della Open Arms. In prima battuta, lo stesso avvocato – come già riportato su alcuni quotidiani nazionali – non si era sottratta ad un commento polemico nei confronti del provvedimento etneo: “Hanno istituito il reato di solidarietà”. Nota polemica spiegata con una puntualizzazione che vorrebbe porre già un primo paletto, quantomeno morale, all’attività della Procura etnea: “Poiché il decreto legge 286 del 1998 dice chiaramente che non commette reato chi soccorre persone, devo dedurre che hanno istituito il reato di solidarietà”. Di altra lettura l’esultanza del leader della campagna politica anti-immigrati, Matteo Salvini: “Finalmente un Procuratore italiano blocca il traffico di esseri umani!”
La Open Arms è la seconda nave che opera soccorsi umanitari nel Mediterraneo centrale a vedersi apporre il provvedimento di sequestro con cui se ne impediscono le operazioni. La prima era stata posta sotto sequestro dalla Procura di Trapani durante un ingresso in porto a Lampedusa lo scorso 2 agosto. La Iuventa, poi trasferita da Lampedusa e non più dissequestrata, era stata fermata in piena guerra tra il Ministero dell’Interno italiano e le Ong. Successivamente al “codice di condotta” imposto dal Ministero di Marco Minniti con il consenso dell’Unione europea, l’affidamento del coordinamento e soccorso alla Libia con i suoi pattugliatori armati, vari episodi di pericolo subiti dalle navi delle Ong ad opera dei libici “soccorritori” ed il sequestro della Iuventa, delle oltre venti navi della flotta civile umanitaria che operava nel Mediterraneo centrale ne erano rimaste soltanto tre. In mare, anche in pieno inverno, erano rimaste solo la catalana Proactiva Open Arms, la tedesca Sea Watch e la franco-tedesca-italiana SOS Mediterranee. Quest’ultima è l’Organizzazione internazionale che, in partnership con Medici Senza Frontiere, opera grazie alla sua nave da soccorso e cure mediche Aquarius. Quella della indimenticabile quanto arrogante gaffe del ministro dell’Interno italiano in un noto programma televisivo. La flotta delle Ong che salvano persone, a volte rifiutando la riconsegna ai libici ed altre assistendo a questi che li trascinano in mare malgrado l’intervento minaccioso di un elicottero della Marina Militare italiana, è stata quasi totalmente smantellata ed il soccorso nel Mediterraneo centrale sulle barche che salpano dalla Libia è sempre più in mano alla Libia ed al buon cuore della marineria mercantile che naviga in quelle acque. Fermo restando il presunto atto dovuto da parte della Procura di Catania, pare che nel Mediterraneo il diritto internazionale sia ormai venuto meno. Ed insieme ad esso anche testimoni e stampa internazionale che possano comunicare al mondo quanti migranti muoiono in mare e quanti vengono bloccati e ricondotti alle catene per il diletto dei loro carcerieri. La Libia non ha mai sottoscritto la Convenzione di Ginevra del 1951 sui rifugiati né la Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948. Toccherà attendere, con una nave in meno nel Mediterraneo centrale, per comprendere se la Procura di Catania è organismo superiore rispetto ai trattati internazionali sui diritti umani e se questa riconosce il “Codice di condotta” per le Ong al di sopra delle convenzioni firmate a Parigi il 10 dicembre del 1948 su promozione delle Nazioni Unite. Della Dichiarazione universale dei diritti umani ricorre quest’anno il triste settantesimo compleanno.
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