di Massimo Costanza
Ho cercato sul dizionario inglese-italiano la traduzione del termine “lifeline”: cima di salvataggio, ancora di salvataggio.
Chi può controbattere a tale affermazione? Chi, dotato di cuore, carità umana e rispetto della sacralità della vita, può soltanto obiettare alla nobile operazione di salvataggio in mare che la “Lifeline” esegue da anni insieme ad altre navi di Ong? La Lifeline ha operato ed opera nobilmente come una vera cima di salvataggio e nemmeno il più cinico dei salviniani di “migliana memoria” osa contestare l’opera umanitaria che da anni queste Ong svolgono nel Mar Mediterraneo. Che siano fuorilegge o mosse da interessi economici anche questo mi pare ahimé probabile, ma tant’è, salvano vite e ce ne freghiamo…
D’altro canto mi risulta davvero difficile immaginare l’italiano medio abbandonare il suo patrimonio genetico da migrante.
La storia di questo secolo, seppur in mutate condizioni dettate dai periodi storici profondamente differenti, ce lo insegna: L’Italiano da dopoguerra a “nuova Yorky” buttato in quarantena a Staten Island prima di sbarcare sulla terraferma e nella migliore delle ipotesi relegato a fare pizza, spaghetti e sceneggiate a little italy (solo gli irlandesi probabilmente potrebbero capirci…).
Il meridionale da boom economico verso il ricco Nord delle fabbriche negli anni 70, della crisi economica al Sud e del boom industriale che ha riempito città come Torino e Milano facendo nascere quartieri periferici con casermoni grigi tutti uguali riempiti di calabresi, siciliani e napoletani che giravano in fiat 126 e pisciavano in cessi comuni ai pianerottoli tristi del 6 piano. Quei figli della Fiat relegati al Lingotto o a Molinette, quei ragazzi di allora che facevano esplodere le periferie di Milano portando braccia a quella Milano da bere che mai avrebbero visto, quella generazione anni 70 che con il falso mito del benessere ha rovinato la nostra generazione, quella del giovane italico laureato del nuovo millennio in cerca di futuro che parte per lidi europei e spesso si ritrova in grandi metropoli europee a portare pizze vivendo nelle banlieue di Parigi o nei sobborghi di Londra.
Sto uscendo fuori tema mi direte… Sono partito dall’etimologia del termine lifeline come fune di salvataggio e mi sono apparentemente perso nei meandri dei sobborghi di Londra o Parigi…
Ma siete così sicuri che queste due storielle, queste due visioni temporalmente e geograficamente così distanti, lo siano davvero nella sostanza dei fatti?!
Un migrante, economico o politico che sia, scappa da una realtà a lui ostile mollando tutto, inseguendo un sogno.
Lo inseguiva il veneto quando si imbarcò sui piroscafi verso l’America, lo inseguiva il calabrese quando lasciò la sua desolata Calabria con valigie di cartone e sbarcò in treno a Torino, lo insegue mio fratello oggi quando parte per Londra alla ricerca di un lavoro da laureato e nel frattempo vive in Zona 6 ed arrotonda facendo consegne di pizze a domicilio; lo fanno e continueranno a farlo i migranti africani quando scappano da guerre, fame e soprusi rischiando di morire in mare annegati.
Un migrante scappa dal nulla per non morire, ma se al veneto, al calabrese a mio fratello medico o all’etiope fosse stata data una possibilità di rinascita nella propria terra, nessuno di loro avrebbe mai lasciato il proprio Paese, la propria terra, i propri affetti.
Massimo sei banale adesso…dove vuoi arrivare?
Se fosse stato possibile, allora come oggi, non credi che la storia (di allora come quella di oggi) c’avrebbe dato altre risposte?
Certo che lo credo!
Credo anche che finalmente oggi per la prima volta Malta ha accolto una nave di una Ong dentro il suo porto (cosa mai accaduta prima), credo anche che finalmente sette Nazioni europee hanno dato disponibilità ad accoglierli (altra cosa mai accaduta prima), assisto ad una crisi interna di governo tedesco su questo argomento spinoso, percepisco la grande difficoltà dei nostri cugini colonizzatori d’oltralpe che stanno finalmente perdendo la loro tipica spocchia, registro una rinata credibilità europea dell’Italia e la volontà comune (anche questa forse per la prima volta) di rivedere quel vecchio trattato di Dublino.
Forse davvero è lecito sperare che questa migrazione epocale si possa arrestare con scelte felici proprio per loro.
Sono certo che se potessero scegliere, i migranti (di oggi e di ieri) saprebbero benissimo cosa fare: rilancio della loro terra, lavoro, produttività e benessere economico.
Costruire futuro in quei territori piuttosto che importare stranieri che sarebbero disillusi e scontenti di farlo, questa la mia speranza. Che sia la volta buona con buona pace di tutti: Ong buone e cattive, procuratore Zuccaro e Gino Strada, qualità della vita e diritti inalienabili dell’essere umano.
Di mezzo, a fare da maledetto spartiacque, quel maledettissimo Dio denaro che dal colonialismo in poi ha alterato gli equilibri economici mondiali. Saremo capaci di elevarci a popolo superiore?
Rien ne va plus