La sconfitta del 4 marzo è stata una delle più gravi nella storia del centrosinistra, dice Maurizio Martina in apertura della direzione.
“La nostra gente ci chiede chiarezza e unità. Chiede una direzione salda, univoca, collegiale del PD. Non si può consentire di dire che ci sono diversi partiti nel PD. Non possiamo permetterci doppi binari di direzioni, polemiche e attacchi. Credo debba esserci un immediato cambio di passo. E con questa consapevolezza chiedo alla direzione di rinnovare la fiducia a questa gestione fino all’assemblea nazionale”, dice Maurizio Martina in direzione.
“Propongo un patto consapevole. Non servono false unanimità. Basta con la logica della scissione in casa”, aggiunge.
L’intervento di Maurizio Martina in Direzione:
“La nostra discussione deve ripartire da qui perchè non possiamo rimuovere quello che è accaduto. Dobbiamo riflettere analizzare e capire per cambiare. Renderci conto prima di essere davvero fuori tempo massimo.
Se vogliamo ripartire bisogna compiere una vera autocritica su ciò che non abbiamo fatto, difendere con orgoglio tanto buon lavoro che è stato fatto e che va difeso a testa alta.
Il punto non è che gli italiani non hanno capito ma che abbiamo mancato di rispondere al bisogno di protezione di ampie fasce sociali. C’è bisogno di una rifondazione dell’analisi del pensiero. I buoni risultati ottenuti dal governo non si sono tradotti in consenso per il PD. Chi vogliamo rappresentare e chi vogliamo essere? Spesso siamo apparsi come soggetto elitario.
No alle liste di proscrizione da qualunque parte provengano. Io dico anche basta. Non possiamo essere più feroci tra di noi che con i nostri avversari.
Serve una nuova idea di coalizione, delle alleanze che vogliamo promuovere, per far rivivere un centrosinistra competitivo. C’è bisogno di una rifondazione dell’analisi e del pensiero che è anche una gigantesca sfida culturale oltre che politica. Non è certo solo una questione italiana ma come chiaro a tutti è un tema che investe la sinistra e il campo progressista in particolare in tutto il mondo occidentale. Serve davvero un nuovo inizio per questo progetto. Non tornare indietro e non andare oltre. Ma riprogettare per ripartire.
Serve un suo ripensamento generale a partire da questioni essenziali: la democrazia rappresentativa e la crisi del rapporto tra politica e cittadini, una nuova idea dello sviluppo perché sia davvero equo socialmente e sostenibile, il ruolo dell’Italia in Europa e il suo protagonismo del mondo globale. E serve un ripensamento netto anche su come si fa partito. Su come si sta insieme. Su come ci si riconosce. Su come ci si confronta e si prendono decisioni dopo essersi ascoltati e confrontati con la voglia di costruire una risposta comune. Da noi non possono esistere liste di proscrizione. Non tutto si può risolvere sempre con la logica dei rapporti di forza.
Il PD deve avere chiaro che è possibile il voto anticipato, con le conseguenze che questo può avere per il paese. Ma il tema non può essere un governo con Salvini, Berlusconi e Meloni, come soci di riferimento. Bisogna essere altrettanto chiari.
Non vedo il capitale umano, non vedo grandi costituenti tra chi oggi minaccia querele e tribunali.
Coi Cinque stelle capitolo chiuso, i fatti dei giorni scorsi hanno escluso questa possibilità ma non si è mai trattato di decidere con un sì o un no, se fare un’alleanza o votare la fiducia a un governo Di Maio. Si trattava di lanciare con il confronto una sfida politica e culturale diretta a quel movimento che tanto ha eroso il nostro consenso anche il 4 marzo. E sfidarli proprio sul terreno del cambiamento. Nessuna rinuncia ai nostri valori. Non una resa, ma un rilancio per non confinarci nell’autoirrilevanza.
Io credo che tanto più oggi noi dobbiamo supportare l’operato del presidente Mattarella a cui vanno anche da qui i nostri sentimenti di stima e fiducia.
Lunedì si terranno nuove consultazioni e noi certamente dovremo avere un atteggiamento costruttivo verso la presidenza.
Mi è chiaro che una parte importante delle riflessioni che ho provato a proporvi non possono trovare una risposta compiuta solo nella discussione di una direzione. Sento come tanti altri il bisogno di uno sforzo congressuale nei tempi giusti, capace di andare in profondità e di non rimanere in superficie.
Possiamo farcela se ricominciamo a lavorare insieme sul senso della prospettiva che vogliamo per il nostro Paese. Su un’idea di futuro per gli italiani, molto prima dei nostri destini. Possiamo farcela se iniziamo davvero le nostre battaglie per l’allargamento del Reddito di Inclusione contro la povertà, per l’assegno universale alle famiglie con figli, per il salario minimo legale contro il lavoro sottopagato e i contratti pirata. Per la parità salariale di genere. Per i diritti dei giovani lavoratori. Possiamo farcela se arriviamo prima di altri a rispondere ai bisogni delle 900mila madri single del nostro paese di cui ben la metà rischia la povertà e certamente oggi più in difficoltà delle altre madri. Possiamo farcela anche se smettiamo di chiamarci in modo esasperato renziani, antirenziani, martiniani, orlandiani, e via dicendo (ciascuno si inventi la sua etichetta) ma se ritroviamo invece l’orgoglio di essere prima di tutto e solamente democratici. Basta con la logica dell’amico-nemico in casa nostra!
Possiamo farcela se decidiamo una volta per tutte di curare la nostra autoreferenzialità, se apriamo porte e finestre all’impegno di altri con noi e se la smettiamo di scambiare la lealtà che si deve sempre a un impegno politico con la cieca fedeltà acritica di stagione. A Roma come nei territori. Riprendiamo lo spirito originario del Partito Democratico. Proviamo a dare ancora al Paese, ad alimentare noi un solido punto di riferimento. Non è impossibile. Tocca solo a noi. Possiamo farcela.”