di Mauro Seminara
Tre mesi fa giurava il Governo del Cambiamento, alias Governo Salvini-Di Maio, anche detto Governo Conte. Un giuramento, “nelle mani del presidente”, giunto dopo quasi tre mesi di incertezze sulla maggioranza che lo avrebbe potuto esprimere e battezzato con grande consenso degli elettori. Un esecutivo che prendeva le redini del Paese sommando le percentuali di voto di Movimento Cinque Stelle e Lega che insieme costituirono circa il 50% alle urne del 4 marzo. Gli italiani erano esausti per i mille giorni di Matteo Renzi, già severamente bocciato il 4 dicembre del 2016 alla consultazione referendaria per la riforma della Costituzione, ma anche per il biennio del più rassicurante ed istituzionale Paolo Gentiloni. In Italia l’elettorato voleva poter decidere. Almeno quella parte che intendeva decidere, quindi non astenersi. E fu così che al Governo andarono due forze pseudo-inedite. Entrambe premiate dalla grande rincorsa al consenso messa in opera nel corso del quinquennio precedente. Il Movimento Cinque Stelle, superbo nella comunicazione sia prima che dopo Beppe Grillo, ha capitalizzato ogni malcontento degli italiani in un periodo in cui era facile trovare ed assecondare mal di pancia da nord a sud dello stivale. Loro, i pentastellati, offerti agli italiani come anti-sistema sui social perché osteggiati in ogni modo dal mainstream, hanno proposto di rendere nuovamente pubblico tutto ciò che negli anni era stato sottratto agli italiani dalle privatizzazioni, contando sull’impossibilità di venir in alcun modo smentiti: non erano mai stati al Governo e non erano un vecchio partito. Loro, i pentastellati, erano piuttosto gli italiani unitisi in quella illusoria democrazia diretta preparata dal mattatore Grillo. Illusione terminata con i Paragone, Carelli, Conte ed altri neogrillini scelti dai vertici del Movimento e non dalla base con elezione su Rousseau. Grande successo anche per la Lega di Matteo Salvini, artefice della intuizione della svolta per il partito di cui ha preso il timone dopo una brutta tempesta. La Lega Nord, movimento politico locale e secessionista, si è trasformata in “Lega”, mettendo da parte la tanto amata Padania. Il terrone non è stato più il nemico numero uno, come al tempo del fondatore Bossi, ed è divenuto anzi un prezioso elettore. Tutta l’invettiva è stata invece riversata sullo straniero, che non vota in Italia. Ma non tutti gli stranieri sono stati presi di mira. Solo sullo straniero con la pelle nera, che a differenza dello straniero dell’Europa dell’est non è fondamentale per mandare avanti le imprese del laborioso nord Italia.
Migliaia di tweet del segretario federale, negli anni, hanno reso il migrante africano il nemico pubblico numero uno. Seguendo forse la vecchia massima secondo cui una menzogna raccontata dieci, cento, mille volte finisce per divenire realtà, la Lega di Salvini ha fatto dimenticare perfino la mafia – forse soprattutto la ‘ndrangheta – e polarizzato gli elettori sul migrante da “abbattere”. Malgrado la Lega, con “Nord” o senza, avesse un trascorso non certo edificante con condanne alla famiglia patrona e soldi pubblici dubbiamente distratti uniti a vari mandati di Governo per cui dover rispondere in corresponsabilità nelle disastrose scelte politiche (non ultima quella detta “salva Benetton”), Matteo Salvini è riuscito a dare un’idea di nuovo corso al partito. Grazie anche alle Tv ed ai giornali dell’alleato Silvio Berlusconi, ovviamente. E poco importa se, alla fin fine, al tavolo delle trattative per il fatidico “Contratto di Governo” sedeva quello stesso Calderoli che fu ministro al tempo dell’Umberto Bossi alleato di Governo di Silvio Berlusconi. Bastano dieci o quindicimila tweet e si dimentica anche questo. Sicuramente lo hanno dimenticato i Cinque Stelle che dovevano aprire il Parlamento come una scatoletta e dovevano mandare tutti a casa. Proprio loro, l’anti-sistema, si sono seduti con la Lega alle cui spalle rimane incombente Silvio Berlusconi e i movimenti di estrema destra oltre che profondi dubbi sullo stesso partito guidato da Salvini.
Molti, e tutti legittimi, i dubbi dei lettori in questa strana epoca del “con noi o contro di noi” assoluto. Questa partecipazione politica da curva allo stadio durante il derby rende “piDIOTA” chi muove critiche ai gialli ed ai verdi come rendeva “grillino” chi muoveva critiche al PD o a sua eminenza Matteo Renzi. Ma corretta informazione significa mettere a parte i lettori, a qualunque tifoseria essi appartengano, sugli eccessi di potere di chi il potere lo esercita. Questo, probabilmente, prima di ogni altra cosa. Quando gli elettori hanno scelto, bocciando in modo severo quello che era il più grande partito italiano, era doveroso concedere l’opportunità agli eletti di formare un Governo e di formarlo con i ministri prescelti. Si chiamassero questi Savona, Salvini o anche Bugs Bunny. Per quanto il presidente della Repubblica possa sapere, con assoluta certezza, comprovata da documenti riservati e rapporti segreti del Quirinale, che gli italiani hanno preso una terribile cantonata, il garante della Costituzione doveva svelare le proprie ragioni o rispettare il principio base della democrazia: La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione. Chiaro che difendere il diritto degli italiani di vedere alla guida del Paese coloro che alle urne erano stati votati era da “grillino”, come al tempo dicevano i “piDIOTI”. Altrettanto chiaro è che se adesso si sottolinea che il ministro degli Interni indagato per l’ipotesi di sequestro di persona a fine coazione, abuso d’ufficio ed altro, rende in automatico “piDIOTA” chi prima era classificato come “grillino”. Modi di pensare e di vedere, oltre che di esprimersi sui social, da idioti senza “PD” e senza “grilli”.
La verità è che il Governo del Cambiamento compie oggi tre mesi, ed in questo primo trimestre non ha cambiato nulla. Ma mica ci si aspettava che in tre mesi cambiasse il Paese, reso rottame da quasi cinquant’anni di mala politica e dai restanti venti e passa di politica disastrosa ogni oltre aspettativa? Certo che no. Ci si aspettava però, in questi tre mesi, che il primo cambiamento lo si vedesse quantomeno all’interno della classe politica dirigente. Ed i cambiamenti, con buona pace della tifoseria gialloverde, che così detta sembra davvero roba da stadio, non si vedono neanche in lontananza. Il Contratto di Governo con la sintesi dei due programmi elettorali sembra essere stato del tutto accantonato per le priorità full time della lotta ai migranti, a chi li salva ed anche ha chi li salva per dovere istituzionale. Per i punti forte, come reddito di cittadinanza e flat tax, sembrano mancare le coperture che si intende reperire con uno strappo al DEF e di conseguenza al vincolo del 3% basato sul ricatto morale in sede europea per la questione migranti. Le nomine delle compartecipate, da sempre prerogativa del Governo, vengono fatte con logica da lottizzazione come da sempre in ogni Governo. Il “Fuori i partiti dalla Rai” di Renzi era stato criticato per inottemperanza, per vuoto e falso annuncio, da chi adesso si nomina i vertici delle aziende di Stato beneficiando delle prerogative prima denunciate urlando alle piazze la vergogna dei politici da mandare a casa. Il Ministro degli Interni è indagato ma viene difeso da chi al tempo disse che Angelino Alfano si doveva dimettere perché “le nostre forze dell’ordine non possono avere il loro massimo vertice indagato”. Ma oltre all’ipotesi di abuso d’ufficio per cui Luigi Di Maio chiedeva con le suddette parole la testa di Alfano, sul capo del “socio” Salvini pende anche il dubbio di sequestro di persona, che è un tantino più grave del reato che accomuna l’ex delfino Angelino al nuovo erede Matteo.
Alla chiusura del primo trimestre del “nuovo che avanza”, quindi, pare di poter asserire senza dubbio di smentita che di nuovo non c’è assolutamente nulla. Di “Cambiamento” non se ne vede. Anzi. Sembra perfino che ci sia un ulteriore deterioramento in capacità e coerenza. La capacità che – da “grillino”, ovvio! – si criticava all’esecutivo capitanato da Matteo Renzi per la riforma della Costituzione o per la riforma della Pubblica Amministrazione firmata dal ministro Madia oppure ancora per la Legge elettorale senza Senato che tanto andava soppresso dalla riforma bocciata al referendum. Provando ad uscire per un attimo dalla falsa corrente della propaganda social, immaginate cosa avrebbero detto e fatto i pentastellati per il caso della nave Diciotti con annesso scontro istituzionale con la Guardia Costiera, “sequestro” di equipaggio e naufraghi ed infine iscrizione nel registro degli indagati del ministro degli Interni. Provate ad immaginare cosa avrebbero detto e fatto i leghisti per il caso Ilva, nel quale il ministro del Lavoro e dello Sviluppo economico sta dimostrando che non c’era alcun piano pronto e che sta adesso navigando a vista in mezzo ad un fitto banco di nebbia. E cosa avrebbero detto e fatto, entrambi gli schieramenti, se gli evacuati della zona rossa di Genova non avessero ricevuto alcun sostentamento dallo Stato – come le piccole imprese che non possono rientrare al lavoro – o se il Governo avesse dimostrato di voler fare harakiri a Bruxelles rischiando i mutui ed i risparmi degli italiani come adesso stanno facendo i Salvini-Di Maio-Conte.
A proposito, e Giuseppe Conte? Chi è? Cosa fa? Ha facoltà di parola o potere decisionale oppure è la controfigura di Rocco Casalino? Il genio della comunicazione del Movimento Cinque Stelle che dalla direzione dell’Ufficio comunicazione del Senato sarebbe dovuto passare a quella della Camera, salvo poi assumere la posizione di capo ufficio stampa di Palazzo Chigi seguendo ogni passo ed ogni parola del premier. Si ricorda ancora l’invettiva contro Paolo Gentiloni per il suo Governo “Renziloni”, inteso come controfigura di Matteo Renzi ed alla guida dello stesso esecutivo guidato fino al giorno prima dal dimissionario “non andrò mai a Palazzo Chigi senza prima passare dalle urne” e ancora più noto “Enrico, stai sereno”. Adesso abbiamo due premier che governano il Paese, Salvini e Di Maio, ed un premier fantoccio che appare assai più controfigura di quel che fu il premier che gli passò la campanella nella omonima cerimonia. Il Cambiamento, tanto atteso, non c’è stato e stando alle premesse non ci sarà. Le aspettative erano fin troppo alte, così come costruite dalla comunicazione nella lunghissima campagna elettorale che ha preceduto le elezioni politiche del 2018. E se ci fossero ancora dubbi sul fatto che il cambiamento non c’è stato, è forse utile notare un piccolo dettaglio all’apparenza insignificante: Virginia Raggi non sta più quotidianamente su tutti i giornali in prima pagina e su tutti i telegiornali in apertura. Se neanche questo vi suggerisce nulla, potete tranquillamente evitare di continuare a leggere. Anche perché vi rifiutereste di accettare la lettura di una ineludibile critica rivolta a chi in tre mesi ha messo gli italiani contro gli italiani ed ai ferri corti, gli italiani contro i migranti e perfino contro la Guardia Costiera italiana, le forze dell’ordine in disordine, la mafia fuori dagli orizzonti del male da perseguire, un Ministero sotto grave accusa da una Procura della Repubblica ed un altro sotto grave crisi esecutiva immobilizzato su un fronte dal collega indagato e sull’altro da un’indagine ben più lunga e profonda per il crollo di un ponte che ha ucciso 43 persone, un Documento di Economia e Finanza che sembra voler promettere di andare incontro a sanzioni che pagheranno gli italiani e gli stessi italiani che pagheranno mutui da nuovo picco di suicidi.
Eccolo il Governo del Cambiamento ed ecco il pagellino da primo trimestre: Due al vicepremier Salvini; due al vicepremier Di Maio che difende il vicepremier Salvini; NC, Non Classificato il premier Conte, si rinvia la valutazione. Le uniche valutazioni possibili per chi in tre mesi ha trascorso più tempo in Tv e sui social che al Ministero da guidare, nel caso di Salvini e Di Maio, e che deludendo ogni aspettativa non hanno smesso di fare propaganda da campagna elettorale per assumere toni e funzioni più istituzionali. Purtroppo continuano a sembrare niente più che i soliti Matteo e Giggino all’opposizione. E forse all’opposizione ci sono ancora, ma adesso sono all’opposizione di loro stessi e dei loro elettori (che un giorno si sveglieranno e si renderanno conto della immane presa per il culo).
Aspettando una nuova classe politica dirigente in grado di rimettere in sella questo povero Paese senza dividerlo in due.