Facebook nel mirino anche in Asia

In Vietnam, Cambogia, Filippine, Myanmar e Sri Lanka il colosso del social media è sotto accusa per manipolazioni della comunicazione mediante i nuovi algoritmi introdotti. Una foto degli appunti di Zuckernerg al congresso americano svela interessi di competizione con il mercato cinese

di Alessandra Fabbretti

I problemi per Mark Zuckerberg non si limiterebbero ai profili violati da Cambridge Analytica. Molte le accuse di censura e complicità con i governi, un fenomeno che coinvolge in particolare l’Asia. È il caso di Vietnam, Cambogia e Filippine, dove difensori dei diritti umani, giornalisti e oppositori politici sostengono che i nuovi algoritmi e i meccanismi di “segnalazione dei contenuti inappropriati” siano diventati un’arma dei governi per controllare e imbavagliare il dissenso.
Di recente, il governo del Vietnam ha rivelato di aver creato un’intera divisione speciale per la sicurezza informatica. Per gli attivisti, il lavoro di questa unità consisterebbe nel gestire centinaia di profili falsi finalizzati a segnalare i contenuti contrari alle politiche di Hanoi, ottenendo da Facebook l’automatico oscuramento.

Emblematico anche il caso della Cambogia, dove a luglio ci saranno le elezioni politiche segnate dalle “minacce” del premier uscente a chi voterà per il partito di opposizione. Il cambio di algoritmo nella selezione delle notizie che finiscono nelle homepage degli utenti, starebbe tagliando fuori i contenuti delle pagine. Preoccupati i giornali o i gruppi della società civile, che temono un duro colpo per le voci della dissidenza.
Altro fenomeno a cui Facebook si presterebbe suo malgrado è quello di attirare le critiche dei governi: Myanmar e Sri Lanka sostengono che il social network abbia potenziato le ostilità tra gruppi etnici. Qualche osservatore però teme che dietro a “motivazioni credibili e accettabili”, le istituzioni adottino misure volte a limitare le attività sul web. Qualcosa di simile è già avvenuto in Malesia dove, a pochi mesi dalle elezioni generali, il Parlamento ha approvato una legge che prevede fino a sei anni di reclusione per chi diffonde “bufale” sul web.

Una emblematica espressione di Mark Zuckerberg al Congresso americano

Desta sospetti infine quanto detto dal fondatore di Facebook, ascoltato per due giorni dal Congresso americano per la vicenda Camridge Analytica: i giornalisti della stampa straniera hanno scovato tra i suoi appunti un riferimento alla competizione tra il mercato dell’high tech cinese e quello statunitense. “Spazzare via Facebook? Le società di informatica statunitensi sono un valore chiave per l’America, il loro indebolimento rafforzerebbe le società cinesi”, si legge in una fotografia “rubata”. Un punto che lo stesso Zuckerberg ha sostenuto davanti a deputati e senatori. Il problema – osserva la testata Quarz – è che tali affermazioni contraddicono la “politica conciliante” che Zuckerberg sta avendo nei confronti delle autorità cinesi, le quali dal 2009 mantengono il blocco su Facebook proprio per rafforzare la censura sul web.
Inoltre, il settore su cui le aziende informatiche americane risultano più indietro è quello dei software di riconoscimento facciale. Sul software invece la Cina è all’avanguardia: Pechino lo utilizza anche a fini di “sicurezza pubblica”. Incoraggiare allora a colmare quel gap andrebbe contro le posizioni dei difensori dei diritti umani, che vi intravedono un’altra forma di controllo del governo praticamente ineludibile.

Alessandra Fabbretti – Agenzia DIRE
www.dire.it

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