Poco prima della mezzanotte i migranti, nel porto di Trapani, ha avuto inizio l’operazione di sbarco dei 67 migranti da nave Diciotti della Guardia Costiera italiana. La nave era rimasta bloccata ore in porto su direttiva del ministro dell’Interno che aveva preteso uno sbarco in manette per i rei del presunto dirottamento del mercantile Vos Thalassa artefice del soccorso al largo della Libia. I migranti, secondo la ricostruzione basata sulla richiesta di intervento da parte del comandante del mercantile, avevano tentato di impedire che il soccorritore li sbarcasse in Libia. I primi a scendere dalla Diciotti sono stati proprio i due migranti accusati del dirottamento. Ibrahim Bushara, del Sudan, e Hamid Ibrahim, del Ghana, sono scesi con la Polizia che li ha presi in consegna per un trasferimento in struttura utile alla disponibilità dell’autorità giudiziaria. La Procura di Trapani ha aperto un procedimento a loro carico, indagati per le ipotesi di reato di violenza privata continuata ed aggravata in danno del comandante e dell’equipaggio del rimorchiatore che li aveva soccorsi. A seguire anche gli altri 65 migranti sono scesi dalla nave della Guardia Costiera finalmente svincolata dalla situazione di stallo in cui era stata posta con le rigide disposizioni del ministro Matteo Salvini.
Da Innsbruck, il ministro dell’Interno aveva sentenziato, in conferenza stampa, che nessuna autorizzazione allo sbarco sarebbe stata concessa dal Viminale e “se qualcun altro lo fa al mio posto se ne assume la responsabilità giuridica e politica”. Lo stesso Salvini aveva spiegato che pretendeva assoluta chiarezza su quanto accaduto al largo della Libia, sulla Vos Thalassa: “Se sono stati gli immigrati scendono in manette, se sono stati gli armatori o i marinai che hanno esagerato, pagano civilmente e penalmente. Io non ho voglia di farmi prendere in giro. Se c’è stata violenza in Italia questa viene punita, se non c’è stata qualcuno deve pagare”. La presa di posizione del ministro lasciava presagire la volontà di un ennesimo spot elettorale, con i migranti che sarebbero dovuti scendere dalla nave in manette. Una impuntatura che aveva già creato attrito con la Procura della Repubblica di Trapani che, se avesse dato soddisfazione al ministro, avrebbe di certo commesso delle violazioni al codice di procedura penale. Nel frattempo, tensioni si erano venute a creare anche con la Guardia Costiera, la cui nave era così tenuta in ostaggio per volere del Ministero dell’Interno e non del competente Ministero dei Trasporti. Malgrado il veto posto dal ministro Salvini, che metteva in guardia eventuali colleghi di Governo che avessero violato le disposizioni con quella paventata “responsabilità giuridica e politica”, l’ordine che autorizzava lo sbarco da nave Diciotti è arrivato.
Dalla prima ricostruzione sembra che il ministro dei Trasporti non abbia violato il diktat del collega dell’Interno. L’autorizzazione è giunta a Trapani dopo una spazientita ingerenza del presidente della Repubblica, intervenuto in favore della Procura di Trapani, della Guardia Costiera e del rispetto delle leggi italiane. Il presidente Sergio Mattarella pare abbia dialogato solo e direttamente con il capo del Governo, Giuseppe Conte, e quest’ultimo ha sbloccato la situazione disponendo lo sbarco dei migranti nel porto di Trapani. La circostanza, per la quale già ieri sera il ministro Salvini si era detto “stupito”, ha causato un primo, vero e grave motivo di attrito all’interno del Consiglio dei ministri. Non è comune che per risolvere una vicenda direttamente legata all’ordinaria amministrazione, come lo sbarco di migranti da una nave di un corpo dello Stato italiano, debba intervenire il presidente della Repubblica italiana. In ambiente vicino al Colle viene addirittura ipotizzata una seconda fase dell’intervento presidenziale con un aut aut a Salvini cui seguirà, in caso di nuovi motivi di imbarazzo per le istituzioni, il ritiro della delega. Informazioni che trapelano e che, probabilmente, vorrebbero essere propedeutiche ad un motivato e spontaneo atto di dimissione dello stesso ministro Salvini. Una via d’uscita tipica con cui il sottoposto salva la faccia dimettendosi invece di farsi licenziare.