di Roberto Greco
Arrivo all’uscita Serre. Ho viaggiato sulla mitica autostrada Salerno-Reggio Calabria, il cui nome evoca incubi ai vacanzieri italiani. Imbocco la statale 182. Sant’Angelo, Soriano Calabro, Comunella. Ecco l’indicazione per il Parco naturale delle Serre e quella per la Certosa. Percorro l’ultimo chilometro. Alla mia sinistra, dopo il Parco Naturale, si vedono le costruzioni di Serra San Bruno, il paese che prende il nome dal convento.
Circondata dal verde, si apre davanti ai nostri occhi la Certosa. Ricostruita e restituita al culto nei primi anni del XIX° secolo, la struttura fu costruita, intorno al 1200, da una ventina di abati cistercensi che edificarono qui il loro monastero in onore a Santo Stefano dopo la morte di San Bruno, Santo eremita che dimorò nel cuore della Calabria nel 1091. Diversi i passaggi di mano, per lo più a causa di dissidi tra il Papato e ordini e sotto-ordini ecclesiastici, ma intorno al 1600 la Chiesa della Certosa è restaurata e definita la più bella Chiesa di Calabria. Nel 1783 un terremoto rese inutili le precedenti ristrutturazioni. Fu grazie a un redìtto emesso nel 1856 da Ferdinando II, Re di Napoli, che si diede esecuzione ad un precedente e disatteso Decreto datato 1840. I lavori terminarono in tempo per il periodo della Pasqua del 1899 e la consacrazione ufficiale della nuova chiesa avvenne il 13 novembre 1900. Questo luogo, al di là della sua sacrale importanza religiosa, è sicuramente luogo adatto per meditare sulla propria vita e sulla propria esistenza. Ma anche per meditare sul concetto dell’esistenza in quanto tale.
Forse era questo, che cercava Ettore Majorana quando scomparve. Un luogo in cui poter vivere dedicando la propria vita non alla scoperta e progettazione di armi che avrebbero portato morte al genere umano, ma alla meditazione ed al silenzio. Forse scelse davvero di vivere qui per non recare danno all’umanità. La tesi, affascinante, è supportata da La scomparsa di Majorana, il libro di Leonardo Sciascia che, dopo aver analizzato la figura dello scienziato scomparso, la sposa e la suffraga con possibili eventi e grande maestria di racconto. Decido di chiedere anch’io, a uno dei frati certosini, se Ettore Majorana sia stato uno degli ospiti segreti della Certosa. Il plurale è d’obbligo, perché la Certosa aveva già ospitato, in gran segreto, Lennann Leroy, reduce americano della guerra di Corea. Il bisogno di rifugio di Leroy era legato a un falso scoop giornalistico che l’identificò come il pilota che sganciò la bomba atomica su Hiroshima. Ironia della sorte. Oppure destino. Uno degli scopritori del neutrone lento, nucleo fondamentale per la realizzazione della bomba atomica, ha condiviso il suo silenzioso spazio con il possibile responsabile materiale dello sgancio della prima bomba atomica.
Un frate sta rastrellando la ghiaia delle stradine circondate delle ordinate aiuole verdi. Mi avvicino. Alza lo sguardo e mi sorride. “Ettore Majorana, le dice qualcosa questo nome?”. Le parole escono dalla mia bocca con un tono che si aspetta una reazione imprevista. Il frate continua a sorridere. Per un attimo penso che non mi abbia sentito o capito. “Ettore Majorana” ripeto con un tono di voce più deciso e leggermente più alto. Il frate mi guarda, posa il rastrello e comincia a ridere, prima sommessamente, poi senza trattenersi. Corre verso uno dei portici del chiostro “Fratelli, venite!!! Ce n’è un altro”. Mi vergogno un po’. Mi guardo attorno. È valsa comunque la pena arrivare fino alla Certosa. Però, tutta questa strada ci ha messo fame. Risalgo in auto e mi dirigo verso Serra San Bruno. Spero di non trovare un ristorante in cui servono Fettuccine alla Majorana. Non lo sopporterei.
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