di Fulvio Vassallo Paleologo
L’attacco alle ONG che salvano vite nel Mediterraneo centrale e la imposizione di un Codice di condotta che doveva imporre regole in contrasto con le Convenzioni internazionali, hanno costituito lo snodo centrale della politica di contrasto dell’immigrazione, che adesso Minniti rivendica come un “successo” del governo Gentiloni per la forte riduzione degli arrivi. Riduzione alla quale corrisponde un aumento delle persone internate nei centri di detenzione in Libia, che non sono certo evacuate, se non in minima parte, con le operazioni di rimpatrio “volontario” gestite dall’OIM, e con i ponti aerei organizzati dall’UNHCR verso il Niger, dove dovrebbero trovare accoglienza i soggetti più vulnerabili. Persone che non trovano poi altri paesi disposti ad accoglierli e sono quindi destinate ad un limbo di durata indefinita. Se non a ritornare in Libia per essere di nuovo vittime del traffico di esseri umani.
Questioni importanti che riguardano le controverse relazioni tra le autorità italiane, il “Governo di riconciliazione nazionale di Serraj”, e le milizie libiche, di cui i giornalisti non parlano. Temi scivolosi sui quali neppure Formigli a Piazza Pulita ha saputo fare una sola domanda all’ex ministro dell’interno Marco Minniti. Domande che forse non sarebbero state inutili per dimostrare una qualche discontinuità tra Minniti e Salvini, ammesso che nei soccorsi in mare e negli attacchi alle ONG questa discontinuità si possa dimostrare.
Con il passare dei mesi è apparso evidente come le operazioni di ricerca e soccorso in mare fossero dirette, piuttosto che dalla Centrale operativa della Guardia Costiera (MRCC) di Roma, dal Ministero dell’interno e quindi, con l’avvio dell’operazione NAURAS dalla Marina militare, con una catena di comando articolata per canali paralleli, che sono stati bene evidenziati nelle decisioni della magistratura siciliana sul caso del sequestro della nave della ONG spagnola OPEN ARMS.
Il Codice di condotta inventato da Minniti nel luglio dello scorso anno è stato considerato (anche da qualche magistrato) allo stesso rango di una norma di legge, e sulla base dello stesso Codice, un atto meramente amministrativo, si è ritenuto di potere derogare leggi e convenzioni internazionali. Le ONG sono state costrette a restare in stand by per giorni ad attendere ordini dal Comando centrale della Guardia costiera italiana, magari per assistere all’arrivo di una motovedetta libica. Oppure sono state lasciate sole, sotto la minaccia delle motovedette libiche, senza essere assistite con trasbordi in mare, quando a loro volta i mezzi delle organizzazioni non governative si trovavano in sovraccarico. E questo è successo e continua a succedere anche in presenza di imponenti assetti navali militari, a poche miglia dagli eventi di soccorso, che però attendono magari l’arrivo delle motovedette partite da Tripoli ore dopo il primo allarme, e non intervengono se non quando ormai si è superato anche il livello dell’emergenza assoluta. Altre volte sono state allontanare semivuote dalla zona di ricerca e salvataggio in acque internazionale, con l’ordine di andare a sbarcare in porti lontanissimi i primi migranti soccorsi, quando avrebbero potuto prestare assistenza ad altri natanti in difficoltà.
Si è realizzata in sostanza una catena di comando politico-amministrativo che assoggetta le attività SAR a decisioni amministrative maturate nell’ambito del ministero dell’interno che interferisce con le decisioni di coordinamento delle operazioni SAR, demandate alla Centrale operativa della Guardia costiera di Roma. Dopo le prime segnalazioni dei natanti in difficoltà provenienti dal dispositivo aeronavale della Marina militare, e dai comandi della dalla Missione NAURAS presente nel porto libico con una unità, si avvia il coordinamento congiunto con le motovedette libiche. La Libia non ha ancora una unità centrale di coordinamento dei soccorsi in mare (MRCC) come sarebbe richiesto dall’IMO per ogni paese responsabile di una zona SAR. Anche se i governi riuscissero ad ottenere dall’IMO il riconoscimento formale di una zona SAR libica, questo non cambierebbe nulla perchè da soli i libici, del governo di Tripoli, che controlla una parte soltanto del paese e delle sue coste, non hanno nessuna autonoma capacità di coordinamento e di intervento in alto mare, come è confermato dalle ultime operazioni SAR in acque internazionali che sono state coordinate dal Comando centrale della Guardia costiera italiana. E sappiamo cosa succede a bordo delle motovedette libiche, anche quando le armi rimangono nascoste sul ponte.
Si è così verificata una pericolosa sovrapposizione tra decisioni politiche (ed in qualche caso giudiziarie) ed attività di ricerca e salvataggio delle persone in pericolo in alto mare, che le Convenzioni internazionali assegnano ai Comandi centrali della Guardia costiera (MRCC). Un precedente assai pericoloso, che adesso potrà spiegare effetti ancora più devastanti con Salvini al ministero dell’interno. Ci aspettiamo infatti che il nuovo ministro dell’interno, che ha già anticipato una visita a Catania dal procuratore Zuccaro, dia impulso ad ulteriori attacchi contro le ONG e giunga a vietare per via amministrativa l’attracco nei porti italiani. Come peraltro aveva promesso in campagna elettorale, una campagna elettorale che per il ministro dell’interno sembra non finire mai.
Nel provvedimento di sequestro della imbarcazione Open Arms, adottato dalla Procura di Catania le accuse erano imperniate, tra altri argomenti che sono immediatamente stati smentiti dai giudici delle indagini preliminari di Catania e di Ragusa, sulla circostanza che la nave spagnola non avrebbe chiesto a Malta la possibilità di sbarcare tutti i 137 naufraghi che aveva a bordo, oltre i due più gravi per i quali era stata disposta l’evacuazione d’urgenza verso La Valletta.
Ieri Malta ha negato per l’ennesima volta, dopo reiterate richieste di altre ONG, l’attracco ad una nave umanitaria in grave difficoltà per il carico e per le cattive condizioni meteo, dopo che le autorità italiane richieste di garantire un trasbordo, prima che il tempo peggiorasse, avevano rifiutato questa possibilità. Uomini, donne, bambini, che già avevano subito ogni sorta di abusi in Libia, e che si trovavano in mare da giorni, allo stremo delle forze, sono stati di fatto “rifiutati” dalle autorità italiane. Tutto questo avviene per effetto delle direttive impartite dal ministero dell’interno al Comando centrale della Guardia costiera (MRCC) in applicazione del cd. codice Minniti, e non sorprende che proprio a questo riguardo il nuovo ministro dell’interno Salvini abbia definito “discreta” l’attività del suo predecessore. Anche le autorità inglesi hanno però ribadito che la competenza ad intervenire nella cosiddetta zona SAR libica, che i libici non riescono a coordinare fino alla messa in sicurezza delle persone soccorse, è e rimane, italiana.
Quanto successo ieri davanti a La Valletta, il rifiuto di sbarco, dopo il rifiuto di trasbordo da parte delle autorità italiane, conferma ancora una volta, se mai ce ne fosse bisogno, dopo i provvedimenti di dissequestro della Open Arms, quanto fosse stato corretto il comportamento del comandante di quella nave, e quanto fossero prive di fondamento le accuse rivolte nei suoi confronti. Accuse che ben al di là della vicenda giudiziaria hanno giocato un ruolo importante nella comunicazione pubblica, pesando sulla campagna elettorale che ha portato al voto nelle ultime elezioni politiche.
Malta rifiuta da anni lo sbarco di persone soccorse durante operazioni di ricerca e soccorso in acque internazionali, in quella che sulla carta dovrebbe essere la zona SAR libica, allo stato ancora un progetto, ma priva del riconoscimento ufficiale dell’IMO (Organizzazione internazionale del mare). Gravissimo comportamento dei Comandi della Guardia Costiera italiana e della Marina militare che, pur disponendo di mezzi di soccorso che potevano intervenire prima che il mare diventasse agitato, hanno lasciato sola la piccola nave della Ong, negando il trasbordo richiesto, come se si fosse trattato di pericolosi criminali e non di persone tutte assai vulnerabili e già massacrate nei centri di detenzione in Libia e dalla lunga permanenza in mare. Adesso vediamo che si inventerà Salvini nuovo ministro dell’interno, magari sarà la chiusura dei porti alle ONG, ma sarà difficile fare peggio di quanto ordinato da Minniti.
Dopo quanto successo ieri, appare evidente come tocchi alle Organizzazioni non governative denunciare tutti gli innumerevoli casi di ostacoli amministrativi frapposti alle loro attività di ricerca e soccorso in acque internazionali, seppure sotto il coordinamento della centrale operativa della Guardia costiera italiana. Ma considerate da qualche Autorità portuale, e tassate, come se si trattasse di attività commerciali, e non di un incarico per un pubblico servizio. È sempre più evidente che le poche navi umanitarie rimaste, continuino ad essere al centro di un attacco concentrico che le vorrebbe eliminare del tutto, mentre nel frattempo vengono lasciate sole ad affrontare emergenze che dovrebbero essere gestite direttamente da navi di soccorso statali, come i numerosi mezzi della Marina Militare e della Guardia Costiera italiana che in molte, ormai troppe occasioni, rimangono lontane a guardare come si comportano le ONG, o le rallentano, piuttosto che intervenire nel modo più sollecito per salvare vite umane in mare.
Le ONG ancora impegnate in queste attività di salvataggio in alto mare, oltre alla denuncia delle gravi violazioni del diritto internazionale del mare che vengono commesse ai loro danni, e soprattutto a danno delle persone che andrebbero soccorse nel più breve tempo possibile, si devono dare a loro volta nuove regole di autocondotta per sottrarsi ad un tentativo continuo per indurle in incidenti o ad atti di disobbedienza, che la magistratura inquirente tenterà ancora di sanzionare.
Se gli Stati, ed in particolare qualche ministro dell’Interno, vogliono impedire che i soccorsi in mare siano effettuati dalle ONG, che pensino ad organizzare loro un dispositivo navale ed aereo che garantisca la salvaguardia della vita umana in mare, come imposto dalle Convenzioni internazionali. E l’Italia non potrà scaricare su Malta, o sugli stati di bandiera delle navi soccorritrici, le responsabilità di coordinamento immediato e di individuazione di un POS (porto sicuro di sbarco). Altra cosa, se finalmente qualcuno porrà a livello internazionale la questione di una grande missione di soccorso al largo delle coste libiche, non quella dell’ulteriore finanziamento di miliziani per uccidere ed abusare. Ma non sembra che questa prospettiva sia praticabile nell’immediato, se vediamo l’assetto di governo nazionalista e populista che sta prevalendo in molti stati europei. Le prossime elezioni europee potrebbero davvero segnare la fine dell’Europa, come territorio caratterizzato dallo stato di diritto e dal rispetto della dignità umana.
Se Salvini, che continua a diffondere disinformazione allo stato puro, pensa alla “tempesta perfetta” contro le ONG, alla chiusura dei porti ed alla denuncia di chi sfida i suoi divieti, per dare ancora in pasto al suo elettorato qualche altro operatore umanitario, sappia che non gli sarà facile nascondere, anche a livello internazionale, la responsabilità diretta e personale che da questi attacchi ne potrà derivare. Nel 2018 è vero che il numero delle persone soccorse in alto mare è fortemente diminuito, ma è anche vero che mai il numero delle vittime, in rapporto alle persone soccorse è stato tanto alto. Ed il tempo degli accordi bilaterali che costringono i migranti a morire per mare, se riescono a sfuggire dai campi di detenzione in Africa, sono ormai finiti, perchè le popolazioni dei paesi di origine e di transito hanno visto chi incassa (e come li nasconde) i finanziamenti europei per il contrasto alla cd. immigrazione illegale. E soprattutto hanno visto troppi corpi dei loro figli scomparire in mare o ritornare in patria dentro una bara. Soltanto l’apertura di canali legali di ingresso, la regolarizzazione permanente degli immigrati irregolari che ne maturino i requisiti, il pieno riconoscimento del diritto alla protezione, e la fine della lotta contro la solidarietà potranno permettere una prospettiva di coesione e di crescita sociale.
Articolo di Fulvio Vassallo Paleologo per ADIF – Associazione Diritti e Frontiere reperibile su www.a-dif.org
(Contenuto concesso dall’autore a Mediterraneo Cronaca)