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Consultazioni: vince chi perde!

di Mauro Seminara

Domani iniziano le consultazioni del presidente della Repubblica per la formazione del nuovo Governo italiano. Già questo iter mette in risalto quanto ridicola è stata la legge elettorale con cui abbiamo votato e quanto assurdo è stato per Sergio Mattarella firmarla. Infatti, lo stesso presidente della Repubblica che l’ha data per buona senza rispedirla al mittente, alle Camere, adesso darà il via alle consultazioni senza attenersi al risultato delle urne. Secondo tale esito elettorale, le elezioni sarebbero state vinte dalla “coalizione di centrodestra”, all’interno della quale un leader di coalizione – affari loro quale leader – dovrebbe rappresentare l’intera alleanza al cospetto del presidente. Ma non sarà così. Matteo Salvini non salirà al Colle in nome e per conto del centrodestra, in quanto segretario del partito di coalizione che ha preso più voti, ma solo ed unicamente in qualità di segretario della Lega: il suo partito. Sorvolando per pietà istituzionale sull’ipotesi che Mattarella possa ricevere al Quirinale il condannato ed interdetto dai pubblici uffici pluri-rinviato a giudizio e pluri-indagato leader di Forza Italia, anche Giorgia Meloni andrà alle consultazioni solo per quel 4% preso dai Fratelli d’Italia. Complimenti a Rosato ed al suo “rosatellum”. Complimenti al Partito Democratico che ha imposto questa legge elettorale rifiutando il confronto con gli altri partiti nel segno di una dittatura che anche al-Sisi avrà certo ammirato. Forse, tra una decina d’anni, giusto il tempo di svegliare i giudici della Corte Costituzionale, spiegargli cosa è accaduto in Italia durante il loro letargo e sottoporgli nello specifico la legge elettorale con cui abbiamo votato nel 2018, scopriremo con tanto di sentenza che il Rosatellum è incostituzionale. Chissà! Intanto, resta che Sergio Mattarella questa legge l’ha firmata e gli italiani hanno votato con una legge più indegna delle due precedenti. E ce ne vuole! Le due precedenti leggi elettorali erano infatti il “Porcellum” – la legge porcata di Calderoli che preso il nome non dall’autore ma dal giudizio che lo stesso autore ne diede – e quel capolavoro di “Italicum” renziano che il presidente della Repubblica (anche in quel caso sinceri complimenti!) firmò pur essendo priva di regolamento elettorale per il Senato che però non era ancora stato soppresso e che infatti esiste ancora oggi.

L’ultima legge elettorale valida, non bocciata per incostituzionalità dalla Corte Costituzionale, non incompleta e che ha fornito una maggioranza certa e quindi un vincitore alle elezioni che ha potuto formare un Governo, si chiamava “Mattarellum”. Nome, come da consuetudine italiana per familiarizzare ed identificare la legge, che deriva dal suo autore e primo firmatario: tale Sergio Mattarella, oggi presidente della Repubblica. Possiamo quindi dedurre che il nostro caro presidente qualcosa, in fatto di leggi elettorali, abbia comprovata esperienza. Anche se così non fosse, il Quirinale – con quel che costa – dispone di consulenti di primo livello in grado di analizzare senza adito a dubbi tutto ciò che viene sottoposta alla richiesta firma del presidente. Poi c’è stato anche l’assist del presidente del Senato a sottolineare ulteriormente la necessità di un intervento del garante della Costituzione seduto al Colle. Pietro Grasso, con la corrente “dissidente” del Partito Democratico, aveva pensato di utilizzare la violenta antidemocratica blindatura della legge elettorale varata in già palese campagna elettorale per dissociarsi, definendo nel peggiore dei modi il partito “in cui non si riconosceva più”. Quindi, perché Mattarella ha accettato senza batter ciglio una legge elettorale come questa, che non ha disinnescato la minaccia pentastellata, non ha consegnato un vincitore con maggioranza tale da garantire la formazione di un Governo e dover procedere infine con consultazioni separate per gruppi parlamentari e come se a vincere non sia stata quindi una coalizione? Un motivo, piuttosto probabile, potrebbe essere quello che Mattarella non intendeva essere etichettato come il presidente “grillino”. Se a pochi mesi dal voto, prossimi allo scioglimento delle Camere per fine legislatura, il presidente avesse rinviato la legge elettorale, rifiutandosi di firmarla, ne sarebbe conseguito che il Parlamento non avrebbe fatto in tempo a produrre una legge valida in tempo utile. Ciò avrebbe comportato una sola ed unica via percorribile: quella del Porcellum, approvato e varato con le sole correzioni dettate dalla sentenza della Corte Costituzionale che lo aveva bocciato, e rimesso in gioco come legge elettorale “dettata” dalla Corte Costituzione invece che redatta dal Parlamento. Idea proposta e sostenuta dal Movimento Cinque Stelle. Quindi, meglio pigiare con forza il pulsante di autodistruzione del Paese piuttosto che avere un presidente della Repubblica “grillino” che consegnava così l’Italia alla vittoria certa e ben definita del Movimento Cinque Stelle mediante una legge conseguenza dell’incapacità di chi pretende di essere capace e competente.

Una dovuta precisazione: il presidente della Repubblica non riceve i partiti per le consultazioni, ma i gruppi parlamentari. Si, deridendo ulteriormente la legge elettorale anti-M5S, ma con il vantaggio di potersi così portare avanti con il lavoro. Il primo giro di consultazioni dovrebbe consentire l’individuazione di uno o due possibili leader cui conferire un mandato esplorativo per l’ipotetica fiducia ad un nuovo Governo. Per intenderci, Salvini e Di Maio cercherebbero i voti per la fiducia, ognuno per l’ipotetico proprio Governo, ed al termine di tale tentativo riferirebbero al presidente sulle loro rispettive idee di buon fine; oppure rinuncerebbero. In questo caso, però, a Sergio Mattarella viene anche dato modo di sondare le possibilità di due contemporanee e parallele vie. La prima è di rito e prevede appunto che sia il centrodestra che il Movimento Cinque Stelle provino a reperire sostegno in Parlamento. La seconda prevede la via d’uscita più praticabile per Mattarella, per la continuità politica nazionale – quella condotta dal PD – e, tutto sommato, anche per i partiti stessi. Perché è da escludere che il Partito Democratico possa appoggiare il Movimento Cinque Stelle, ed anche che la Lega possa fare harakiri per appoggiare i pentastellati a discapito della propria alleanza e dell’elettorato di centrodestra che è pronta a conquistare per intero al prossimo giro alle urne. Ed anche per il Movimento Cinque Stelle sarebbe un indiscutibile suicidio allearsi, chiunque sia l’ipotetico alleato. Inoltre, neanche Matteo Salvini potrebbe uscire indenne da un Governo a guida Lega ma con l’appoggio del Partito Democratico. Entrambi i partiti del futuro bipolarismo italiano, M5S e Lega, dovranno evitare il PD come la peste se non vorranno giungere alle prossime elezioni ridimensionati di un buon 50%. Ecco quindi che entra in gioco Mattarella per mettere tutti d’accordo.

Alle consultazioni, esperite per singoli gruppi, il presidente verificherà che centrodestra e Partito Democratico possano sostenere un Governo formato da un “uomo del presidente”. Cottarelli e Cantone sono ovviamente solo nomi da stampa, che conduce i primi test; nessuno dei due sarebbe il premier del Governo di Mattarella. Il Partito Democratico però potrebbe ritornare pienamente in gioco a sostegno di una squadra di Governo a cui potrebbe perfino partecipare, ma non perché c’è un accordo con Berlusconi che rende sempre praticabile la società temporanea tra questi e Renzi e di cui verrà messo a parte Mattarella. No, ci mancherebbe! Malpensanti! E neanche perché Salvini opta per l’eutanasia chiedendo i voti al PD per formare il suo Governo da “Salvini premier pronto!”, visto che sta dimostrando tutto tranne che di essere politicamente stupido. Quindi? Solo ed unicamente perché nessuno riuscirà a formare un Governo e qualcuno, “responsabilmente”, dovrà sostenere quello del presidente della Repubblica “per il bene del Paese”. La maggioranza che si potrà quindi comporre è solo quella centrodestra-PD, ed il Movimento Cinque Stelle andrà a sedere dalla parte dell’opposizione occupandone da solo e praticamente per intero i banchi. Il Movimento Cinque Stelle avrà così vinto, perdendo: i suoi elettori si incazzeranno come delle bestie e si prepareranno a superare il 40% alle prossime elezioni dopo una campagna in cui la parola d’ordine sarà ancor più di prima “a casa!” per quanti non rispettano la democrazia del voto. Il centrodestra avrà vinto anch’esso, perdendo: non potendo formare un Governo ne sarà parte con la maggioranza costretta dal presidente della Repubblica e Salvini non dovrà raccontare ai leghisti – mortificato – il perché di un’alleanza col PD. Avrà vinto anche il Partito Democratico, che è l’unico ad aver perso sul serio e si troverà comunque nella maggioranza di Governo insieme al centrodestra. Quest’ultimo dettaglio non è mai stato un problema per quelli del PD di Renzi.

L’unico neo di tutta questa vicenda politica (pessima), democratica (forse) ed elettorale (da dimenticare) è che il punto di osservazione ha la prospettiva sbagliata. Per quanto strano possa risultare, a parità inconfutabile di numeri e percentuali, i due opposti punti di osservazione mostrano risultati marcatamente divergenti. Se si osserva tutto dal punto di vista dei partiti – o da una finestra del Quirinale – vediamo una coalizione di centrodestra che vince con il voto di 37 italiani su cento, seguita da un movimento politico che ha ricevuto il voto di 32 italiani su cento e da un partito che ha avuto la fiducia di 18 italiani su cento. Ma se osserviamo i dati democraticamente, dalla prospettiva degli elettori, il risultato e quasi l’opposto. Cioè, 32 italiani su cento hanno votato per un movimento politico che è quindi il primo rappresentante del Paese e non il secondo classificato, 18 su cento hanno votato per un partito che in quest’ottica non è l’ultimo classificato ma il secondo, 17 su cento ha votato per un altro partito e 14 su cento per un altro ancora; questi ultimi due sono quindi quelli che meno rappresentano la volontà degli italiani. Ma tanto, si sa, gli elettori italiani non contano un cazzo e la democrazia è solo una fake news che gira sui social. Infatti avremo un Governo del presidente – non di scopo, fino a legge elettorale degna, ma per i prossimi cinque anni – tenuto in piedi dalla somma dei partiti che meno rappresentano la volontà degli italiani. Evviva la democrazia! Evviva l’Italia!

Mauro Seminara: Giornalista palermitano, classe '74, cresce professionalmente come fotoreporter e videoreporter maturando sulla cronaca dalla prima linea. Dopo anni di esperienza sul campo passa alla scrittura sentendo l'esigenza di raccontare i fatti in prima persona e senza condizionamenti. Ha collaborato con Il Giornale di Sicilia ed altre testate nazionali per la carta stampata. Negli anni ha lavorato con le agenzie di stampa internazionali Thomson Reuters, Agence France-Press, Associated Press, Ansa; per i telegiornali nazionali Rai, Mediaset, La7, Sky e per vari telegiornali nazionali esteri. Si trasferisce nel 2006 a Lampedusa per seguire il crescente fenomeno migratorio che interessava l'isola pelagica e vi rimane fino al 2020. Per anni documenta la migrazione nel Mediterraneo centrale dal mare, dal cielo e da terra come freelance per le maggiori testate ed agenzie nazionali ed internazionali. Nel 2014 gli viene conferito un riconoscimento per meriti professionali al "Premio di giornalismo Mario Francese". Autore e regista del documentario "2011 - Lampedusa nell'anno della primavera araba", direttore della fotografia del documentario "Fino all'ultima spiaggia" e regista del documentario "Uomo". Ideatore e fondatore di Mediterraneo Cronaca, realizza la testata nel 2017 coinvolgendo nel tempo un gruppo di autori di elevata caratura professionale per offrire ai lettori notizie ed analisi di pregio ed indipendenti. Crede nel diritto all'informazione e nel dovere di offrire una informazione neutrale, obiettiva, senza padroni.
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