di Mauro Seminara
Oggi i meriti di Silvio Berlusconi si sprecavano sulle bocche dei berlusconiani. Responsabile statista, ed altre simili lusinghe degne di un novello Moro. Il motivo di tanti complimenti sta nella decisione, nel giorno del quarantennale della morte del citato Aldo Moro, di farsi da parte e consentire a Matteo Salvini di formare un Governo politico Lega-M5S. Esattamente quello che negli ultimi due mesi gli era stato più volte chiesto da Lega e Movimento Cinque Stelle. Esattamente quello che lui, Berlusconi, non intendeva fare e per cui sostanzialmente si era verificato lo stallo. Anzi, anche quando tutto sembrava pronto, Silvio Berlusconi aveva tirato un colpo basso a Salvini appena usciti dallo studio del presidente della Repubblica rompendo l’accordo che si annunciava chiuso appena un’ora prima. La formula, condivisa dalle parti sin dall’esito delle elezioni, era di un Governo formato dal M5S e dalla Lega a cui la coalizione di centrodestra – Berlusconi e Meloni – avrebbe fornito appoggio “esterno” in Parlamento senza quindi far parte del Governo. In questo quadro sarebbe stato impegno di Salvini fornire ai propri alleati di centrodestra posizioni favorevoli con le proprie scelte al tavolo Lega-M5S. In tal modo sarebbe stato più snello il centro decisionale del Governo e della propria maggioranza parlamentare e il Movimento Cinque Stelle non avrebbe dovuto negare quanto detto in questi anni sedendosi al tavolo con Silvio Berlusconi. Una formula semplice e logica che avrebbe messo tutti d’accordo. Tutti tranne Silvio Berlusconi. L’ex cavaliere avrebbe forse davvero preferito un accordo con il più confacente Partito Democratico di Matteo Renzi, con cui già in passato si era vista grande sintonia. Ma per la Lega il PD rappresentava esattamente quello che Silvio Berlusconi rappresentava per il M5S. Matematicamente parlando, la Lega avrebbe anche potuto fare un Governo con i Cinque Stelle senza il centrodestra a sostegno, ma Forza Italia non avrebbe mai potuto fare un Governo col PD senza la Lega. Ecco uno stallo servito. A questo punto sembra evidente che il “responsabile statista”, come oggi viene definito Silvio Berlusconi, era la causa dei due mesi di mancata formazione del Governo e non il meritevole uomo dei grandi sacrifici per amor di patria.
Tutti sappiamo ogni virgola di quanto dichiarato dagli attori politici, presidente della Repubblica incluso, prima e dopo le varie consultazioni tenutesi al Quirinale. Ma solo pochissime persone, che non possono assolutamente rivelare conversazioni riservate con il presidente della Repubblica, sanno quello che Sergio Mattarella ha detto ai suoi ospiti. Nel precedente editoriale, dal titolo “La vecchia scuola”, era già stato spiegato, con un certo anticipo, che il passo indietro di Silvio Berlusconi non sarebbe stata una sorpresa e che il continuare a prender tempo di Sergio Mattarella aveva evidenti ragioni. Già in quell’articolo si poneva l’attenzione sul non esser stato convocato nessuno dal presidente l’indomani mattina al Quirinale, dopo due mesi di attesa, per formare in questo caso il fatidico Governo del presidente. Si ipotizzava però il rischio di dover arrivare alla richiesta di fiducia al Parlamento da parte del Governo del presidente per giungere alla apparente rottura tra Berlusconi e Salvini che avrebbe quindi liberato la Lega consentendo il Governo politico con il Movimento Cinque Stelle. Ma la vecchia scuola sa il fatto suo, e noi non sappiamo cosa ha detto la vecchia scuola ai suoi ospiti lunedì. Sta di fatto che ieri Silvio Berlusconi ha concesso alla Lega di lavorare con il M5S alla formazione del Governo italiano. Cosa c’è dietro è difficile da spiegare, anche se non impossibile. Ma cosa c’è davanti è per definizione evidente. Un Governo del presidente non sarebbe uscito dal Parlamento senza una fiducia. Franchi tiratori, astenuti, pentiti e quaquaraquà, una maggioranza favorevole sarebbe venuta fuori. E una volta che la maggioranza del Parlamento avrebbe concesso al Governo del presidente di insediarsi, per i partiti ci sarebbe rimasto poco o nulla per la propria affermazione o per il “ricatto politico” che è parte integrante della politica stessa. A nessuno conveniva tornare alle elezioni, fossero queste fissate per luglio, ottobre o dicembre. Neanche l’ultimo dei parlamentari, eletti per culo o per sbaglio, oggi per la prima volta avrebbe negato alla legislatura di poter partire. Figurarsi quei miracolati dei “ripescaggi” che la legge elettorale firmata Ettore Rosato ha messo per l’ennesima volta – e forse anche l’ultima – in Parlamento.
Silvio Berlusconi e Sergio Mattarella sono più o meno coetanei, ma appartengono a scuole diverse. Diversa estrazione e diversi interessi. Quelli di Berlusconi sono e rimangono principalmente di natura imprenditoriale, e i suoi soldi sono il suo punto di forza ma, in un certo senso, anche il suo punto debole. A Berlusconi interessa certo più una componente di Governo, sia essa targata Forza Italia o Lega, che garantisca i suoi interessi molto più che la reale attuazione del suo programma elettorale. Quindi, messo con le spalle al muro, alla fine l’ex cavaliere ha trovato una uscita relativamente miserabile per fare il “passo di lato” che per due mesi gli era stato quotidianamente richiesto. Sorprendente quindi sono state le reazioni che già da ieri sera si manifestavano sui principali media mainstream e che questa mattina aprivano i maggiori quotidiani nazionali. Da tutti, con gli editoriali dei più blasonati editorialisti o “analisti”, si evinceva più la necessità di creare la solita cortina fumogena per confondere le idee agli elettori-lettori piuttosto che serie analisi su un finale pressoché già scritto. L’arbitro, i falli di simulazione e le altre metafore usate nelle ultime ore da Sergio Matatrella erano pertanto solo preludio di un messaggio adesso chiaramente scandito dal silenzio dello stesso presidente della Repubblica: fatevi i complimenti tra voi e come più vi aggrada, ma procedete con i lavori. Il nostro “arbitro” del Quirinale, infatti, è tornato nella sua ombra ad osservare. Come se non avesse fatto nulla. Come se nella scelta del presidente del Consiglio dei ministri che domani pomeriggio Luigi Di Maio e Matteo Salvini gli proporranno al Colle non ci sia ancora il suo zampino. Il vero segreto di tutti i più bravi prestigiatori, in fin dei conti, è sempre stato quello di far distogliere l’attenzione del pubblico dal trucco: abracadabra! Eh, già. Come dicono umoristicamente in molti film: non c’è niente come la vecchia scuola!