di Mauro Seminara
Il caso Diciotti si è concluso con il degno epilogo di una manifestazione di propaganda ai danni di persone soccorse in mare e di marinai della Guardia Costiera bloccati e accusati da parte dell’opinione pubblica nazionale di tramare contro gli interessi della nazione. Dei 190 migranti soccorsi a 17 miglia da Lampedusa lasceranno l’Italia forse solo in venti: quelli per i quali ha dato disponibilità di accoglienza l’Irlanda, Stato membro Ue come l’Italia. Come spiega il professor Fulvio Vassallo Paleologo, presidente dell’Associazione Diritti e Frontiere e già docente di Diritto d’asilo presso l’Università di Palermo, il trasferimento dei venti migranti in Albania equivarrebbe ad una deportazione.
Da inizio vicenda erano stati 13 i migranti sbarcati a Lampedusa, 27 i minori non accompagnati per i quali era stato obbligato lo sbarco nel porto di Catania seguiti poi da altri 16 evacuati per ragioni sanitarie come i primi a Lampedusa. Meno di 60 sono stati quindi obbligatoriamente presi in carico dall’Italia sui 190 iniziali. Seguono poi i 20 che non potranno andare in Albania ed i 100 – o più di cento come ha detto il pontefice – che verranno accolti dalla Conferenza Episcopale Italiana, in Italia. Una enorme mortificazione, per un corpo dello Stato come la Guardia Costiera, per ottenere che circa il 20% di quasi 200 migranti salvati da un naufragio non venissero accolti dall’Italia.
Nel frattempo si acuisce lo scontro tra il Governo e la magistratura, interviene l’ANM che chiede al ministro pentastellato Alfonso Bonafede che lasci lavorare i procuratori assicurando loro di poter procedere senza interferenze. Interferenze che arrivano da propaganda, sfide ed i soliti fake sui social diffusi ad arte per mettere in cattiva luce i magistrati. Compresa l’iniziativa di un movimento di cui si fa portavoce l’ex sindaco di Roma Gianni Alemanno che invita la destra più radicale a depositare denuncia contro il procuratore di Agrigento Luigi Patronaggio.
Intervista al professor Fulvio Vassallo Paleologo,
già docente di Diritto d’asilo all’Università di Palermo
L’Unhcr ha fornito un altro terribile dato: sarebbero 1.600, nel 2018, le vittime conosciute che sono morte nel tentativo di raggiungere l’Europa attraverso il Mediterraneo centrale. Qual è la correlazione con la campagna anti Ong e quali sono le possibili conseguenze del Caso Diciotti?
Sicuramente abbiamo avuto un calo fortissimo degli arrivi, meno 85%, e i dati ci dicono appunto che il numero delle vittime si è mantenuto più o meno come quello dello scorso anno e quindi con un aumento molto forte in termini di percentuali. La correlazione è sicuramente riscontrabile per quanto riguarda un primo incremento percentuale delle vittime nel periodo che va da agosto 2017 a marzo 2018, perché avere contestato le Ong ed averne costretto la maggior parte ad allontanarsi ha diminuito la capacità di intervento che, sotto coordinamento – lo ricordo – di Guardia Costiera italiana, garantiva migliaia di soccorsi in acque internazionali; dove oggi arrivano i libici a prelevare le persone e riportarle a terra nei lager. Abbiamo avuto testimonianze attraverso i racconti ed i corpi delle persone che sbarcano ancora in queste ore in Sicilia. Poi c’è il periodo da aprile fino ad adesso, soprattutto dopo il 28 giugno, data in cui è stata istituita la Zona SAR libica, con una Libia divisa che non garantisce alcuna possibilità di soccorso ma fa soltanto qualche intercettazione in una zona vastissima. Da quel momento in poi abbiamo avuto un incremento esponenziale di vittime in termini percentuali. Settecento in soli quindici giorni, nella prima metà di luglio, e negli ultimi tre mesi complessivamente l’incremento è molto consistente anche rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Questo perché i libici intervengono molto raramente e perché le imbarcazioni affondano senza che nessuno se ne accorga; come testimoniato anche da Open Arms col famoso soccorso a quell’imbarcazione semi galleggiante con dei cadaveri ancora aggrappati ai legni rimasti a galla. C’è stato anche il ritiro poi della Guardia Costiera italiana su disposizione dei ministri Toninelli e Salvini che hanno limitato il suo ambito di intervento alla sola zona SAR italiana, mentre lo scorso anno e fino alla fine di maggio di quest’anno operava normalmente e legittimamente tanto nella zona SAR maltese – che i maltesi non presidiano – quanto nella zona Sar libica che non è supportata da una adeguata organizzazione di ricerca e soccorso basata a Tripoli.
Al termine di tutta la vicenda della nave Diciotti, il Governo ha ottenuto la disponibilità di accoglienza da Albania e Irlanda per venti migranti ciascuna. Ma non si possono trasferire queste persone in Albania contro la loro volontà, giusto?
È del tutto esclusa la possibilità di trasferire le persone in Paesi extraeuropei. È escluso dalle convenzioni internazionali, è escluso dai regolamenti e dalle direttive europee ed è anche contro i diritti fondamentali perché una persona che chiede asilo in un Paese ha diritto che la sua domanda venga processata nel Paese in cui l’ha richiesta. Eventualmente, nel corso dell’esame della domanda d’asilo, possono esserci trasferimenti all’interno dell’Unione europea. Preoccupa moltissimo quello che i giornali hanno soltanto superficialmente riferito, cioè che l’Italia sta trattando con altri Paesi balcanici, come il Montenegro, per ottenere quello che non offrono i Paesi dell’Unione europea. Deportazione – di questo si tratta – di migranti appena sbarcati, per evitare che vengano accolti e che vengano messi in condizione di presentare una richiesta d’asilo in Italia. Dietro la vicenda della nave Diciotti si celano settimane di abbandono in mare, di omesso soccorso e anche di trattative con Governi che non garantiscono il rispetto degli standard europei sul riconoscimento dello status di protezione internazionale.
C’è adesso un movimento che intende denunciare il procuratore che indaga sul caso Diciotti e che ha iscritto il ministro degli Interni sul registro degli indagati per alcune ipotesi di reato piuttosto gravi per il suo specifico ruolo di ministro. Cosa pensa della fattibilità di denuncia al procuratore capo di Agrigento Luigi Patronaggio ed in generale del caso giuridico?
Penso quello che ha pensato l’Associazione Nazionale Magistrati, che per il 5 settembre ha richiesto la convocazione d’urgenza di una riunione del CSM per esaminare la gravità degli attacchi alla magistratura. Ricordo che le attività dei magistrati inquirenti sono attività d’ufficio e che l’iniziativa penale non è discrezionale ma è un atto dovuto. Ritengo che l’iscrizione del ministro nel registro degli indagati sia stato un atto dovuto e non una scelta del procuratore e come tale non censurabile in sede penale perché fa parte del suo obbligo d’ufficio. Avrebbe semmai omesso i suoi doveri se non avesse proceduto ad iscrivere gli indagati a loro garanzia, cosi che gli indagati abbiano diritto di difesa. Poi, circa le ipotesi, certamente il ministro Salvini sembra stare utilizzando anche sui media la contestazione possibile – dico, possibile – più elevata, cioè il sequestro di persona, per nascondere la sua responsabilità su fattispecie di reato meno clamorose ma probabilmente ricorrenti; come ha accertato anche l’autorità garante dei diritti dei detenuti, che ha visitato diverse volte a bordo della nave Diciotti le persone detenute illegittimamente per molti giorni, confermando la violazione dell’articolo 13 della nostra Costituzione e l’articolo 5 della convenzione europea a favore dei diritti dell’uomo. Da questo al sequestro di persona c’è molta distanza, però ritengo che il rispetto delle leggi riguardi tutte le leggi e non soltanto la norma che prevede il sequestro di persona. Quindi doverosa l’attività di indagine. La magistratura ha degli elementi che noi sicuramente non possediamo in questo momento; dobbiamo rispettarne il lavoro e riconoscere una presunzione di innocenza a chiunque, tanto al ministro quanto agi scafisti che sono stati arrestati ieri dopo lo sbarco dalla Diciotti. Bisogna produrre un’iniziativa politica ed un metodo di comunicazione che non sia a traino dell’iniziativa giudiziaria, ma ne rispetti l’indipendenza e la dignità, e che sia però capace di produrre conoscenza ed informazione in modo da formare l’opinione pubblica; non tra tifoserie ma tra persone responsabili e capaci di fare delle scelte sulla base dei fatti e non dei proclami di questo o quell’altro ministro.
In una parola, possiamo chiamare propaganda questa intenzione di denunciare il procuratore di Agrigento?
Diciamo che per bloccare un’indagine il modo più semplice è denunciare i procuratori che la portano avanti. D’altra parte, credo che ci siano diverse procure interessate dalle denunce che numerosi cittadini ed associazioni hanno fatto in merito al trattenimento sulla nave Diciotti. Quindi credo che non sarà sufficiente delegittimare un singolo magistrato per fermare il doveroso accertamento della magistratura sui fatti che si sono verificati a bordo della Diciotti. Certo, bisogna ricordare anche che la catena di comando è sicuramente molto più vasta di quella che fin qui è emersa e che raggiunge anche il Ministero delle Infrastrutture; perché l’ordine di scalo a Catania, solo “tecnico” e non per lo sbarco, formalmente è stato impartito dal ministro Toninelli dopo una telefonata, un fax o un post o altra comunicazione informale intercorsa con il ministro degli Interni. Quindi non si può pensare che tutto quello che è successo sulla Diciotti si è verificato soltanto per una decisione di Salvini. La catena di comando è molto più estesa e si allarga anche al Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti.
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