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Dopo la Diciotti: hanno trasformato il mare in deserto e adesso attaccano la democrazia

di Fulvio Vassallo Paleologo

La “guerra” ai migranti ed alle Ong sulla rotta del Mediterraneo centrale non finisce con la liberazione dei sequestrati della Diciotti. Una giornata di riaffermazione dello stato di diritto. Ma In questi mesi hanno fatto del mare un deserto. Le rotte sono in parte cambiate, malgrado le attività di contrasto in mare e sulla rotta dalla Tunisia si muore di continuo, come è successo ancora fino a giovedì scorso. Le violazioni del diritto internazionale ormai non si contano più. Presto ci saranno altre persone da soccorrere in acque internazionali. Il ministro dell’interno continua a minacciare che, in assenza di una collaborazione dei paesi UE potrebbe ordinare, senza averne peraltro titolo, i respingimenti verso Tripoli. Mentre in Libia, squarciata dal conflitto tra milizie, le condizioni di detenzione sono sempre più disumane, come si vede dai corpi e dagli occhi di chi riesce a fuggire. Sembra che non siano giunte a conoscenza del governo le recenti decisioni della magistratura di Ragusa e Palermo che hanno confermato come il territorio libico non offra porti sicuri di sbarco.

Altrettanto preoccupante è la situazione politica e sociale nel nostro paese. Le reazioni della polizia durante la grande manifestazione di ieri al porto di Catania, con la creazione di una zona rossa attorno alla Diciotti e con cariche ingiustificate contro manifestanti inermi, come le reazioni scomposte cariche di odio sui mezzi di comunicazione e la proposta del governo, del tutto priva di basi legali, di trasferire parte dei naufraghi in paesi al di fuori dell’Unione Europea, tracciano scenari gravidi di incognite per la tenuta democratica del paese e per il rispetto dei diritti fondamentali non solo dei migranti ma anche dei cittadini tutti. Come dopo tutti gli sbarchi adesso si tenta di spostare l’attenzione sugli scafisti e sulle organizzazioni criminali che stanno dietro alle partenze dei migranti dalla Libia, per rassicurare la pubblica opinione e per distogliere l’attenzione dalle gravi violazioni commesse ai danni dei naufraghi trattenuti per giorni a bordo della nave Diciotti.

Secondo le prime fonti giornalistiche, quattro uomini che erano a bordo della Diciotti (tre egiziani ed un cittadino del Bangladesh) sono stati fermati dalla polizia poiché ritenuti i presunti scafisti dell’imbarcazione poi soccorsa dalla Diciotti. Ai quattro vengono contestati i reati di associazione per delinquere finalizzata alla tratta di persone, favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, violenza sessuale e procurato ingresso illecito. Anche in questo caso saranno i processi ad accertare le responsabilità individuali, ove ricorrano, con le garanzie difensive previste per tutti dal nostro ordinamento.

Il ministro dell’interno gioca intanto a fare il martire e rilancia la sua campagna propagandistica, mentre raccoglie consensi crescenti su social. Salvini attacca ancora una volta i magistrati, e minaccia addirittura di “prendersi l’Italia”. Alcuni suoi sostenitori, come l’ex sindaco di Roma Gianni Alemanno attaccano con vere e proprie denunce penali i magistrati di Agrigento che hanno avuto il coraggio di ricercare le responsabilità per il trattenimento illegittimo di 170 persone a bordo di una nave della Guardia costiera italiana. Come se promuovere l’azione penale non fosse più un obbligo di legge ma una scelta discrezionale rimessa all’approvazione dei partiti di governo. Mentre altri giudici, pure competenti, restavano in silenzio, malgrado esposti e denunce.

Come riferisce La Stampa, il conflitto istituzionale tende ad allargarsi, infatti “La magistratura si compatta sugli attacchi del ministro degli Interni Matteo Salvini al procuratore di Agrigento Luigi Patronaggio che indaga sul mancato sbarco dei migranti soccorsi dalla nave Diciotti, ipotizzando i reati di sequestro di persona aggravato e arresto illegittimo. Nel giorno in cui il magistrato è a Roma per sentire come persone informati sui fatti i funzionari del Viminale, i consiglieri del Csm che rappresentano tutte le quattro correnti della magistratura (Area, Magistratura Indipendente, Autonomia e Indipendenza e Unicost) hanno inviato una formale richiesta al vicepresidente Giovanni Legnini, chiedendo una discussione del caso nella prima seduta utile, il 5 settembre. «La verifica del rispetto delle norme in una vicenda di questa portata è doverosa nell’interesse delle istituzioni – scrivono Valerio Fracassi, Claudio Galoppi, Aldo Morgigni e Luca Palamara – Gli interventi a cui abbiamo assistito, per provenienza, toni e contenuti, rischiano di incidere negativamente sul regolare esercizio degli accertamenti in corso. Riteniamo che sia necessario un intervento del Csm per tutelare l’indipendenza della magistratura e il sereno svolgimento delle attività di indagine».”

La vicenda della Diciotti, ma più in generale le politiche migratorie, appaiono sempre più connesse alla difesa della democrazia sotto attacco in Italia. Saranno tanti, in ogni caso, i magistrati che dovranno occuparsi del caso del trattenimento arbitrario dei migranti a bordo della Diciotti, come in futuro di altri casi simili che potranno verificarsi. Rimangono ancora aperti processi ed indagini contro le Ong, e malgrado alcune archiviazioni, non si attenua il clima di odio verso tutti gli operatori della solidarietà.

Il Garante nazionale per i detenuti ha confermato, in relazioni comunicate alle Procure di Agrigento e Palermo, la prolungata privazione della libertà personale subita dai migranti intrappolati a bordo della Diciotti al di fuori delle regole dello stato di diritto, sancite dalle leggi e dalle Convenzioni internazionali, non certo quelle imposte dai ministri a colpi di tweet e di post su Facebook. Una scelta di blocco, prima davanti Lampedusa, poi nel porto di Catania, imposta di fatto dal titolare del Viminale e vicepresidente del Consiglio. Ma che è stata formalizzata dal ministro delle infrastrutture Toninelli, con la sua decisione di indicare al comandante della Diciotti il porto di Catania solo per uno “scalo tecnico”, senza dunque autorizzare lo sbarco immediato dei naufraghi a terra, come sarebbe stato imposto dalle leggi, dall’approccio Hotspot deciso dall’Unione Europea, e dalle Convenzioni internazionali.

Potrebbe avere un impatto notevole, anche in altri ministeri, comunque sempre nel medio periodo, l’esposto che è stato presentato da alcuni parlamentari ed avvocati, alla Procura della Corte dei Conti, per il danno erariale derivante dal blocco reiterato di mezzi della guardia costiera italiana, per effetto della mancata indicazione del porto sicuro di attracco, con una lunga sosta davanti l’isola di Lampedusa, e quindi per la mancata autorizzazione allo sbarco nel porto di Catania. Giorni e giorni di impiego indebito delle unità della Guardia costiera italiana anche nel caso della scorta a Valencia della nave ONG Aquarius, che comportano costi sempre maggiori per le casse dello stato, quindi per tutti i cittadini, per non parlare dei danni che potrebbero essere richiesti da quelle unità commerciali come la Alexander Maersk che hanno dovuto attendere giorni per entrare in un porto italiano, dopo avere compiuto doverose attività di salvataggio, sotto il coordinamento della Centrale operativa della Guardia costiera italiana (IMRCC). La catena di comando che ha deciso sulla destinazione della Diciotti, e sui migranti trattenuti a bordo, non si limita al Viminale ma si estende al Ministero delle infrastrutture, a cui fa capo la Guardia costiera ed il Corpo delle capitanerie di porto.

L’attenzione sul caso Diciotti non deve far dimenticare che in mare, sulla rotta del Mediterraneo centrale, non ci sono più adeguate risorse per garantire la salvaguardia della vita umana, soprattutto dopo l’allontanamento delle Ong. Non si può continuare a diradare per ragioni politiche la rete dell’organizzazione di ricerca e salvataggio in mare (SAR), con il ritiro dei mezzi di soccorso al limite delle acque territoriali, come avverrebbe se passassero tutti i diktat (magari a mezzo tweet) del ministro dell’interno. Quest’anno oltre 1500 persone hanno perso la vita sulla rotta del Mediterraneo centrale, oltre 700 negli ultimi tre mesi, come conferma l’UNHCR.

A Malta continuano a restare bloccate da misure di fermo amministrativo prive di basi legali tre unità delle ONG Seefuchs, Lifeline e Sea Watch. Un numero crescente di migranti è stato ripreso in acque internazionali dalle milizie libiche a bordo delle motovedette donate ed assistite dall’Italia. Ed altre ne arriveranno a Tripoli a ottobre, dopo il voto “bulgaro” del parlamento italiano lo scorso luglio. Per non parlare di come i migranti ripresi dalla sedicente Guardia costiera libica vengono trattati nei lager nei quali vengono rinchiusi dopo essere stati ricondotti a terra. Numerosi rapporti internazionali, anche delle Nazioni Unite, confermano la condizione di denutrizione e gli abusi subiti dai migranti, ed in particolare da quelli di fede cristiana come gli Eritrei, nei lager libici, anche nei cd. centri governativi nei quali occasionalmente hanno accesso OIM ed UNHCR.

La Libia non è un “paese terzo sicuro” nel quale esistono porti sicuri di sbarco, e le autorità di Malta non garantiscono interventi tempestivi, lo ha riconosciuto anche la magistratura italiana, per questo tutte le proposte di blocco navale si pongono contro il diritto internazionale. Non saranno certo le piccole imbarcazioni di soccorso promesse dall’Italia al governo di Tripoli che risolveranno il problema del salvataggio delle vite umane nella vastissima zona SAR “libica”. Come non sarà certo una maggiore dotazione della Guardia costiera “libica” a rendere più sicuri i porti di sbarco, seppure in alcuni di questi siano presenti l‘UNHCR e l‘OIM. Che però non possono rispondere della sorte dei migranti dopo i primi trasferimenti a terra. La Libia, nelle sue diverse regioni governate da autorità diverse ed in conflitto tra loro, rimane un paese “non sicuro”, privo di place of safety di sbarco e di una Centrale operativa di soccorso (MRCC) in grado di intervenire in tutta la zona SAR per la quale le verrebbe attribuita adesso la competenza.

Bisogna rispettare il lavoro della magistratura e ricercare tutte le possibili vie per restare accanto ai migranti e rinforzare il circuito della solidarietà. Vanno chiarite urgentemente le regole vigenti per le attività di ricerca e salvataggio nelle acque del Mediterraneo Centrale, dopo che il governo di Tripoli ha notificato all’IMO una zona SAR libica che di fatto non esiste, ma che è diventata un pretesto per la cessione di altre motovedette italiane e per operazioni di intercettazioni in mare che si concludono con la riconduzione dei naufraghi, perchè di questo si tratta, nei lager libici.

L’IMO (Organizzazione Marittima delle Nazioni Unite) deve fare chiarezza sulla effettiva esistenza di una “zona SAR libica” con una centrale di coordinamento autonoma, in grado di coprire l’intera area che si è attribuita il governo di Tripoli. L’Italia deve cessare le attività di supporto alle operazioni di intercettazione in acque internazionali, condotte da unità riferibili al governo Serraj. Chiediamo di conseguenza il ripristino immediato delle competenze di coordinamento delle attività SAR già assolto fino al mese di giugno scorso, come prassi internazionalmente riconosciuta, dal Comando Centrale della Guardia Costiera italiana (IMRCC), tenuta ad intervenire in quelle zone SAR contigue a quella italiana, quando non vi siano altre autorità in grado di garantire effettivamente la salvaguardia della vita umana in mare.

Occorre perseguire davvero il superiore interesse di tutelare i diritti fondamentali di tutte le persone, quale che sia il loro status, e la vita umana in mare. Al di là della caccia ai facili consensi. Vediamo già oggi le conseguenze dell’attacco alle ONG ed ai principi di solidarietà. Non si può continuare ancora ad assistere impotenti. Diffondere testimonianze, restare accanto a naufraghi e soccorritori, promuovere mezzi di ricorso, anche a livello internazionale, non è più una scelta ma un dovere civile.

Sembra evidente la possibilità di un voto anticipato, che potrebbe trasformarsi in un referendum per Salvini. Va riaffermata una presenza aggregante e determinata sui territori, per recuperare relazioni umane e rapporti sociali che la dimensione virtuale dei social non favorisce, come è successo con la grande manifestazione ieri a Catania, come sarà a Milano martedì prossimo, in occasione dell’incontro tra Salvini ed Orban, Una visita che non si può relegare ad un incontro tra due leader di partiti populisti e nazionalisti, ma che coinvolge direttamente la politica estera e il quadro delle alleanze del governo italiano, che il ministro dell’interno continua a rappresentare da solo, anche da indagato, con la copertura di Di Maio, esautorando di fatto tutti gli altri ministri ed il fantasma del Presidente del consiglio.

Articolo di Fulvio Vassallo Paleologo per ADIFAssociazione Diritti e Frontiere reperibile su www.a-dif.org
(Contenuto concesso dall’autore a Mediterraneo Cronaca)

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