di Mauro Seminara
Le funzioni del presidente della Repubblica sono molto limitate, secondo quanto previsto da una Costituzione nata dopo i disastri causati da un uomo solo al comando di una monarchia. Per queste indelebili ragioni, i padri costituenti hanno previsto un quadro di pesi e contrappesi che impediscano ad una sola carica istituzionale per prendere decisioni dissennate ed attuarle senza il consenso delle altre parti. Per questa ragione, i padri costituenti hanno affidato al popolo il potere decisionale. Lo hanno fatto con l’articolo uno, quello che sancisce il principio costituente della Repubblica stessa: “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.” Sorvolando, solo temporaneamente sulla prima parte dell’articolo uno, quella che definisce l’Italia una Repubblica fondata sul lavoro, resta che il principio costituzionale del Paese viene sancito da quindici parole. Quindici. “La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”. Il popolo sovrano ha espresso la propria intenzione con il voto che il 4 marzo ha approvato i programmi e le ideologie politiche che i partiti chiamati a costituire una maggioranza parlamentare ed un Governo avevano fin lì manifestato.
Oggetto del dibattito, da giorni ma con estremo accanimento dalla decisione di Sergio Mattarella pronunciata ieri sera, è l’articolo 92 della Costituzione. Questo recita letteralmente: “Il Governo della Repubblica è composto del Presidente del Consiglio e dei ministri, che costituiscono insieme il Consiglio dei ministri. Il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei ministri e, su proposta di questo, i ministri.” La Costituzione italiana, quella ancora oggi inviolata che mantiene i principi originali voluti dai padri costituenti, è redatta con un uso delle parole pesato e misurato come in pochissimi altri testi dall’origine della parola fino ai giorni nostri. Il testo recita: Il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei ministri e, su proposta di questo, i ministri. Non “insieme a questo, i ministri” e neanche “concordandone con questo, i ministri” ma “su proposta di questo”. Per intendere meglio le tanto declamate prerogative del presidente della Repubblica, bisogna leggere due articoli della Costituzione, l’articolo 87 e l’articolo 89. Il secondo, più breve, è composto di due sole frasi e la prima delle due stabilisce che: Nessun atto del Presidente della Repubblica è valido se non è controfirmato dai ministri proponenti, che ne assumono la responsabilità. I ministri sono parte del Governo, il Governo è espressione della maggioranza parlamentare, la maggioranza parlamentare è rappresentanza della maggioranza degli italiani. E degli atti proposti dai ministri al presidente della Repubblica è responsabile il proponente e non il presidente della Repubblica.
Le prerogative del presidente della Repubblica sono estremamente limitate e vengono elencate, in modo semplice, dal sopracitato articolo 87: “Il Presidente della Repubblica è il capo dello Stato e rappresenta l’unità nazionale. Può inviare messaggi alle Camere. Indice le elezioni delle nuove Camere e ne fissa la prima riunione. Autorizza la presentazione alle Camere dei disegni di legge di iniziativa del Governo. Promulga le leggi ed emana i decreti aventi valore di legge e i regolamenti. Indice il referendum popolare nei casi previsti dalla Costituzione. Nomina, nei casi indicati dalla legge, i funzionari dello Stato. Accredita e riceve i rappresentanti diplomatici, ratifica i trattati internazionali, previa, quando occorra, l’autorizzazione delle Camere. Ha il comando delle Forze armate, presiede il Consiglio supremo di difesa costituito secondo la legge, dichiara lo stato di guerra deliberato dalle Camere. Presiede il Consiglio superiore della magistratura. Può concedere grazia e commutare le pene. Conferisce le onorificenze della Repubblica.” In alcun caso, in nessuna parte della Costituzione italiana, viene attribuita al presidente della Repubblica autorità in materia di scelte politiche.
Il discorso di Sergio Mattarella, dopo la fumata nera di ieri sul Governo, è pieno di strane interpretazioni costituzionali pronunciate da un costituzionalista. Tra queste, in analisi, ce ne sono alcune quantomeno bizzarre. “Questo pomeriggio il professor Conte – che apprezzo e che ringrazio – mi ha presentato le sue proposte per i decreti di nomina dei ministri che, come dispone la Costituzione, io devo firmare, assumendomene la responsabilità istituzionale.” Ma la responsabilità, definita “istituzionale”, non riguarda le scelte politiche ma quelle di compatibilità e decoro istituzionale. Mattarella avrebbe potuto negare la nomina a Ministro della Repubblica di un “riabilitato” Silvio Berlusconi perché sul capo dell’ex cavaliere pendono ancora indagini riguardanti gravi reati. Non perché le idee – importante sottolineare il concetto di idea, perché in Italia la Legge non prevede che si processino le idee e le intenzioni – di uno dei ministri proposti dal premier incaricato non piacciono al presidente della Repubblica o ad altri attori, estranei alla Repubblica e non inseriti nel quadro istituzionale della Costituzione.
Un discorso che sembra – e non poco – la sentenza di chi ha perso di mira le proprie funzioni o che pare aver temporaneamente smarrito un filo di lucidità pronunciato dal presidente Mattarella: “In questo caso il Presidente della Repubblica svolge un ruolo di garanzia, che non ha mai subito, né può subire, imposizioni.
Ho condiviso e accettato tutte le proposte per i ministri, tranne quella del ministro dell’Economia.
La designazione del ministro dell’Economia costituisce sempre un messaggio immediato, di fiducia o di allarme, per gli operatori economici e finanziari.
Ho chiesto, per quel ministero, l’indicazione di un autorevole esponente politico della maggioranza, coerente con l’accordo di programma. Un esponente che – al di là della stima e della considerazione per la persona – non sia visto come sostenitore di una linea, più volte manifestata, che potrebbe provocare, probabilmente, o, addirittura, inevitabilmente, la fuoruscita dell’Italia dall’euro. Cosa ben diversa da un atteggiamento vigoroso, nell’ambito dell’Unione europea, per cambiarla in meglio dal punto di vista italiano.
A fronte di questa mia sollecitazione, ho registrato – con rammarico – indisponibilità a ogni altra soluzione, e il Presidente del Consiglio incaricato ha rimesso il mandato.” Il presidente della Repubblica, con gli occhi di tutti gli italiani e parte del mondo puntati addosso, ha detto davvero che la sua contrarietà consiste il ministro proposto per l’Economia è “Un esponente che non sia visto come sostenitore di una linea, più volte manifestata, che potrebbe provocare, probabilmente, o, addirittura, inevitabilmente, la fuoruscita dell’Italia dall’euro”. Si, avete letto – e sentito, ieri – bene: “che potrebbe provocare, probabilmente, o, addirittura, inevitabilmente”. Per questa ragione, Sergio Mattarella, interviene sulle scelte delle forze politiche, quindi del popolo, bocciando la decisione sul Ministero proposta dal primo ministro incaricato.
L’articolo 90, invocato nelle ultime ore da alcune forze politiche, recita esattamente così: “Il Presidente della Repubblica non è responsabile degli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni, tranne che per alto tradimento o per attentato alla Costituzione. In tali casi è messo in stato di accusa dal Parlamento in seduta comune, a maggioranza assoluta dei suoi membri.” Quale sarebbe questo ipotetico “tradimento o per attentato alla Costituzione”? Dalle parole di Sergio Mattarella: “La designazione del ministro dell’Economia costituisce sempre un messaggio immediato, di fiducia o di allarme, per gli operatori economici e finanziari.
Ho chiesto, per quel ministero, l’indicazione di un autorevole esponente politico della maggioranza, coerente con l’accordo di programma. Un esponente che – al di là della stima e della considerazione per la persona – non sia visto come sostenitore di una linea, più volte manifestata, che potrebbe provocare, probabilmente, o, addirittura, inevitabilmente, la fuoruscita dell’Italia dall’euro.” Il presidente della Repubblica, per propria stessa ammissione, ha chiesto per il Ministero Economia e Finanze un nome che non allarmi o infastidisca i mercati, gli operatori economici e finanziari. In questo modo, il presidente della Repubblica ha anteposto le idee e quindi le probabili – e non certe – reazioni degli operatori economici e finanziari italiani e stranieri alle idee ed alle intenzioni della maggioranza di Governo espressa dagli italiani.
Dello scontro istituzionale entra inoltre a far parte, a pieno titolo, un’altra frase pronunciata da Sergio Mattarella ieri nella sala stampa del Quirinale. Frase che sta suscitando agguerrite reazioni tra i partiti che a loro volta fomentano con ottimi risultati gli elettori: “Ho accolto la proposta per l’incarico di Presidente del Consiglio, superando ogni perplessità sulla circostanza che un governo politico fosse guidato da un presidente non eletto in Parlamento.” Un concetto improvvido da pronunciare dopo le “rivolte” democratiche italiane causate proprio dal premier Mario Monti nominato senatore a vita ad hoc per l’incarico di Governo da Giorgio Napolitano e, sempre dallo stesso Re Giorgio, predecessore di Mattarella, Matteo Renzi che non era mai stato eletto in Parlamento e si adoperò per l’attuazione di un programma di cui gli italiani furono all’oscuro e che infine bocciarono con il referendum del 4 dicembre 2016. L’ultimo baluardo per l’Italia, in piena crisi istituzionale oltre che economica, era la presidenza della Repubblica dopo l’infausta parentesi di Napolitano. Purtroppo, pare che la “vecchia scuola” rappresentata da Sergio Mattarella abbia deciso di fare harakiri e lasciare il Paese nel caos.