Ad accorgersi che qualcosa non andava erano stati gli agenti di Polizia dell’Ufficio Immigrazione. Questi avevano allertato i colleghi della Squadra Mobile e coinvolto anche la Guardia di Finanza per verificare cosa stesse davvero accadendo. Al termine di un’inchiesta durata due anni, Guardia di Finanza e Polizia di Stato hanno messo fine agli affari di un’associazione di soggetti che, tra Palermo e la provincia di Trapani, aveva rodato un sistema di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Dell’associazione facevano parte commercialisti, titolari di Centri di Assistenza Fiscale ed altri soggetti che hanno inoltrato, nell’ultimo triennio, numerosissime istanze all’Ufficio Immigrazione della Questura di Palermo per il rinnovo o per il conseguimento del permesso di soggiorno di migranti. Le richieste venivano supportate da false dichiarazioni fiscali e fittizie assunzioni. All’esito dell’indagine i finanzieri del Gruppo ed i poliziotti della Squadra Mobile, su disposizione della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Palermo, hanno eseguito dieci misure cautelari delle quali nove con arresti ed una con divieto di dimora a Palermo. Chiusa l’indagine, i finanzieri del Gruppo ed i poliziotti della Squadra Mobile, su disposizione della Procura della Repubblica di Palermo, hanno eseguito dieci misure cautelari di cui nove agli arresti ed una con divieto di dimora a Palermo.
Tra i soggetti destinatari delle misure ci sono anche nomi noti in città, tra cui il soggetto di riferimento per la comunità Tamil di Palermo. Questi risulta attivo nel panorama politico palermitano quale membro della Consulta delle Culture, organismo creato presso il Comune di Palermo. Gli immigrati, provenienti anche da regioni differenti ed in alcuni casi effettivamente dimoranti in territorio estero, attraverso un passaparola all’interno delle singole etnie, giungevano a Palermo ed esternavano ai “professionisti contabili” la loro necessità di avere una dichiarazione dei redditi ad hoc per il raggiungimento della soglia minima di reddito prevista per proseguire il loro soggiorno in Italia. In taluni casi, addirittura, il “reddito buono” veniva richiesto telefonicamente.
Il fenomeno aveva assunto una tale dimensione da allarmare i poliziotti dell’Ufficio Immigrazione che, allertati i colleghi della Squadra Mobile, ed in collaborazione attiva con la Guardia di Finanza, hanno dato avvio a controlli approfonditi sulle dichiarazioni dei redditi trasmesse determinando la revoca di gran parte delle richieste avanzate attraverso la fitta rete di professionisti ed “addetti ai lavori” che, dietro il pagamento di compensi che raggiungevano anche i mille euro, offrivano tutta una gamma di servizi, finalizzati essenzialmente all’ottenimento dei permessi. Il metodo era rodato e consisteva in alcuni casi nell’attivazione di partite Iva per ditte individuali a nome di soggetti extracomunitari, per la maggior parte censiti come venditori ambulanti. In altri casi i migranti venivano invece fatti risultare fittiziamente assunti come collaboratori domestici dagli stessi professionisti o da soggetti compiacenti.
Finanzieri e poliziotti hanno censito numerosi imprenditori extracomunitari fittizi che, oltre a soggiornare illegalmente nel territorio nazionale, si ritrovano anche con i contributi previdenziali versati virtualmente, solo sulla carta. Il loro versamento avveniva infatti mediante compensazione di crediti d’imposta creati ad hoc nelle false dichiarazioni fiscali. Sono in corso ulteriori accertamenti volti a quantificare i guadagni illegalmente conseguiti dai professionisti e dai vari Centri di Assistenza Fiscale. Il fenomeno criminale, accertato già dal 2015, va comunque riferito a periodi anche pregressi e da ritenersi ad oggi ancora perdurante con ricadute sia in termini di danno al bilancio nazionale che per la pubblica sicurezza rappresentando un metodo sicuro per consentire a soggetti extracomunitari di poter permanere illegalmente sul territorio nazionale.