di Roberto Greco
È la sera del 20 marzo 1979. Siamo a Roma, in via Orazio. La lunga giornata sembra essere finita. Oggi, il presidente della Repubblica Sandro Pertini, ha avallato la nascita del V° Governo Andreotti. Mino Pecorelli lascia la redazione di OP, il giornale che ha fondato e dirige. Raggiunge la sua Citroen DS. Sale. Ha appena il tempo di metterla in moto. Dall’ombra, esce un uomo che indossa un trench bianco e si dirige verso di lui. Nella sua mano compare una piccola pistola. Il primo proiettile colpisce Pecorelli al viso. Si accascia sul volante. Altri tre colpi lo raggiungono. Pecorelli muore all’istante. Il suo omicidio ha una particolarità che, sin da subito, non sfugge agli occhi degli investigatori. I proiettili calibro 7,65 recavano la marca Gevelot, un proiettile particolare e non facilmente reperibile nel mercato ufficiale né in quello clandestino. Sicuramente si trattava di proiettili particolari realizzati per un’arma particolare. Le indagini collegheranno i proiettili con altri, della medesima marca, rinvenuti in un covo della Banda della Magliana. La pistola che ha esploso i colpi mortali sarà ricollegata alla 7,65 con il manico intarsiato in possesso di Renatino de Pedis – boss della Banda della Magliana – il quale sosterrà di averla avuta dal gruppo di fuoco che la utilizzò. Si tratta di Massimo Carminati, il “cecato” o “il nero”, e Angiolino “il biondino”, uomo del boss di Cosa Nostra Pippo Calò. Chi è Mino Pecorelli per il cui omicidio si sono mosse sia l’eversione di destra sia la mafia?
Carmine Mino Pecorelli, molisano di nascita, era un giornalista, scrittore e avvocato. Iniziò, alla fine degli anni cinquanta, la professione di avvocato e diventò esperto di diritto fallimentare. Le sue capacità lo portarono a ricoprire il ruolo di capo ufficio stampa dell’allora ministro Fiorentino Sullo. Questa fu la porta che introdusse Pecorelli nel mondo del giornalismo. Nel 1967 si dedica a tempo pieno al giornalismo. Diventa socio di Leone Cancrini, editore de Il Mondo Oggi, un periodico che si occupava di politica, attualità e cronaca. Nelle dinamiche giornalistiche della rivista, Pecorelli trovò il suo mood come giornalista. Aveva frequentato, per lavoro, gli ambienti politici e quelli imprenditoriali. Sapeva che ognuna delle persone che aveva incontrato custodiva segreti, a tutti i livelli. Iniziò così a occuparsi d’indagine e ricerca per realizzare scoop. In quel periodo iniziò a circondarsi di quel circolo di confidenti appartenenti alla piccola malavita, ma anche a quella che faceva riferimento alle batterie romane – termine usato per indicare le bande criminali – e ai servizi segreti. Pecorelli superò il limite. Il 2 ottobre 1968 il Ministero dell’Interno, tramite il suo Ufficio Affari Riservati, chiuse il periodico di Cancrini e Pecorelli. Il suo ultimo scoop non fu mai pubblicato e venne sottoposto a sequestro.
Il 22 ottobre dello stesso anno, Pecorelli registra al Tribunale di Roma, la sua nuova rivista. Si tratta di OP – Osservatore Politico, una rivista che si occupa di politica, scandali, retroscena. OP, come fu subito chiamata la rivista, si occupava anche dei centri di potere e dei suoi protagonisti. La sua rete di confidenti gli forniva informazioni esclusive, che Pecorelli pubblicava all’interno di articoli precisi, circostanziati e accompagnati sempre da una analisi elaborata e approfondita. Il suo pubblico era un pubblico non convenzionale, trattandosi di una rivista in abbonamento. OP era letta dalle alte sfere militari, dai politici, dagli uomini dei servizi, dai boss della criminalità che avevano affondato i loro denti su Roma, e non solo. Pecorelli decise di distribuire OP in edicola. Nonostante la sua indisponibilità economica, grazie a forti aiuti economici, Pecorelli riuscì ad essere in edicola per parlare della Strage di via Fani e del rapimento dell’onorevole Moro. OP seguì con attenzione i 55 giorni del sequestro dell’onorevole Moro. Sconcertanti le sue rivelazioni, a caldo, a proposito del Comunicato n.7 delle Brigate Rosse, quello che si riferisce al Lago della Duchessa, del quale Pecorelli prova immediatamente la falsità. Nel suo bersaglio, e in quello di OP, entrano Giulio Andreotti e la sua corrente, non solo politica. Pecorelli annusa l’entourage di Andreotti. Sente odore d’industriali, faccendieri e mafiosi. OP pubblica inoltre due grandi inchieste. La prima riguardava l’Italpetroli, l’azienda dell’imprenditore romano Franco Sensi, mentre la seconda, che uscì su OP all’indomani dell’elezione di Albino Luciani come Papa, denunciava infiltrazioni massoniche all’interno del Vaticano.
Le indagini sul delitto di Mino Pecorelli, si indirizzarono negli ambienti dell’eversione di destra, individuando come colpevoli Massimo Carminati, Antonio Vezzer, Cristiano e Valerio Fioravanti, che furono però prosciolti il 15 novembre 1991. Nel 1993 sarà Tommaso Buscetta che, interrogato dai magistrati palermitani, aprirà una nuova luce sull’omicidio di Pecorelli. Gaetano Badalamenti, boss mafioso, gli riferì di interessi da parte di Andreotti nell’omicidio di Pecorelli. La nuova pista investigativa scopre le maglie di una catena che lega Banda della Magliana, mafia, eversione di destra, servizi segreti e P2. Nel fascicolo degli indagati finiscono l’onorevole Giulio Andreotti, il pubblico ministero Claudio Vitalone, Tano Badalamenti, Pippo Calò, Massimo Carminati e Michelangelo la Barbera oltre a diversi personaggi di quella nera stagione italiana. Il 24 settembre 1999 fu emanata la sentenza di assoluzione per tutti gli imputati per non avere commesso il fatto. Il 17 novembre 2002, la Corte d’Assise di Perugia condannò Andreotti e Badalamenti a 24 anni di reclusione come mandanti dell’omicidio. La Corte d’Appello confermò invece l’assoluzione per i presunti esecutori materiali del delitto. Il 30 ottobre 2003 la Corte di Cassazione annullò senza rinvio la condanna inflitta in appello a Giulio Andreotti e a Badalamenti.
Mino Pecorelli era nato a Sessano del Molise il 14 giugno 1928. Giornalista, avvocato e scrittore, fu ucciso a Roma la sera del 20 marzo 1979. Ancora oscuri i motivi della sua morte.