di Samantha Scala
Gli Aztechi e il Sudamerica? Cortés e il 1540? Non ne avevo idea. (Anche adesso, in tutta verità, un giretto wikipediano l’ho fatto). Per me, pomodoro è sempre stato Pachino.
E no, il ciliegino non c’entra nulla. Quando il dolcissimo e piccolo presuntuoso fece capolino, ero già un’adolescente. Io invece voglio raccontarvi di un boccone più lontano.
Avevo circa sei anni e davvero non ricordo che mese dell’anno fosse ma non era estate. Di questo ero certa perché mi sorpresi quando entrai in quel tempio che odorava di terra, foglie e sudore. Indossavo un cappottino, c’era così caldo che quasi non si respirava e il vento muoveva con forza i teli di plastica spessa, quasi a tirarli via dalle bacchette e dai piccoli chiodi che le fermavano. Ero dentro una serra. La mia prima volta, o almeno la prima che ricordi, faccia a faccia con una pianta di pomodoro che aveva pressappoco la mia altezza. Accanto, vedevo solo i moscerini e gli scarponi stanchi di mio zio che, di tanto miracolo della natura, era principe e principio.
Per la prima volta, vedevo una vita dietro un piatto di pasta con “la salsa” (per noi bambini, l’unica salsa era quella di pomodoro). Scoprivo la fatica, la dedizione e i frutti, quelli veri, del lavoro.
Tornata in città, raccontai entusiasta ai compagnetti di questa esperienza.
– Ma allora tuo zio è un contadino! Zappa la terra!
Lessi in quelle parole un non so che di discriminatorio. Non mi sbagliavo. Non ho più dimenticato quei giorni ma è con prepotenza che tornano alla mente quando sento parlare di Km 0. E allora penso che la percezione del cibo, sia solo moda. Solo una stupida ed effimera moda (avrei fatto meglio a scrivere #food mi sa).
I promotori del Km 0 sono quei ragazzini, figli dei primi supermercati, della salsa in barattolo che aveva dietro l’unica fatica di essere stata messa nel carrello. Gli stessi ragazzini che credevano che la terra sporcasse e nulla più, adesso professano la genuinitá, il biologico, fino agli estremi del crudismo (vegetariani e vegani? Tzè, superati!).
Io invece ero una bambina sensibile. No, non ho imbarazzo nel confessarlo. E ieri ho avuto un pensiero per lui. Per quello zio che già allora vedevo speciale e che di premure non ne aveva solo per ciò che coltivava ma per chiunque amasse.
Forse per questo il suo pomodoro era il più dolce, il più buono e sincero, che potesse esistere.
È troppo tardi per un riscatto. Non lo è però per insegnare il rispetto, perché dietro un oggetto, qualsiasi esso sia, c’è una vita. Una vita che vale, sempre, non soltanto quando è di moda.
Nell’attesa di avere il miglior prodotto della terra, ad agosto, provate a sperimentare con questa ricetta.
Successo garantito sin dalla prima volta ed ottimo salva cena con amici!
Orecchiette con i pomodorini gratinati
Preparazione
Lavare e dividere a metà i pomodorini.
Sistemarli tutti vicini in una teglia spennellata d’olio.
Unire in una ciotola: pangrattato, parmigiano, pecorino, origano, basilico, sale e pepe.
Cospargere i pomodori con il preparato e irrorare tutto con abbondante olio. Non lesinate! Il pangrattato deve risultare umido. È questo il segreto per una buona riuscita del piatto.
Infornare a 180° finché i pomodori non risulteranno morbidi e ben dorati in superficie.
Se necessario, gli ultimi 5 minuti posizionare la teglia sotto il grill per ottenere la crosticina. Vedrete: un meraviglioso profumo mediterraneo invaderà la vostra casa.
Lessare la pasta in abbondante acqua salata, scolarla al dente, rimetterla in pentola e condirla con i pomodorini gratinati. Mescolare delicatamente per far insaporire.
Servire e buon appetito!
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