di Roberto Greco
È il 28 maggio 1974. Siamo a Brescia, in piazza della Loggia, una delle piazze principali della città. Sono passate da poco le 10 del mattino. È in corso una manifestazione organizzata da sindacati e dal “Comitato Antifascista” contro il terrorismo di stampo neofascista che, dalla bomba alla Fiera di Milano del 1969, prodromica alla strategia della tensione, aveva insanguinato l’Italia con una lunga scia di attentati. Sul palco ci sono Franco Castrezzati, sindacalista della CISL, l’onorevole Adelio Terraioli, del PCI oltre al segretario della “Camera del lavoro” di Brescia, Gianni Pannella.
Ore 10:12. Una bomba, nascosta in un cestino portarifiuti, esplode. Si tratta di poco più di un chilogrammo di tritolo. Otto le vittime. Giulietta Banzi Bazoli, 34 anni, insegnante di francese. Livia Bottardi in Milani, 32 anni, insegnante di lettere alle medie. Alberto Trebeschi, 37 anni, insegnante di fisica. Clementina Calzari Trebeschi, 31 anni, insegnante. Euplo Natali, 69 anni, pensionato, ex partigiano. Luigi Pinto, 25 anni, insegnante. Bartolomeo Talenti, 56 anni, operaio. Vittorio Zambarda, 60 anni, operaio. Sul selciato rimangono anche 102 feriti.
Sin dai primi istanti, è evidente che le indagini saranno “depistate”. Si inizia con l’ordine, impartito dal vicequestore Aniello Damare meno di due ore dopo la strage, ad una squadra di pompieri affinché ripulisse frettolosamente con le autopompe il luogo dell’esplosione, spazzando via indizi, reperti e tracce di esplosivo prima che alcun magistrato o perito potesse effettuare alcun sopralluogo o rilievo. Si registra, inoltre, la misteriosa scomparsa dell’insieme dei reperti prelevati in ospedale dai corpi dei feriti e dei cadaveri, anch’essi di fondamentale importanza ai fini dell’indagine. Infine, va segnalata una perizia antropologica ordinata dalla Procura di Brescia nel 2008, su una fotografia di quel giorno che comproverebbe la presenza sul luogo della strage di Maurizio Tramonte, militante di Ordine Nuovo e collaboratore del SID, il Servizio Informazioni della Difesa. Il giorno prima, un messaggio proveniente da “Ordine nero – Gruppo Anno zero – Briexien Gau” e diretto a quotidiani di Brescia aveva preannunciato attentati contro esercizi pubblici. Nel messaggio si assumeva che, con gli attentati, s’intendeva anche ricordare la morte di un giovane bresciano – avvenuta qualche giorno prima a seguito dello scoppio di una bomba trasportata sulla sua moto Vespa – già militante in formazioni extraparlamentari di estrema destra, oltre che in contatto con elementi dell’oltranzismo nero di Milano e Verona. La sua morte aveva destato in Brescia emozione vivissima, convalidando l’opinione, però, che gli attentati e le aggressioni, ripetutesi in quegli stessi giorni nelle scuole e contro sedi di partiti della sinistra e di organizzazioni sindacali, avevano posto la città al centro di una “manovra eversiva” diretta a contrastare mutamenti sociali in senso progressista.
L’iter giudiziario, iniziato nel 1979, termina solo nel 2017, quando la Corte di Cassazione conferma in via definitiva la condanna all’ergastolo inflitta a Carlo Maria Maggi e Maurizio Tremonte. Nessuna verità sui veri mandanti. Tuttavia, il lunghissimo iter processuale ha permesso di acclarare la matrice neofascista della strage e ha consentito di collocarla tra le azioni terroristiche attribuibili all’area veneta dell’organizzazione “Ordine Nuovo”, la medesima matrice della strage di piazza Fontana.
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