di Roberto Greco
Dopo il Referendum e le Elezioni per la Costituente svoltisi nel 1946, una contrapposizione dominante nella vita politica italiana non si era ancora tracciata prima delle vere e proprie elezioni politiche. Si svolsero due anni dopo, il 18 aprile 1948 con in lizza un centinaio di partiti, e furono dominate dalla dura propaganda di una compagine che tendeva a presentare un ipotetico pericolo: quello del Comunismo in Italia. L’anno prima, il 16 aprile 1947, il multimilionario e finanziere Bernard Baruch, in un discorso pronunciato alla Camera dei rappresentanti della Carolina del Sud, aveva coniato il termine “Guerra fredda” per descrivere i rapporti tra gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica e anche in Italia la guerra era iniziata. Nessuno parlava più dell’ideologia del ventennio, anche se la nuova destra, il cosiddetto neo-fascismo, non tardò a manifestarsi sotto varie etichette qualificandosi diversamente. Il 1948 era il tempo dell’Azione Cattolica e della sua lunga manus politica non solo su tutte quelle associazioni giovanili, professionali, sportive, o di lavoratori e coltivatori, ereditate dal fascismo, poi la mano cattolica si estese anche sul nuovo partito di Alcide De Gasperi, la Democrazia Cristiana. Nella propaganda elettorale di queste elezioni del ’48 determinante per la DC fu l’opera di Luigi Gedda che creò e diresse i Comitati Civici. Fortemente voluti da Pio XII, non nacquero solo per fare propaganda elettorale a supporto della Democrazia Cristiana. Pio XII non aveva fiducia nei partiti e aspri furono i dissidi con lo stesso De Gasperi che, temendo di perdere, gli disse che non si doveva preoccupare perché “all’elettorato ci penserà Gedda, con le sue Crociate del Grande Ritorno“.
Con un clima simile e con milioni e milioni di manifesti su ogni tipo di muro – non esisteva una legge che regolamentava le affissioni – e altrettanti decine di milioni di manifestini che svolazzavano in cielo in terra e in ogni luogo, i Comitati Civici di Gedda all’apertura dei seggi fecero dunque il miracolo, ma lo fecero principalmente al Sud, in quella Italia che aveva ancora la lotta alla fame, all’ignoranza e alla povertà come priorità. E a proposito di fame, il 20 marzo 1948, un mese prima dalle elezioni, George Marshall, dall’Università di Berkeley in un suo discorso fu abbastanza esplicito. Affermò che “gli aiuti economici e i prestiti agli italiani, già in corso, sarebbero cessati nel caso di una vittoria elettorale in Italia delle Sinistre”. Le due minacce fatte arrivare su tutti i pulpiti d’Italia e zelantemente rinvigorite in ogni più sperduta contrada dai Comitati Civici, paventando agli italiani lo spettro dello stomaco vuoto e l’anima dannata, “realizzarono” “il miracolo”. Quando, in piazza Duomo a Milano, arrivarono i primi camion della War Relief Services, con i “doni” dei cattolici americani che si appoggiavano all’Ente di Assistenza di S.S. Pio XII, il cardinale Schuster gli andò incontro, benedendo la “grazia di Dio”, o meglio la “grazia degli americani”. Il Comunismo era presentato dalla gerarchia ecclesiastica come l’impero del male, “una sventura per l’Italia qualora s’insinuasse nella vita civile italiana questo cancro”, “una disgrazia incalcolabile”, “un salto dentro un abisso dove non esiste Dio”. Anche nel discorso natalizio alla radio del 22 dicembre 1946, Papa Pacelli era già stato più che esplicito. Terminò con una invocazione che sembrò una dichiarazione di guerra: “O con Cristo o contro Cristo”. Non proprio come Urbano II a Clermont che, nel promuovere la prima crociata, disse Deus le volt – Dio lo vuole – ma questo era nella sostanza il suo messaggio. Luigi Gedda prende alla lettera il messaggio pontificio e, con gli ex balilla, ripristina lo scoutismo, con gli studenti universitari crea e consolida la Fuci – Federazione Universitaria Cattolica Italiana – e, con entrambi, forma gli “eserciti della fede” che mobilita nelle adunate oceaniche in ogni città d’Italia, al canto dell’inno “Siamo arditi della fede, siamo araldi della Croce, a un tuo cenno, alla tua voce, un esercito ha l’altar”. Con essi crea proprio gli “Eserciti della Fede”.
Questi oltre 1.800.000 giovani, di ogni età, nelle mani di Gedda diventarono un vero e proprio esercito di attivisti che oltre all’inno recitava nelle preghiere “questa fede che abbiamo radicata in noi è fino al punto di dare per essa se necessario il sangue”. S’invocava quasi il martirio, pur di vincere la competizione elettorale. Le elezioni si tennero così in un’atmosfera appassionata e fervente di crociata contro il “male”, impiegando armi temporali e spirituali, preannunciando premi e sventure. Non mancarono i manifesti catastrofici sulla sorte del Paese, forti che, in febbraio, c’erano stati in Cecoslovacchia i fatti di Praga. La partecipazione degli italiani alle urne delle Politiche in quel 18 aprile 1948 fu elevatissima, giungendo al 92,3 per cento. I democristiani vinsero conquistando 12.741.299 voti, 4.640.295 voti in più rispetto alle elezioni per la Costituente, il 48,5% contro il 35,2% del ’46 quando a quelle stesse consultazioni PSIUP e PCI ancora insieme, avevano fatto registrare il 39,6% e quindi fatto temere l’incombente pericolo rosso. A Milano e a Palermo la DC raddoppiò i voti, a Napoli li triplicò, a Roma li quadruplicò. A urne chiuse i democristiani oltre al successo numerico visto sopra, si guadagnarono la maggioranza con 305 deputati su 574. L’Italia era fatta, finalmente.
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