Nella struttura di Contrada Imbriacole sono transitati circa duecento migranti nei soli ultimi tre giorni. Attualmente l’Hotspot della discordia ospita 68 persone, tutti di nazionalità nordafricana e conseguenza della recente ripresa del flusso migratorio tunisino. Tra sbarchi autonomi e barconi gremiti fermati dalle autorità in acque territoriali, la struttura di accoglienza di Lampedusa continua ad essere operativa e necessaria. Ma i programmi prevedono altri piani per la ristrutturazione dei padiglioni alloggio ed anche per il personale. La notizia è di oggi, ma non è una comunicazione formale: su 56 lavoratori ne rimarrà in forze forse solo un quinto. Nessuna comunicazione formale perché di fatto i lavoratori dell’Hotspot di Lampedusa non sono, in massima parte, dipendenti della Associazione Temporanea di Imprese costituita da Croce Rossa e Misericordie. Gli operatori, che lavorano per l’ATI ente gestore dell’Hotspot di Contrada Imbriacole sono prestatori di lavoro della Manpower. Ed il contratto scade adesso: il 30 aprile. Quindi nessun licenziamento, nessuna cassa integrazione. Tutti, o quasi, a casa. Tra i 24 lavoratori che mediante l’agenzia di lavoro interinale si occupano dei servizi alla persona ed igienici ne resteranno forse in tutto 6. Anche i servizi di infermeria e magazzino ridurranno la quantità di ore e stesso dovrebbe avvenire per le funzioni dirigenziali.
La disposizione è conseguenza di una serie di concatenati eventi. Il primo è l’incendio che lo scorso 8 marzo ha danneggiato l’ennesimo padiglione. Nel caso, un gruppo di migranti tunisini, al fine di ottenere l’agognato trasferimento da Lampedusa, aveva dato alle fiamme un padiglione adibito ad alloggio dormitorio. Il 13 marzo il sindaco di Lampedusa e Linosa, Totò Martello, aveva incontrato una delegazione di funzionari del Ministero dell’Interno ed in quella data era stata concordata una chiusura parziale della struttura con un servizio minimo garantito per eventuali sbarchi imprevisti e l’inizio dei lavori di ristrutturazione di una struttura che versava in condizioni ormai da tempo non più dignitose. La pianta organica, fino a quel momento proporzionata a circa 380 posti letto (massima capienza), è stata ridotta a circa cento posti letto a causa dell’incendio ed adesso verrà ridotta a 50 per le attività di ristrutturazione. Numero che sembra proporzionato alla decisione di “chiudere” la struttura per rimetterla in condizioni di poter ospitare persone, ma che di contro rischia di non essere adeguato ai numeri in aumento sulla rotta migratoria tunisina. Nel caso di barconi con numeri superiori, che per varie ragioni non dovessero essere immediatamente trasferibili, la gestione sarebbe complicata per operatori generici che andranno a comporre turni di sole due persone. Il personale che adesso andrà a casa, alla vigilia della festa dei lavoratori, congedati dalla scadenza del contratto con l’agenzia di lavoro interinale, sono in buona parte gli stessi che hanno raccolto cadaveri fino allo sfinimento fisico e psicologico dopo il naufragio del 3 ottobre 2013. Sono gli stessi che hanno fatto fronte all’arrivo improvviso di un migliaio di persone lo scorso ottobre in quella stessa struttura poi ufficialmente definita non idonea ad una civile e dignitosa accoglienza.
Diversa è la situazione per l’ATI Misericordia-Croce Rossa che ha prorogato il proprio contratto fino a fine maggio. Proroga che potrebbe andare avanti, di mese in mese, fino al prossimo inverno o comunque fino al prossimo bando di gara per l’affidamento della gestione. L’Hotspot era stato oggetto di una lunga diatriba sull’isola che, nei mesi scorsi, aveva raggiunto l’esasperazione con la lunga permanenza di decine di migranti tunisini che a Lampedusa avevano sovvertito la rinomata quiete isolana rendendosi colpevoli di una lunga serie di piccoli crimini. L’intolleranza degli isolani, a cui il primo cittadino aveva dato risonanza, era sfociata nella proposta dello stesso sindaco di convertire l’hotspot – definito tecnicamente inutile – in stato giuridico di CPR. Un Centro per il rimpatrio da cui i migranti non sarebbero più potuti uscire fino al loro trasferimento. La aspra battaglia locale si era quietata con il trasferimento dei 150 migranti presenti la sera dell’incendio, l’8 marzo, e la notizia di parziale chiusura della struttura. Alla resa dei conti però il centro è e rimarrà aperto, la stagione migliora meteorologicamente ed il flusso di harragas tunisini è adesso in aumento, i migranti che nei giorni scorsi sono sbarcati sull’isola sono di nuovo liberi – così come previsto da legge – in giro per l’isola e gli unici che pagheranno rimettendoci il posto di lavoro sono i dipendenti dell’ATI mediante Mapower. Un danno che incide anche sull’economia dell’isola, considerato che più della metà dei lavoratori sono lampedusani. Una trentina di famiglie, senza reddito o con un reddito in meno, su una popolazione di meno di 6.000 abitanti (solo Lampedusa) non è ininfluente. A questo scopo, sperando nella sensibilità della Prefettura di Agrigento, i lavoratori hanno scritto al prefetto pregandolo di riconsiderare le disposizioni in modo da non mortificare la professionalità degli specialisti dell’accoglienza da circa quindici anni.