Lamentu per la morte di Peppino impastato, oggi a Palermo

Lamentu per la morte di peppino impastato racconta la storia di Peppino Impastato ma, nel suo narrare il contesto, racconta i primi trent’anni di quella che oggi è definita “la prima Repubblica”, e racconta la vita di un ragazzo che disse no alla mafia mentre l’Italia era sconvolta da analoghe vicende. Oggi, alle 17:00, nell’ambito delle iniziative organizzate da La Via dei Librai 2018, sul Piano della Cattedrale di Palermo

Oggi, alle 17:00, nell’ambito delle iniziative organizzate da La Via dei Librai 2018, sul Piano della Cattedrale di Palermo verrà rappresentato il Lamentu per la morte di peppino impastato.

Realizzato dall’associazione culturale laStanzadeiBalocchi, in collaborazione con l’AS.VO.PE – Associazione Volontariato Penitenziario di Palermo – la nuova mise-en-scene, torna alle origini del racconto orale, facendo incarnare alla voce recitante il ruolo di cuntastorie. LAMENTU è una piéce di teatro civile che racconta la storia di Peppino Impastato, e il cui viaggio si srotola sul tappeto della storia che parte, idealmente, da quel tragico 1° maggio a Portella della Ginestra e si dipana, attraverso i racconti che riportano alla memoria la polizia di Scelba e Tambroni, i morti ammazzati dalla mafia, le stragi di stato, il terrorismo nell’Italia tutta, fino a quel 9 maggio 1978, quando l’Italia era troppo sconvolta alla notizia del ritrovamento del corpo dell’onorevole Moro, per accorgersi della morte di un extra-parlamentare di sinistra, siciliano e, forse, terrorista. Il lungo viaggio, che termina con la morte di Impastato, porta a una sponda in cui le memorie personali coincidono con la memoria collettiva, là dove scocca la scintilla che ci da il senso di appartenenza, là dove la memoria collettiva può diventare memoria sociale. Il testo, scritto da Valeria Siragusa nel 2007 per l’evento “9 gennaio 2008: perché peppino oggi non compie sessant’anni”, vanta una costruzione strutturale e lessicale che si basa sulla cultura cantastoriale siciliana. “I riferimenti che mi hanno accompagnata durante la scrittura sono quelle della scrittura popolare siciliana – dice l’autrice – in particolare il ‘Lamentu pii la morti di Turiddu Carnevali’ di Ciccio Busacca e Ignazio Buttitta scritto nel 1955”.

Marìka Pugliatti e Giacomo Tesauro

Marìka Pugliatti, la voce narrante, sarà parte di un coro assieme a Giacomo Tesauro, alle chitarre. Sul palco, un grande tabellone, che verrà sfogliato pagina dopo pagina dai nostri cantastorie, che, quadro dopo quadro, dipaneranno il filo della vita di Peppino. Marìka e Giacomo, interagiscono narrando il lamentu. Il commento musicale suonato dal vivo è composto da brani realizzati da Lello Analfino, cantante dei Tinturia e poliedrico artista, oltre cha da brani di artisti dello stesso Tesauro e altri che lo stesso Peppino metteva sul piatto del giradischi a Radio Aut assieme ai suoi compagni di lotta. Di Analfino anche la voce fuori campo che, monito perenne, accompagna la storia narrata da Marìka Pugliatti.

Diretto da Roberto Greco, responsabile della pagina di cultura di Mediterraneo Cronaca, eclettico regista e musicista oltre che critico e firma di spessore delle rubriche di musica, cinema e spettacolo dello stesso giornale, il Lamentu per la morte di peppino impastato racconta la storia di Peppino Impastato ma, nel suo narrare il contesto, racconta i primi trent’anni di quella che oggi è definita “la prima Repubblica”, e racconta la vita di un ragazzo che disse no alla mafia mentre l’Italia era sconvolta da analoghe vicende.

Il viaggio inizia partendo dalla strage di Portella della Ginestra, racconta la nascita di Peppino, nel 1948, ne segue l’infanzia, l’adolescenza e la sua maturità, sia fisica, sia intellettuale, sia di consapevolezza sociale e civile. E intorno a lui si dipana il contesto, un lungo racconto che parla di mafia, di stato, di stragi e di morti ammazzati. Come i vecchi cantastorie che raccontavano fatti e avvenimenti occorsi magari secoli prima, lo spettacolo racconta il perché della morte di Peppino Impastato. E questo perché si chiama mafia.

Non solo una storia siciliana, ma una storia italiana. In ogni città d’Italia c’è, ancora oggi, una madre che piange la morte di un figlio che non ha avuto né verità tantomeno giustizia.

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